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Gli interrogativi inevasi del Forum Sociale Mondiale. Un bilancio della prima edizione nel Nord del mondo

Gli interrogativi inevasi del Forum Sociale Mondiale. Un bilancio della prima edizione nel Nord del mondo

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 03/09/2016

DOC-2804. MONTREAL-ADISTA. È stata la prima volta in cui il Forum Sociale Mondiale si è svolto nel Nord del mondo ma non è solo per questo che verrà ricordata l'edizione di Montreal, in Québec, dal 9 al 14 agosto scorso. La scelta della sede - frutto della constatazione che la distinzione tradizionale tra Nord e Sud del mondo ha ceduto terreno rispetto a quella tra l'1% dei ricchissimi e la stragrande maggioranza della popolazione esclusa dal banchetto planetario - ha avuto come sgradita ma prevedibile conseguenza quella del drastico ridimensionamento della partecipazione dei rappresentanti dei Paesi poveri, principalmente a causa della rigida politica migratoria del governo canadese, che ha rifiutato i visti a un grandissimo numero di militanti e leader comunitari, anche di grande notorietà (come se questi non avessero intenzione di ritornare alle proprie lotte a conclusione dell’evento). Tuttavia le novità positive non sono di certo mancate, a cominciare dalla rinuncia agli sponsor, la cui presenza aveva suscitato tante polemiche nelle edizioni precedenti. Se la massiccia partecipazione delle prime edizioni è ormai un ricordo - a Montreal erano presenti circa 20mila rappresentanti -, grande apprezzamento ha riscosso la metodologia seguita, aperta e partecipativa, centrata su oltre mille workshop autogestiti, assemblee di convergenza, “grandes conférences” (incontri di alto livello su questioni chiave, come quello con Naomi Klein) e collegamenti con varie città e realtà in ogni parte del mondo, come la tele-conferenza via internet promossa l'11 agosto tra gli attivisti internazionali dell’Iraqi Civil Society Solidarity Initiative (ICSSI) presenti a Montreal e i membri del Comitato Nazionale del Forum Sociale Iracheno riuniti a Baghdad: «un interessantissimo scambio», come ha raccontato su Comune-info (15/8) la presidente dell'ong Un Ponte per Martina Pignatti, che ha affrontato sfide delicate come quella di «stimolare l’attivismo dei giovani nell’associazionismo dissuadendoli dal pensare che la violenza sia l’unico mezzo per un cambiamento» o quella di «riprendere un lavoro di pressione sulle istituzioni irachene per la trasparenza, soprattutto in settori chiave come il petrolio». O, ancora, quella di chiarire come la via per fermare il terrorismo passi non per i bombardamenti e le strategie della coalizione anti-Daesh, ma attraverso un cambiamento di rotta delle istituzioni che governano Iraq e Siria. 

E se a livello di contenuti non si sono registrate, né erano attese, grandi novità - il maggiore risalto è stato dato ai temi dell'ambiente (compreso quello dell'estrattivismo) e della giustizia climatica, delle migrazioni, della militarizzazione, delle campagne contro Ttip e Ceta e delle lotte per l’autodeterminazione dei popoli, dai Sahrawi alla Siria, alla Palestina, fino al confederalismo democratico in Rojava e ai movimenti per la democrazia in Egitto - hanno giocato un ruolo chiave a Montreal nuove generazioni e nuovi soggetti, a cominciare dal movimento studentesco. Come ha evidenziato su il Fatto Quotidiano (13/8) Vittorio Agnoletto, a organizzare questa edizione sono stati giovani tra i venti e i trent’anni che «hanno alle spalle un’altra storia» rispetto ai movimenti protagonisti dei Forum precedenti come Via Campesina e il Movimento dei Senza Terra e «provengono da Occupy Wall Street, dalle lotte studentesche contro la privatizzazione del sapere e per un web libero, dalla lotta contro i grandi oleodotti, dall’impegno per un’energia pulita, contro un modello di sviluppo energivoro fondato sui combustibili fossili».

Ma l’altro mondo possibile?

Quel che è certo è che, nei 15 anni trascorsi dalla prima edizione del Fsm, a Porto Alegre nel 2001, il mondo è cambiato profondamente, diventando ancora più ingiusto (85 persone possiedono ora l'equivalente del patrimonio della metà povera dell’umanità e, nel 2016, la ricchezza dell’1% della popolazione mondiale ha superato quella del rimanente 99%), violento (alle guerre e alle invasioni militari si sono aggiunte nuove forme di terrorismo) ed ecologicamente insicuro (ogni anno si annuncia più caldo di quello precedente). E sono arrivate al capolinea o perlomeno evidenziano una crisi profonda esperienze come quella del ciclo progressista latinoamericano, di importanza fondamentale per la nascita e il consolidamento del Fsm, o quella della cosiddetta primavera araba, che ha fatto da sfondo alle ultime due edizioni a Tunisi. Un quadro, questo, di fronte a cui restano ancora irrisolte le domande di sempre: come unire le forze a livello internazionale per accrescere la capacità di lotta dei movimenti sociali, rendendo il “Noi siamo il 99%”, il celebre grido lanciato dal movimento Occupy Wall Street, qualcosa di più di un semplice slogan? E il Forum Sociale Mondiale, il principale spazio di autoconvocazione della società civile a livello globale, è ancora lo strumento adeguato per permettere alle diverse realtà di stabilire mete comuni e aspetti su cui convergere, seppure declinati secondo la propria specificità territoriale, creando così sinergie tuttora mancanti e accumulando forza sufficiente per creare un’egemonia alternativa? 

Quanto alle Chiese, da sempre coinvolte nel processo del Fsm, non hanno fatto mancare la loro presenza, sia pure in tono minore, neppure a Montreal, dove si è svolta la VII edizione del Forum Mondiale di Teologia e Liberazione, pensato inizialmente come evento separato (per quanto sempre riconducibile al Forum) e poi diventato uno spazio di incontro e di riflessione teologica direttamente al suo interno. Svoltosi dall'8 al 13 agosto sul tema "Resistere, sperare, inventare: un altro mondo è possibile!", il Forum ha affrontato temi come quelli della crisi ecologica, della costruzione della pace, delle migrazioni, della questione di genere e del dialogo interreligioso, con un'attenzione particolare ai popoli indigeni e alla questione della decolonizzazione della religione e della teologia (tematica assai rilevante nel contesto storico del Canada francese). Era presente al Fmtl e più in generale al Fsm anche il monaco benedettino Marcelo Barros, a cui abbiamo rivolto alcune domande. Vi proponiamo l'intervista che ci ha rilasciato.

* L'immagine è tratta dal sito del Forum Sociale Mondiale di Montreal

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