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Contro l’Europa delle armi, un appello per scongiurare i finanziamenti alla ricerca militare

Contro l’Europa delle armi, un appello per scongiurare i finanziamenti alla ricerca militare

Tratto da: Adista Notizie n° 32 del 24/09/2016

38680 BRUXELLES-ADISTA. Nelle prossime settimane i membri del Parlamento Europeo avranno occasione di dimostrare se alle belle parole sulla sempreverde necessità di porre fine ai conflitti e di lavorare al peace-building seguiranno anche i fatti o se questi andranno invece in tutt'altra direzione. È in programma infatti la discussione delle linee di finanziamento e la Commissione Europea ha intenzione di includervi anche l'Azione Preparatoria sulla ricerca per la difesa (PA - Preparatory Action on Defence research) mirante al sostegno della politica di sicurezza e di difesa comune. Insomma, come denuncia la Rete continentale European Network Against Arms Trade (ENAAT, di cui fa parte per l'Italia la Rete Disarmo), «l'Unione Europea è oggi a un passo dall'iniziare a fornire sussidi alla ricerca per nuove armi, con l'utilizzo di denaro pubblico».

Per tentare di scongiurare questo pericolo, l'ENAAT ha lanciato un appello ai membri del Parlamento Europeo e ai rappresentanti parlamentari degli Stati membri affinché rigettino il Preparatory Action on Defence research. «Nemmeno un centesimo dei fondi pubblici dell’Unione europea deve finire nelle tasche delle aziende che producono armamenti», sostengono le realtà che compongono la Rete nel loro appello. «I fondi per la ricerca dovrebbero invece essere destinati a progetti che sviluppino forme nonviolente di prevenzione e risoluzione dei conflitti e ad azioni che siano in grado di affrontare le cause alla base dell'instabilità internazionale, come ad esempio il cambiamento climatico».

È il processo stesso che ha condotto a questo risultato a essere nel mirino delle associazioni. I principali interlocutori della Commissione Europea sono stati infatti i rappresentati della lobby delle industrie, vale a dire proprio coloro che beneficeranno degli eventuali finanziamenti. L'esempio più eclatante è quello del “Group of Personalities on the Preparatory Action for CSDP-related research” che ha consegnato il proprio rapporto finale nel febbraio scorso: 7 membri su 16 sono rappresentanti dell'industria aerospaziale e della Difesa. Parliamo degli amministratori delegati Fernando Abril-Martorell, della multinazionale spagnola Indra; Antoine Bouvier, del consorzio europeo MBDA; Håkan Buskhe, della svedese Saab; Tom Enders, dell'europea Airbus Group; Ian King, dell'inglese BAE Systems; Mauro Moretti, della “nostra” Finmeccanica e infine del managing director della tedesca Liebherr-Aerospace Lindenberg GmbH, Arndt Schoenemann. «In pratica – denuncia la Rete ENAAT – l’industria degli armamenti sta consigliando l’Unione europea di iniziare a fornire fondi e sussidi alla stessa industria militare».

E il progetto globale è anche piuttosto ambizioso. La proposta attuale per il budget 2017 menziona “solo” 25 milioni di euro ma il piano, spiega l'ENAAT, è molto più grande e costoso. «L’Azione Preparatoria riguarda il triennio 2017-2019 per una cifra totale di circa 80 milioni di euro. Inoltre, questo dovrebbe essere solo il primo passo verso un Programma completamente strutturato sulla ricerca per la Difesa (European Defence Research Programme) per un importo complessivo di 3,5 miliardi di euro per il periodo 2021-2027».

Per comprendere a fondo la gravità della questione non bisogna poi dimenticare che «per sua stessa natura, il bilancio UE non è ampliabile a piacimento e ciò – proseguono le associazioni – significherà in automatico l'applicazione di tagli drastici su altre linee di finanziamento, di natura civile». Inoltre «l'obiettivo principale, già dichiarato esplicitamente, di questo tipo di sussidi sarebbe il sostegno alla competitività dell'industria militare e della sua capacità di export al di fuori dell'Unione. Con il risultato quindi di favorire anche l'invio di armi in Paesi che contribuiscono all'instabilità internazionale o stanno prendendo parte a conflitti sanguinosi, come dimostra chiaramente l'esempio delle vendite all'Arabia Saudita da parte di numerosi Stati membri Ue in questi ultimi mesi».

L’Unione Europea, prosegue l’ENAAT, «dovrebbe promuovere un’alternativa alle armi, anziché cercare di essere una pallida copia degli Stati Uniti»: «Competere con gli Usa nel campo delle spese per la difesa è impossibile a meno di non rinunciare al modello sociale e politico europeo». «Bisogna ricordare che, secondo i dati del Sipri, nel 2015 le spese militari a livello mondiale hanno raggiunto la cifra di 1.670 miliardi di dollari. Se solo una piccola parte di questi soldi fosse stata destinata al raggiungimento degli Obiettivi del Millennio stabiliti dall’Onu, o ad affrontare seriamente l’impatto del cambiamento climatico nei Paesi in via di sviluppo, molte delle cause profonde delle tensioni e dei conflitti avrebbero potute essere risolte in modo più efficace».

E invece, si legge ancora nel documento redatto dall’ENAAT, in quattro anni (2014-2017) solo 11 milioni di euro sono stati destinati alla voce “Cambiamento climatico e sicurezza” nell'ambito dell'Instrument contributing to Stability and Peace (IcSP), nonostante l’Ue affermi di considerare «il cambiamento climatico il maggior rischio alla sicurezza globale, agendo come un conduttore di instabilità e conflitto». 

Se il Parlamento Europeo non si opponesse alla Preparatory Action on Defence research, miliardi di euro andrebbero perduti «a discapito di cruciali investimenti per rispondere alle sempre più grandi sfide che ci troviamo di fronte». E quindi, conclude l’ENAAT, l’Europa non dovrebbe finanziare la ricerca militare perché, per dirla con le parole di Ban Ki Moon, «il mondo ha troppe armi e la pace è sotto finanziata». 

* Immagine di AMISOM Public Information, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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