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Abusi sistematici

Abusi sistematici

Tratto da: Adista Documenti n° 39 del 12/11/2016

Clicca qui per leggere l'introduzione di Adista al documento

Nel 2012 scrissi un articolo per Cornerstone sul trattamento riservato ai minori nelle strutture di detenzione militare israeliane (Breaking a Generation: Children in Israeli Military Detention, v. Adista Documenti n. 35/12, ndt). L'articolo descriveva le modalità con cui i militari israeliani hanno arrestato, trasportato e interrogato migliaia di minori palestinesi e intentato azioni contro di loro, ai sensi della legge militare in vigore dal giugno 1967. A distanza di qualche mese, l'Unicef diffuse un report – Children in Israeli Military Detention: Observations and Recommendations – in cui concludeva che «il pessimo trattamento riservato ai minori venuti a contatto con il sistema di detenzione militare sembra essere diffuso, sistematico e istituzionalizzato».

In risposta al report delle Nazioni Unite, il ministro israeliano degli Affari Esteri annunciò che avrebbe studiato le 38 raccomandazioni e «lavorato per la loro attuazione in cooperazione con l'Unicef». Poco tempo dopo il Military Advocate General designò il “Procuratore militare di Giudea e Samaria” (Cisgiordania) come intermediario con l'Unicef sulla questione. (…).

Nel corso dei tre anni che sono seguiti al rapporto dell'Unicef, si è registrata un'impressionante quantità di attività ufficiali. (…). E durante questo periodo più voci si sono levate a denunciare il trattamento riservato ai minori che si trovano faccia a faccia con l'esercito meglio equipaggiato e più finanziato del Medio Oriente. (…). 

L'attenzione che tale questione ha suscitato ha cominciato a farsi sentire. Forse la prova migliore di ciò è un documento militare interno (…) in cui si sottolinea che «organismi internazionali e organizzazioni per i diritti umani hanno duramente criticato, più e più volte, il modo in cui i minori sono trattati nell'area della Giudea e Samaria [sic] – a partire dall'arresto, passando per l'interrogatorio fino al processo – e queste critiche sono significativamente aumentate negli ultimi anni, essendo state espresse da una serie di rapporti, pubblicazioni e articoli sui più importanti media israeliani e internazionali. Il peso complessivo di questi documenti può causare un danno reale alla legittimità di Israele e delle sue azioni in quest'area». 

In ultima analisi però la domanda più importante è: queste attività e quest'attenzione hanno migliorato il trattamento riservato ai minori che vengono in contatto con il sistema di detenzione militare israeliano? E in caso negativo, non si tratta in realtà di un semplice esercizio di pubbliche relazioni mirante a deviare le critiche? Alcuni elementi inducono a pensare che i cambiamenti al sistema siano più di facciata che di sostanza. Nel febbraio 2015, l'Unicef ha aggiornato il suo rapporto dando conto dei significativi sviluppi registrati nel sistema dal febbraio 2013: nel documento si sottolinea che «i rapporti circa il pessimo trattamento dei minori durante l'arresto, il trasferimento, l'interrogatorio e la detenzione non sono diminuiti significativamente nel 2013 e nel 2014». Nel marzo 2016 Military Court Watch ha diffuso, sulla base di 359 testimonianze, una nota informativa che sottolinea come le conclusioni cui è giunta l'Unicef nel 2013 circa «il pessimo trattamento dei minori venuti a contatto con il sistema di detenzione militare, che sembra essere diffuso, sistematico e istituzionalizzato», siano ancora valide nel 2016.

Posso suggerire due ragioni per cui queste deludenti conclusioni non dovrebbero sorprendere nessuno e entrambe riguardano l'ininterrotta attività di costruzione delle colonie in Cisgiordania da parte di Israele, in violazione della IV Convenzione di Ginevra e di numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu. Le prove raccolte da Military Court Watch indicano che, in media, ogni minore arrestato dall'esercito israeliano in Cisgiordania vive a pochi chilometri da un insediamento israeliano o da una strada usata dai coloni (la Cisgiordania è attraversata in lungo e in largo da una rete di strade riservata ai soli coloni israeliani, ndt). Questa non è una coincidenza. Dall'accoppiata tra l'occupazione militare e le attività di insediamento discende che le comunità palestinesi situate in prossimità delle colonie o delle infrastrutture israeliane devono essere costantemente prese di mira a scopo intimidatorio per garantire la sicurezza dei 400mila civili israeliani che vivono in Cisgiordania. 

Questa strategia è stata sinteticamente spiegata da un ex soldato israeliano in una testimonianza resa a Breaking the Silence (organizzazione che raccoglie le voci di quei soldati israeliani che vogliono «rompere il silenzio», ndt): «Una pattuglia o due, due Hummer coperti da una jeep, entrano in un villaggio e vi portano l'inferno. (…). Il comandante è annoiato e vuole mettersi in mostra e lo fa a spese dei suoi subordinati. Vuole sempre più frizione, vuole annientare la popolazione, rendere la loro vita più infelice e scoraggiare il lancio di pietre: non ci devono nemmeno pensare. Per non parlare di molotov o altro. E funziona. La popolazione è così spaventata che si chiude in casa».

La prova dell'efficacia di questa strategia può essere rinvenuta nei dati diffusi dal Dipartimento di Stato Usa che dimostrano come nel 2012 nessun colono israeliano sia stato ucciso in Cisgiordania – un risultato militare straordinario. 

La verità è che se i militari non intimidissero più i palestinesi che vivono in prossimità degli insediamenti, i coloni non si sentirebbero più sicuri nei Territori occupati e il progetto coloniale sarebbe in pericolo. 

In secondo luogo, il compito di attuare le raccomandazioni dell'Unicef è stato delegato dal ministro israeliano degli Affari Esteri al “Procuratore militare di Giudea e Samaria”. È di dominio pubblico che costui risiede nella colonia di Efrat e che dunque, se vuole continuare a vivere nei Territori occupati, non ha alcun interesse ad applicare le raccomandazioni dell'Unicef. (…). 

Tutto ciò dovrebbe preoccupare qualcun altro al di là delle parti interessate e dei sostenitori dell'una o dell'altra causa? La mia risposta è sì. 

La costruzione delle colonie nei Territori occupati viola due principi giuridici di base. Primo, il divieto di costruire colonie contenuto nella IV Convenzione di Ginevra. Secondo, l'assoluto divieto di acquisire territori a seguito di un conflitto, anche se per autodifesa, contenuto nella Carta delle Nazioni Unite.  

Il fatto che questi principi fondamentali siano da applicarsi al presente conflitto è al di là di qualsiasi dubbio, come confermato da molte risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell'Onu.

Siamo disposti ad abbandonare l'ordine giuridico internazionale stabilito con enorme sacrificio dopo la fine della Seconda Guerra mondiale solo per proteggere i governi israeliani e gli ufficiali militari dalle conseguenze delle loro azioni? Se la risposta è sì, allora corriamo il rischio di ripetere gli stessi pesanti errori del secolo scorso nel momento in cui ci troveremo ad affrontare future potenziali situazioni di conflitto (…). Poiché questo secolo procede e le sfide aumentano possiamo solo constatare che il quadro giuridico stabilito nel secolo scorso per evitare conflitti è stato così eroso da eccezioni, mancate applicazioni ed esitazioni che non sarà più disponibile quando ne avremo bisogno – e a quel punto potremo prendercela solo con noi stessi. 

È nostro compito assicurare che i nostri rappresentanti eletti siano all'altezza dei loro obblighi in modo che il quadro giuridico stabilito alla fine della Seconda Guerra mondiale sia applicato ad amici e nemici equamente e senza paura o eccezioni. Coloro che non sono in grado o non vogliono adempiere a tali obblighi devono essere rimossi dal loro ufficio e rimpiazzati con leader più capaci, pronti, disposti ed in grado di sostenere lo stato di diritto.

* Foto di Palestine Solidarity Project, tratta da Flickr. Immagine originale e licenza.

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