Il mondo sulle montagne russe: i 100 giorni di Trump spiegati da "Aggiornamenti Sociali"
Il mondo che fa il punto dei primi 100 giorni di Donald Trump alla Casa Bianca sembra appena uscito da un frullatore impazzito, pieno zeppo di ingredienti che cambiano continuamente forma e colore, fuori da ogni prevedibilità e controllo: Ucraina, Striscia di Gaza, Medio Oriente, dazi e insulti internazionali, deportazioni di migranti, Cina, Canada, Panama, Groenlandia, Musk, Usaid e chi più ne ha più ne metta.
«Cento giorni sulle montagne russe», sintetizza con efficacia un editoriale di Aggiornamenti Sociali firmato dal direttore Giuseppe Riggio, che spiega: «I primi mesi sono generalmente considerati i più favorevoli per un Governo appena entrato in carica, grazie al consenso che riscuote sull’onda del voto». Ma sono anche i mesi più importanti, spiega il direttore, per delineare politiche e portare a casa «alcuni obiettivi simbolici del proprio programma elettorale». Ecco, in 100 giorni di lavoro Trump ha disorientato l’America e il mondo, sgretolando certezze (e alleanze) che parevano granitiche e immutabili nella storia. Annunci roboanti, gesti eclatanti, dichiarazioni scioccanti, decisioni prese e ritirate… «Cento giorni carichi di adrenalina, proprio come quando si sale sulle montagne russe, dove alcuni si divertono e altri urlano terrorizzati», aggiunge Riggio. Con l’unica differenza che salire sulla giostra non è stata una libera scelta, in verità «presa da uno per tutti, il presidente Trump con la sua amministrazione, il quale ha anche impostato la velocità di marcia». Inoltre, quando si sta sulla giostra, si è talmente presi dalla foga che ci si dimentica di quello che succede a terra. Per esempio, dice Riggio, passa del tutto «in secondo piano che i risultati concreti raggiunti sono ben inferiori delle promesse fatte».
Uno degli aspetti più inquietanti del “nuovo corso” è l’ampio ricorso di Trump agli ordini esecutivi, firmati a decine nel solo giorno dell’insediamento come segnale di radicale inversione di rotta rispetto all’amministrazione precedente. Governare «per editti», se da un lato sembra rafforzare il protagonista dell’uomo solo al comando, detta la linea del governo federale su materie chiave (bilancio, dazi, migranti...) scavalcando di fatto il Congresso, la mediazione e il confronto politico. La strategia trumpiana – unitamente alla decisione di ignorare alcune sentenze dei tribunali sui licenziamenti massicci, sulle deportazioni dei migranti e sulla sospensione degli aiuti esteri – denota una certa «insofferenza per le regole» democratiche che desta particolare preoccupazione (anche oltreoceano), prelude a un clima di crisi costituzionale e di scontro politico e sociale. «Se si considera la tenuta democratica – aggiunge Riggio – è preoccupante il tentativo di sottrarsi al sistema di pesi e contrappesi su cui si regge l’ordinamento degli Stati Uniti (così come ogni democrazia), secondo cui l’esercizio del potere implica una responsabilità e va incontro a limiti e controlli».
Rispetto alle leggi approvate secondo un iter parlamentare, gli ordini esecutivi «hanno inevitabilmente un respiro meno ampio», si caratterizzano come proclami senza progettualità e dimostrano che «il sogno MAGA (Make America Great Again) cammina su gambe ben più corte di quelle che la retorica sottostante vuol far credere».
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