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L'insegnamento sociale di Francesco: Gesti e parole

L'insegnamento sociale di Francesco: Gesti e parole

Per gentile concessione dell'autore, pubblichiamo di seguito in una nostra traduzione l'articolo di Oscar Campana, scrittore e professore di Teologia, comparso il 22 aprile scorso sul quotidiano argentino Página/12 con il titolo "La enseñanza social de Francisco. Gestos y palabras".

Un Papa parla. Scrive e parla. La maggior parte del tempo. I notiziari iniziano così: “il Papa ha affermato…”, “il Papa ha detto…”, “il Papa ha espresso…”, “il Papa ha condannato…”. E poi c'è il sito web del Vaticano, che ci fornisce questo universo infinito di documentazione, che ci racconta una varietà di modalità di comunicazione papale. Ironicamente, il teologo argentino Lucio Gera era solito dire che solo i funzionari del Vaticano sapevano distinguere tra un'enciclica, una lettera apostolica o un'esortazione…SÌ. Un Papa parla e scrive. E Francisco non faceva eccezione. Il suo insegnamento è stato prolifico. Per volume e per problematiche affrontate. Ma più che per le sue parole, Francesco sarà ricordato per le sue azioni e le sue decisioni.

Pochi mesi dopo il suo insediamento, Francesco si è recato sull'isola di Lampedusa, simbolo della morte di tanti che tentano di attraversare il Mediterraneo in cerca di una vita migliore; uno spazio di transizione non più tra due continenti ma tra due mondi, quello dell'abbondanza e del consumo e quello della sete, della fame e della morte. E lì, a Lampedusa, Francesco ha detto: «Chi ha pianto la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per quelle persone sulla barca? Per le giovani madri che portavano in grembo i loro figli? Per questi uomini che volevano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del pianto, del “patire con”: la globalizzazione dell'indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere!».

E Francesco parlava di pianto. Non con argomentazioni teoriche, né con disquisizioni accademiche. Ha parlato delle lacrime di chi soffre e dell'indifferenza di chi ha dimenticato i propri fratelli e sorelle. Molti, quasi tutti, dimenticheranno ciò che ha detto. Non chi era lì.

Un paio di anni dopo, durante uno dei suoi viaggi in America Latina, Francesco ha partecipato al Secondo Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari, tenutosi a Santa Cruz de la Sierra, in Bolivia. Vale a dire: un Papa ha accettato il vantaggio di giocare in casa di altri giocatori, indipendentemente dai protocolli e dagli scrupoli ideologici. E ha rischiato la sua parola insieme a quella di altri, provenienti da universi culturali e ideologici diversi. E non è rimasto in silenzio: «Riconosciamo davvero che le cose non vanno bene in un mondo dove ci sono tanti contadini senza terra, tante famiglie senza casa, tanti lavoratori senza diritti, tante persone la cui dignità è violata? Riconosciamo che le cose non vanno bene quando scoppiano tante guerre insensate e la violenza fratricida si impadronisce persino dei nostri quartieri? Riconosciamo che le cose non vanno bene quando il suolo, l'acqua, l'aria e tutti gli esseri del creato sono sotto costante minaccia? Allora, se lo riconosciamo, diciamolo senza paura: abbiamo bisogno e vogliamo il cambiamento».

E in nome di quel cambiamento, ha proposto i tre grandi compiti che attendono chi vuole cambiare il mondo: «Il primo è mettere l'economia al servizio delle persone. Il secondo è unire i nostri popoli sulla via della pace e della giustizia. E il terzo, forse il più importante che dobbiamo intraprendere oggi, è difendere la Madre Terra».

Chiaro. Sì. Le parole ci sono. Ma radicate in gesti, atteggiamenti, fatti che gli danno un altro volume. Si aggiunge la sottigliezza per evitare certi dibattiti e allo stesso tempo prendere posizione. Ad esempio, parlando nella sua autobiografia nel periodo della dittatura in Argentina: «È uno dei trentamila argentini desaparecidos», dice di un conoscente. Oppure: «Insieme [agli ebrei] abbiamo sofferto anche il dolore, nella lunga, terribile notte della dittatura che ha sconvolto il mio Paese, di trentamila argentini desaparecidos […], almeno duemila appartenevano alla comunità ebraica”. Oltre ad accogliere e abbracciare Hebe [de Bonafini] ed Estela [Carlotto], scrisse: «A una madre che ha sofferto quello che hanno sofferto le Madri di Plaza de Mayo permetto qualsiasi cosa. Può dire quello che vuole. Perché è inconcepibile che madre soffra quel dolore». Non ci sono innovazioni dottrinali in Francesco, potremmo dire, quando si parla di diritti umani. Ma ci sono immagini che dicono tutto.

Chiaro. Sì. Ecco i documenti. Nel documento fondativo del suo papato, l’esortazione Evangelii Gaudium, la preoccupazione sociale permea tutta la sua riflessione. Ciò è reso esplicito nel capitolo che egli chiama “La dimensione sociale dell’evangelizzazione”.

Senza dubbio la sua grande enciclica sociale è stata Fratelli tutti. In esso ripensa e ripropone la dottrina sociale della Chiesa alla luce dei problemi contemporanei. E lo fa con approcci e linguaggio innovativi per un testo papale, colmando il divario tra i principi e la loro comprensione e riflettendo la diversità di prospettive e approcci attualmente in uso.

E in un mondo in cui i leader alla moda sono impegnati a negare il cambiamento globale e climatico, Francesco ha fatto della cura del pianeta una delle sue preoccupazioni centrali, al punto da dedicargli uno dei suoi documenti principali, l'enciclica Laudato si': fratellanza con la Terra. Non da un ambientalismo ingenuo, ma da una prospettiva critica su un mondo che si muove verso una disuguaglianza sempre maggiore nell'accesso alle risorse vitali. E ritorna su questo tema nell’esortazione Cara Amazzonia, «bellezza ferita e deformata, luogo di dolore e di violenza». E in entrambi i documenti l’affermazione di una ecologia integrale.

Parole e gesti. Potremmo leggere altri scritti e ricordare innumerevoli azioni di Francesco, un Papa che ha guardato il mondo dal lato opposto della storia. Sarebbe impossibile farlo in queste righe.

È scomparso Francesco, il vescovo argentino di Roma che anteponeva il "noi" all'"io" che oggi sembra dominare i cuori. Ciò esprime il cammino di tante comunità cristiane in America Latina e nel Terzo Mondo, punite dai papati precedenti. E cantò, con la sua voce e le sue radici cristiane, ciò che Negra Sosa cantò tanto tempo fa nella Cantata Sudamericana: «Non si tratta di salvare se stessi quando ci sono altri che non si salveranno mai».

*Foto ritagliata di Finizio tratta da Flickr

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