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Sud Sudan: leader cristiani invocano l’aiuto di papa Francesco

Sud Sudan: leader cristiani invocano l’aiuto di papa Francesco

Tratto da: Adista Notizie n° 39 del 12/11/2016

38744 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. L'invito di papa Francesco è giunto ai destinatari attraverso il card. Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e della Pace e presto prefetto designato del nuovo dicastero vaticano per il Servizio dello Sviluppo umano integrale. E così, lo scorso 27 ottobre, ha avuto luogo l'udienza, presso il Palazzo apostolico vaticano, nella quale il papa ha avuto modo di confrontarsi con una delegazione di leader religiosi cristiani sudsudanesi, composta dall'arcivescovo cattolico di Juba, Paulino Lukudu Loro, dall'arcivescovo della Chiesa episcopale per la provincia del Sudan e del Sud Sudan, Daniel Deng Bul Yak, e dal moderatore della Chiesa presbiteriana del Sud Sudan, Peter Gai Lual Marrow. Al centro dell'incontro la gravissima crisi umanitaria che attanaglia il più giovane Paese del mondo, il quale, a luglio scorso, ha compiuto cinque anni, tre dei quali trascorsi in una guerra civile, fratricida e senza fine – nel Paese il conflitto ha assunto drammatici connotati etnici dando luogo ad una serie di regolamenti di conti locali, fuori controllo anche per le stesse milizie rivali –, nata dallo scontro personale e politico tra il presidente Salva Kiir Mayardit (di etnia dinka) e l'allora vicepresidente Riek Machar (rappresentante di primo piano dell'etnia nuer), accusato dal primo di aver ordito un colpo di Stato e quindi messo alla porta. La questione sta molto a cuore al pontefice, il quale avrebbe già messo in conto di fare tappa nella Repubblica del Sudan del Sud nel corso di una prossima eventuale visita apostolica in Africa, ancora tutta da programmare. Secondo i tre prelati era intenzione del papa incontrare direttamente i due leader sudsudanesi, ipotesi a quanto pare abortita per l'impossibilità di raggiungere Machar, il quale ha abbandonato il Paese da diversi mesi.

Decine di migliaia sono ormai le vittime di questa guerra trascurata dai media, mentre non si contano più gli sfollati interni e i cittadini sudsudanesi costretti ad abbandonare il Paese in cerca di sicurezza. Il piccolo Stato è allo sbando: l'economia, che potrebbe attingere alle immense ricchezze del sottosuolo, è paralizzata dal conflitto, consegnando al Sud Sudan indici di sviluppo tra i più bassi del pianeta; l'assetto istituzionale è ancora immaturo e oggi sommerso dal caos e dalla corruzione; gli organismi umanitari registrano inoltre anche gravi limitazioni nella gestione degli aiuti, per la difficoltà a consegnare farmaci e beni di prima necessità e per lo stato di abbandono in cui versano anche i campi profughi. Sarebbero oltre 6 milioni i bambini a rischio denutrizione secondo l'Unicef.

Risale al 17 agosto 2015 la sigla del Compromise Peace Agreement, faticoso accordo di pace che imponeva – più per volontà della comunità internazionale che per convinzione dei leader politici in guerra – un cessate il fuoco e una condivisione dei poteri istituzionali tra i due leader rivali. Ma l'intesa, che ha retto poco e male soprattutto nelle “periferie” del Paese, è naufragata con il riesplodere degli scontri nella capitale Juba proprio durante le celebrazioni dell'indipendenza nel luglio di quest’anno. A fine ottobre, Amnesty International ha puntato il dito contro i militari governativi, denunciando omicidi, stupri e saccheggi ai danni della popolazione civile. Ad agosto, invece, l'Onu era intervenuta sulla questione, accusando “regolari” e ribelli di stupri e uccisioni su base etnica. Fatti oggi confermati da una dichiarazione dell'arcivescovo di Juba a margine dell'udienza con il papa: «Guerra, uccisioni, morte, rifugiati, gente nei campi del Paese». Secondo Lukudu Loro tra le popolazioni sudsudanesi serpeggia un senso condiviso di paura e di scoramento, anche di fronte ad un potere politico considerato latitante.

Il ruolo del dialogo interreligioso e interconfessionale è cruciale in una terra lacerata da divisioni e conflitti su base etnica. «Nel contesto delle tensioni che dividono la popolazione e distruggono la convivenza nel Paese – si legge nel comunicato dell'incontro predisposto per la Sala Stampa vaticana – durante l’incontro con il Santo Padre si è preso atto della buona e proficua collaborazione fra le Chiese cristiane, che vogliono offrire prioritariamente il proprio contributo per promuovere il bene comune, per tutelare la dignità della persona, per proteggere gli indifesi e per realizzare iniziative di dialogo e di riconciliazione». «Alla luce dell’Anno della Misericordia in corso nella Chiesa cattolica, è stato sottolineato che l’esperienza fondamentale del perdono e dell’accoglienza dell’altro è la via maestra per la costruzione della pace e dello sviluppo umano e sociale. Al riguardo, si è constatato che le varie Chiese cristiane sono impegnate, in spirito di comunione e di unità, nel servizio alla popolazione, promuovendo la diffusione di una cultura dell’incontro e della condivisione». Le Chiese fanno la loro parte in prima linea, ha confermato anche l'arcivescovo cattolico di Juba, dando vita ad una serie di iniziative ecumeniche per ricostruire pace, dialogo e fiducia, ma oggi hanno bisogno del sostegno anche di Francesco. «Noi, come Chiesa cattolica, a gennaio avevamo chiesto una visita del Santo Padre. Adesso chiediamo, come Chiesa ecumenica, che lui venga». E lui «ha detto: “Io voglio visitare il Sud Sudan”». Lukudu Loro ha poi aggiunto che il Paese ha certamente un disperato bisogno di aiuti umanitari e del sostegno della comunità internazionale, ma anche una visita apostolica del papa potrebbe portare importanti risultati sulla via della pacificazione, perché la popolazione locale «è timorata di Dio». 

* Immagine di Jeffrey Bruno, tratta dal sito Wikimedia Commons. Licenza e immagine originale. La foto è stata ritagliata. Le utilizzazioni in difformità dalla licenza potranno essere perseguite

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