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Umanesimo o barbarie. Cristianesimo e nuovo socialismo in dialogo

Umanesimo o barbarie. Cristianesimo e nuovo socialismo in dialogo

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 40 del 19/11/2016

Davide Nota, scrittore, poeta e "agitatore" culturale, classe 1981, e Simone Oggionni, nato nel 1984 e membro della Segreteria nazionale di Sinistra Ecologia Libertà, sono i giovani autori di una “lettera in bottiglia” sul rapporto tra cristianesimo e nuovo socialismo (la generazione europea di Syrizia e di Podemos, per intenderci, la voce dei giovani precari che non vogliono arrendersi alla guerra tra poveri o alla xenofobia come risposta alla crisi). Questa lettera è la traccia di un dialogo intrapreso da diversi mesi con alcune personalità della Chiesa più di frontiera, e segue un primo articolo pubblicato sul manifesto lo scorso 18 maggio. L’intenzione è quella di convocare un'assemblea, o un convegno, tra intellettuali e filosofi della nuova sinistra sociale italiana e Chiesa per discutere dell'emergenza storica in atto (per contatti scrivere a dadonota@hotmail.it).


Solo un dialogo tra socialismo e cristianesimo può salvarci dalla barbarie. Meglio: può farlo un’alleanza, in forme inedite, laiche, che metta al centro l’umanesimo sociale.

Scriviamo da qui, dalla vecchia Europa: questa è la nostra visuale. Lo «sviluppo senza progresso» dal quale Pasolini ci metteva in guardia nei suoi Scritti corsari, la volontà di potenza amorale dell’interesse economico privato posto in contraddizione con il bene comune oggi si mostra nelle sue più esasperate conseguenze. Il dominio della tecno-finanza (gli enormi profitti senza redistribuzione), dell’industria militare (le mire egemoniche di antiche e nuove potenze; e gli interessi delle lobby di determinare un conflitto e uno scontro di civiltà) e dell’industria farmaceutica (gli interessi palesemente ostili alla diffusione della sanità) mettono a rischio l’umanità. Nel frattempo, la democrazia evapora: contano e decidono le oligarchie, centinaia di milioni di persone assistono passivamente allo spettacolo delle élite. Non bisogna avere paura delle parole, quando queste raccontano la verità.

Assistiamo al ribaltamento patologico di mezzo e fine. Dall’economia come mezzo per il fine che è la vita umana, alla vita umana come mezzo per il fine economico. Ma siamo già oltre, perché lo sfruttamento della vita umana non è più sufficiente. Il fine economico non è saziabile con lo sfruttamento del lavoro umano e, al contempo, può farne a meno. Qui va inquadrata la guerra odierna per via legislativa e per via culturale al lavoro e alla sua dignità.

Se il capitalismo degli ultimi trent’anni aveva assunto il pensiero che l’accumulazione della ricchezza avrebbe aiutato il lavoro proporzionalmente al proprio sviluppo, oggi – dentro la crisi – siamo oltre. All’empireo in cui si volatilizza la ricchezza fa da contraltare il precipizio dei ceti bassi (masse crescenti di disoccupati, masse crescenti di lavoratori precari e con salari intollerabili) che trascina con sé anche la mitica classe media. Che non consuma più mentre (e perché) i ceti bassi non producono più. Determinando la contrazione produttiva, in una spirale viziosa e senza fine. Ma la tecno-finanza regge, perché si sposta altrove. Fuori dal ciclo di produzione e consumo. Ma dove esattamente? 

In un nuovo modello nel quale, lungi dal liberare il lavoro e l’essere umano dal lavoro, lo sviluppo tecnologico affidato alle mani dell’intelligenza capitalistica imbriglia l’uno e l’altro. Alle sue spalle agisce la dialettica dell’illuminismo e cioè il paradosso della negazione, attraverso la razionalità tecnocratica, di quella stessa libertà che il moderno aveva cercato precisamente nella ragione, nella scienza e nella tecnica. 

L’èra della “ragione strumentale”, che avrebbe dovuto liberare l’uomo dalla tirannide per mezzo della tecnica, si conclude cioè con una spietata tirannide della tecnica sull’essere umano. Come in molti romanzi di fantascienza il meccanismo si ribella ai suoi stessi custodi. La classe di intermediazione non è più necessaria: così anche la borghesia viene schiacciata da quello che pensava fosse un proprio strumento. La storia moderna è questo lungo passaggio dalla teocrazia alla tecnocrazia. Entrambi i domini sono risultati ostili alle esigenze della vita umana.

Eccoci qui, dunque, in un paesaggio storico dominato da una nuova stirpe di ciclopi antropofagi, “mostri giganti” con “animo ingiusto”, come il Polifemo descritto da Omero nel Libro IX dell’Odissea, e cioè senza limiti e misura, solo mossi da una meccanica volontà di potenza. In questa lunga traversata del deserto una speranza di salvezza e palingenesi storica è ancora possibile?

“Umanesimo” è la parola d’ordine che proponiamo per la sfida in atto. Non un “nuovo umanesimo”, che in sé celi e ribadisca il principio di potenza sterminatrice della borghesia occidentale decaduta dal Rinascimento agli autoritarismi del Novecento, ma un “umanesimo nuovo”, e cioè inedito, inaudito, intenzionato a riformulare un’intera idea di società in cui i confini tra il “mezzo” (la tecnica) e il “fine” (la vita umana) siano ristabiliti e salvaguardati nell’umiltà, anche, di dichiarare abolito tanto lo sfruttamento dell’essere umano sull’essere umano quanto quello – ed è qui lo scarto con le esperienze traumatiche del passato – dello Stato sull’individuo o dell’utopia universale sull’esperienza concreta e tangibile di ogni singola differenza esistenziale. Dietro le categorie astratte e le ideologie statiche c’è la vita, nuda, di chi abita il mondo, con le proprie sofferenze, i propri desideri, le proprie contraddizioni. Perfino con le proprie impurezze, quelle che Primo Levi riconosceva decisive «perché la ruota giri e perché la vita viva […]. Ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape». L’umanesimo nuovo è il progetto di trasformazione dell’esistente, dei meccanismi di dominio e di subordinazione, a partire dall’amore per il grano di sale e di senape, dalla cura di ciascuno e per ciascuno, che è solidarietà ed è misericordia.

Qui una nuova “sinistra europea” può incontrarsi e riconoscersi in un popolo vasto, dalla gioventù della precarietà radicale da cui essa stessa è animata agli assetati di speranza provenienti dal profondo sud del pianeta, per le strade di un mondo in cambiamento al quale il Concilio Vaticano II è finalmente tornato a parlare. «E al mattino: oggi burrasca, perché il cielo è rosso cupo. Sapete dunque interpretare l’aspetto del cielo e non sapete distinguere i segni dei tempi?» (Matteo 16,3). Sì, la Chiesa è tornata a interpretare il segno dei tempi. È stata la Chiesa di Giovanni XXIII e poi di Paolo VI, di quella Populorum progressio che chiama «tutti gli uomini di buona volontà» all’unico obiettivo: «Lo sviluppo integrale dell’uomo e lo sviluppo solidale dell’umanità». Torna oggi nella Chiesa di Francesco, che con l’enciclica Laudato si’ riconnette «i gemiti degli abbandonati del mondo» con «i gemiti di sorella Terra, con un lamento che reclama da noi un’altra rotta».

Ma il dominio presente e le sue potenziali catastrofi non consentono più la solitudine dei cammini separati. Questa rotta dobbiamo tracciarla insieme. «Occorre sentire nuovamente che abbiamo bisogno gli uni degli altri, che abbiamo una responsabilità verso gli altri e verso il mondo», dice Francesco. Viviamo una fase di profonda trasformazione. La politica italiana ed europea in primo luogo, attraversata dai segni della malattia cronica di intere classi dirigenti che non sono state argine alla disumanizzazione del mondo. La sinistra storica in prima fila, incapace di prospettare un orizzonte diverso, di camminare in direzione contraria ai processi della tecno-finanza. E, allora, in un contesto in movimento ognuno è chiamato a dire a voce alta il proprio nome. 

Il nostro è il nome di un umanesimo sociale nato nelle strade dei Social Forum all’alba del nuovo millennio e che oggi, dalla Grecia di Syriza alla Spagna di Podemos, dal Labour britannico di Jeremy Corbin alle lotte francesi contro la loi travail, si affaccia e propone un’alternativa. Ambiziosa ma necessaria: offrire allo scacchiere della Storia una proposta di convergenza e di alleanza con alcune delle più consistenti esperienze di resistenza umanistica del presente, a partire dall’enciclica di papa Bergoglio e dal suo invito alla lotta ecumenica in difesa dell’essere umano e del creato, contro la dittatura della tecno-finanza e dei suoi eredi, la guerra e il terrorismo.

Questa lettera in bottiglia, che affidiamo ai flussi della storia presente, propone un incontro, reale, pubblico, sul tema dell’umanesimo sociale e della barbarie imminente da scongiurare, da svolgersi presto, a Roma, tra intellettuali ed esponenti del nuovo socialismo italiano ed europeo e la Chiesa di Francesco. Iniziamo questo cammino comune sul serio, il prima possibile.

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