
Una lunga transizione. Verso cosa?
Tratto da: Adista Notizie n° 45 del 24/12/2016
Ammettiamolo. Noi grandicelli ci eravamo abituati al dato della staticità. Per molti anni i governi si sono succeduti ma appartenevano allo stesso scenario partitico – in scacchiere e coalizioni sovente fantasiose – comunque stabile, per quanto effimero nella durata di esecutivi e legislature. I sovvertimenti erano interni ai partiti, o meglio, al partito; quello di maggioranza relativa, la Democrazia Cristiana. Il resto del mondo ha preso atto che le cose erano cambiate quando è venuto giù il muro che divideva in due una grande città europea, Berlino. 1989 (ve lo ricordate? Millenni fa…). In Italia ci abbiamo messo un po’ di più, tre anni, per scatenare la sarabanda. Da allora abbiamo realizzato di essere approdati in un tempo in cui la vita dei partiti e delle presidenze del consiglio era non solo travagliata, ma soggetta alla legge della transitorietà; secondo le nuove leggi della mutevolezza mediatica, che macina volti e storie con la velocità con cui si consumano le cose di poco conto.
Non so supporre niente a riguardo di Matteo Renzi, se tornerà al governo o se è destinato al rapido oblio (politico) di molti altri. Il risultato del referendum costituzionale lo ha visto sconfitto e dimissionario, ma non come segretario del suo partito. Al suo posto Paolo Gentiloni, educazione cattolica, poi un passato nella sinistra extraparlamentare, ed un transito graduale al PD. Non so neanche arguire potenzialità e longevità del suo governo. Per adesso, a lista di ministri a giuramento appena letta, appare evidente che si tratta di una compagine in totale continuità con la precedente. Il suo compito: terminare a breve facendo ponte verso le elezioni o disporre per il fine legislatura, con più di un anno davanti? Il quadro complessivo è, a dir poco, fluido. Se lo scenario globale sembra indicare un clima prossimo poco favorevole alla sinistra, anche quella (estremamente, qui da noi) moderata, è pur sempre vero che si sono affacciate al proscenio politico forze non facilmente classificabili secondo le categorie classiche: a loro dire, intenzionalmente. Vedremo se si può prescindere dalla costituzione partitica per definire un soggetto politico o se la formula di un movimento può assolvere a questo compito, se quella che sembra la dinamica vincente – lavorare sul piano emotivo dell’elettorato attraverso l’uso mediatico della paura, del pregiudizio, dell’ignoranza e della falsificazione massiva della verità – avrà la possibilità di tornare al potere e di esercitarlo fattivamente. Di certo c’è la crisi evidente di una classe politica che non riesce ad essere migliore del resto del Paese (e non si può forse neanche pretenderlo), ma è ahimè anche allineata alle sue caratteristiche peggiori, con un tramonto delle idealità utopiche devastante. Almeno per chi crede ancora al potere dei sogni collettivi sulla tutela delle persone, in particolare delle meno garantite e più in difficoltà e marginalizzate, come dovrebbe essere in una dimensione non così idealistica come potrebbe sembrare. C’è della razionalità nella tutela delle strutture democratiche, nella difesa dei diritti fondamentali, nell’attenzione costante a chi non ha valenze rappresentative forti. Nell’apparente eclisse delle strutture associative di garanzia, come il sindacato o le associazioni solidali, che continuano a fare il loro lavoro pur in una crisi rilevante e senza avere sponde partitiche valide. Si pensi a come poi governano soggetti che vi provengono quando poi arrivano a incarichi istituzionali… intanto i problemi veri urgono. Povertà diffusa per numeri agghiaccianti, paese non in sicurezza da molteplici punti di vista, parziale fallimento del sistema educativo ed etico morale (analfabetismo funzionale al 47%; violenza intrafamiliare verso donne e bambini alle stelle), un intero mondo che si mette alla porta di un sistema politico finanziario che depreda e distrugge con lo strumento delle guerre, per riprendersi il dovuto per vivere. Intanto 62 milioni di euro al giorno per spese militari e pochissimo dissenso e consapevolezza a riguardo. Posso citare il recente premio Nobel Bob Dylan? «Cerca di avere solide radici quando soffieranno i venti del cambiamento». Ci siamo, qua stiamo, non è possibile pensare che possiamo smettere di fare la nostra parte. Coraggio.
Andrea Bigalli è parroco a Sant’Andrea in Percussina (Fi) e referente di Libera per la Toscana
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