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Il bastone e la carota

Il bastone e la carota

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 7 del 18/02/2017

Inauguriamo, con questa nuova rubrica, un osservatorio sull’amministrazione Trump e sulle sue ricadute a livello politico e sociale. L’abbiamo affidata a un testimone diretto, il prof. Edmondo Lupieri, docente di Nuovo Testamento e Cristianesimo delle origini alla Loyola University di Chicago, che vive negli Stati Uniti da molti anni. Tra gli ultimi volumi pubblicati, In nome di Dio. Storia di una conquista (Paideia 2014), Giovanni e Gesù: Storia di un antagonismo (Carocci 2013). 

A chi voglia decidere, fra le direttive smitragliate dal neo-presidente nelle prime due settimane di attività, quale sia la più dannosa o pericolosa o quella apparentemente meno sensata, si presenta un drammatico imbarazzo della scelta. Una riflessione etica, quindi, qui si impone quotidianamente mentre assistiamo dal basso, fra un tweet presidenziale e un altro, a una trasformazione strutturale del nostro mondo in una direzione che va contro quella che credo dovrebbe essere una visione etica genericamente cristiana, nonostante gli strombazzamenti ufficiali. 

Le reazioni fra la gente non sono limpide, poiché una campagna di paura abilmente orchestrata spinge a prendere posizione anche contro i nostri interessi. I primi sondaggi dicevano che il 49% degli americani adulti era a favore del decreto discriminatorio verso immigrati e rifugiati musulmani (solo il 41% era contrario, mentre il 10% sarebbe stato “indeciso”). Gli ultimi sondaggi ora danno risultati leggermente diversi, a seconda del campione e di chi gestisce i sondaggi stessi e i contrari sarebbero in aumento. Nel frattempo il potere giudiziario sembra deciso a limitare quello che è percepito come strapotere dell’esecutivo, in un conflitto ben noto agli italiani sin dai tempi di Craxi e Di Pietro, ma che qui desta stupore e confusione (e, francamente, nessuno capisce come andrà a finire).

Il neo-cardinale Blaise Cupich, arcivescovo di Chicago di origini croate, aveva scritto (prima dell’intervento dei giudici) il 29 gennaio: «Questo fine settimana si è dimostrato un momento buio nella storia degli Usa. L’ordine esecutivo di respingere i rifugiati e chiudere la nostra nazione a quanti, specialmente musulmani, fuggono violenza, oppressione e persecuzione, è contrario ai valori cattolici e americani». E concludeva con una metafora evangelica di papa Francesco: «“La misura che usiamo con gli altri sarà la misura che il tempo userà con noi”». Il termine “misura” in inglese è yardstick, cioè il bastone lungo una iarda. Se questo è il bastone, però, Trump ha già incominciato a servire la carota ai cattolici: nuove disposizioni antiabortiste.

La questione è delicata. Prima di tutto vediamo qualche dato (online in un sito conservatore): in Usa e Canada, la percentuale di gravidanze terminate in un aborto, per gli anni 2010/14, si attestava sul 17-19%, come nel Nordeuropa. In Europa del Sud eravamo al 29%, mentre in quella dell’Est al 38% (non sembra quindi che una forte presenza cattolica o ortodossa sia un deterrente, ma che, come al solito, il ricorso all’aborto sia soprattutto fondato su fattori economici e culturali).

In Usa la legge, con varianti da Stato a Stato, permette l’aborto fino a che il feto non sia “vitale” (cioè fra la 24a e la 26a settimana). Ancorché i casi siano rari, un’Ivg al quinto mese di gravidanza comporta aspetti brutali e laceranti, credo, per qualsiasi donna. La campagna antiabortista fa ovviamente leva su questo aspetto estremo. La sinistra laica americana, di contro, fa della legge attuale (una fra le più permissive al mondo, sembrerebbe) il baluardo intoccabile della resistenza a qualsiasi modifica che riduca quelli che paiono vantaggi acquisiti delle donne. A me sembra che tale linea intransigente sia un errore strategico, così come lo è quella opposta, del rifiuto frontale all’aborto. Gli spazi per un compromesso sono ridotti e certo sono lontani i tempi in cui papa Callisto avrebbe pragmaticamente tollerato che matrone cristiane abortissero, se incinte dei propri schiavi, ma l’invito di papa Francesco a non cristallizzare la posizione etica cattolica centrandola sull’opposizione all’aborto, sembra indicare un sentiero di ragionevolezza. Qualunque sia la nostra idea di essere umano, tutti dovremmo convenire che una pratica abortistica, soprattutto se sostitutiva di pratiche contraccettive, sia dolorosa e dannosa e dovrebbe essere evitata per quanto possibile.

Comunque, vedere un riccastro bianco e potente, sposo infedele di una modella di origini slovene, di cui antiche foto osé circolano impietose su Internet (il primo caso di una first lady, qui negli Usa; dicono che Berlusconi avesse fatto sparire tutte le immagini reperibili di Veronica Lario ignuda, salvo poi farle ricomparire durante i dissidi del divorzio nel famoso articolo sulla “Velina ingrata”, a firma di Feltri), uno che si vanta in pubblico delle proprie bravate sessuali, circondato da altri uomini tutti e solo bianchi, tutti ugualmente e notoriamente razzisti e sessisti, approvare norme che in primo luogo riguardano le donne, di solito di colore e in miseria, umana, culturale e sociale, ha fatto un certo effetto. Norme repressive, senza accenni ad aiuti concreti alle donne in difficoltà e, anzi, collegate con tagli di fondi a un’educazione pubblica sempre più necessaria, soprattutto per chi non ha i soldi per andare in una scuola privata. Ora speriamo nell’effetto boomerang: se “ne fanno più che Bertoldo” sin da subito, l’opposizione dovrà pur crescere. 

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