Le sorti del Pd. Scissione del partito e rilancio della sinistra
Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 11 del 18/03/2017
Crescono le disuguaglianze sociali, la crisi economica è sempre più grave e continua a peggiorare la situazione ambientale del pianeta: ha ragione il sociologo Marco Revelli quando col titolo di una sua recente pubblicazione afferma che: “La lotta di classe esiste e l’hanno vinta i ricchi” (Laterza, ottobre 2014). Siamo quindi di fronte a una profonda crisi della democrazia nell’intero Occidente che sembra proprio l’ineluttabile conseguenza della subordinazione della politica al dominante sistema economico. E in questo quadro vanno riguardate le complicate vicende delle forze politiche del nostro Paese e segnatamente di quelle del Partito Democratico che avrebbe dovuto realizzare una feconda sintesi del socialismo dal volto umano e del solidarismo cristiano ed è invece diventato un confuso e contraddittorio miscuglio di esperienze diverse tenute insieme da una “vocazione maggioritaria” che non è di per sé un valore e può degenerare nell’esercizio del potere fine a se stesso se non viene orientata verso concreti obiettivi di promozione sociale. Un male questo al quale, con l’avvento del renzismo, si è aggiunto quello di una mutazione genetica con manifestazioni schizofreniche, tanto che il PD si definisce “di sinistra” mentre adotta politiche mutuate dalla destra berlusconiana ed esalta la sua democraticità mentre subisce le suggestioni del motto autoritario “un uomo solo al comando” restringendo gli spazi della partecipazione democratica.
È facile allora cogliere, ben oltre le possibili ostilità personali, le ragioni di fondo che hanno indotto diversi esponenti del Partito Democratico a formalizzare la recente scissione per dare vita a una nuova forza politica denominata “Articolo 1-Movimento democratici e progressisti”, una formazione «di centrosinistra aperta alla cultura del socialismo, a quella cattolico-democratica e al civismo». Una forza che, col richiamo all’art.1 della Costituzione («L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro») sembra volersi caratterizzare per l’impegno di promuovere politiche rivolte a dare finalmente attuazione ai principi e alle direttive della Carta Costituzionale. Un messaggio che, sul versante della politica economica, partendo dal citato art.1 (il lavoro come valore fondativo dell’ordinamento), si esplicita nell’art.3 (lotta alle disuguaglianze sociali per favorire l’effettiva partecipazione dei lavoratori alla vita del Paese), si concretizza nel Titolo III della prima parte dello Statuto (l’attività economica e la proprietà, l’una e l’altra pubblica e privata, devono essere indirizzate a fini sociali) e indica con l’art. 53 in un «sistema tributario informato a criteri di progressività» lo strumento d’elezione per realizzare una più equa distribuzione della ricchezza.
Il fatto è che la sinistra riformista della terza via alla Blair e alla Clinton è ormai in crisi in Italia, in Europa e in America dal momento che pratica politiche economiche modellate su quelle della destra neoliberista. E lo fa precarizzando il lavoro, smantellando progressivamente lo Stato sociale, operando indiscriminate privatizzazioni, a-ziendalizzando la sanità e la scuola, riducendo i presidii a tutela dei lavoratori e assecondando la decurtazione di salari e pensioni nella presunzione di potersi salvare l’anima “progressista” con qualche timida riforma in materia di diritti civili. E chiude così le porte a tutte le domande di autentico cambiamento aprendo la strada agli estremismi e ai nazionalismi di destra che l’establishment definisce populismi equiparando strumentalmente ad essi movimenti di protesta e di opposizione di natura diversa come quello pentastellato. Un movimento, quest’ultimo, nel quale sono oggi presenti anche sensibilità ed energie di sinistra che nel PD non si trovavano in casa propria e alle quali occorrerebbe guardare con attenzione e apertura.
C’è allora da chiedere se il Movimento dei democratici e progressisti di recente costituzione, nell’affermare la centralità del lavoro nel programma in via di allestimento, assuma davvero una posizione di aperto contrasto nei confronti del neoliberismo in sintonia con i valori dei movimenti di emancipazione sociale di ispirazione socialista e con le sensibilità e gli aneliti del pensiero sociale cristiano che oggi trova nel messaggio di papa Francesco la sua più autentica ed alta espressione. E c’è anche da domandare se non sia tempo che le diverse formazioni sociali e politiche della sinistra, tutte ovviamente in linea col messaggio costituzionale difeso e riproposto dal recente responso referendario, non debbano finalmente avvertire il dovere di unirsi o almeno collegarsi per un impegno comune.
Con un’intervista al Corriere della Sera e poi con una “Lettera agli amici” pubblicata da il Manifesto del 6 luglio 1999 quel “maestro” del giornalismo italiano che è stato Luigi Pintor, con l’intento di favorire il superamento delle tante divisioni a sinistra, avanzava la proposta che le forze di tale area dessero vita a una federazione o stringessero un patto di unità di azione o, almeno, di consultazione. Ci furono alcune risposte di segno positivo, ma l’iniziativa di quella voce libera ed eretica della sinistra di quel tempo non ebbe purtroppo fortuna. Oggi però quell’appello, che si appalesa di scottante attualità, andrebbe accolto per favorire l’impegno unitario di una sinistra critica e culturalmente plurale da costruirsi con l’apporto di tutte le forze e le esperienze disponibili.
Una sinistra al servizio di un progetto di politica economica che indichi l’obiettivo del superamento del capitalismo verso forme originali di politica economica capaci di valorizzare l’intervento pubblico con scelte al riparo dal rischio di ricadute nelle degenerazioni stataliste del passato. Un progetto da attuare in due tempi: il primo, con riforme neo-keynesiane per una incisiva correzione delle politiche neoliberiste e il secondo tempo per un progressivo mutamento del sistema in sintonia e in collaborazione con le sensibilità e le forze che in Europa e nel mondo si stanno muovendo in tale direzione. E segnali incoraggianti al riguardo provengono infatti dalle idee che si muovono negli Stati Uniti con l’esponente democratico Bernard Sanders, in Gran Bretagna col leader laburista Jeremy Corbyn, in Francia col socialista Benoit Hamon, in Spagna col socialista Pedro Sanchez favorevole a un’alleanza con Podemos e i sindacati, in Portogallo coi socialisti al governo sostenuti da una coalizione che include ambientalisti e comunisti e in Germania con i settori più avanzati del partito socialista i cui orientamenti sembrano oggi trovare positivo riscontro in alcune dichiarazioni del leader socialista tedesco Martin Schulz candidato nelle prossime elezioni politiche di quel Paese.
* Michele Di Schiena è presidente onorario aggiunto della Corte di cassazione
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