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Un Cile in crisi riceverà il papa. In ansia la diocesi del vescovo Barros, amico del pedofilo Karadima
Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 22/07/2017
39035 SANTIAGO DEL CILE-ADISTA. Lo dice il card. Jorge Medina che il problema dei mapuche (v. notizia precedente) sarà una delle questioni che papa Francesco affronterà nel suo viaggio in Cile (15-18 gennaio prossimo, con tappe a Santiago, Iquique, città d’immigrazione, e Temuco, territorio mapuche; poi si recherà in Perù, fino al 25/1). Lo dice parlandone con ampiezza – a dimostrazione di quanto sia presente nell’agone politico del Paese – in un’intervista rilasciata al quotidiano cileno El Mercurio, il 28 giugno, qualche giorno dopo dell’annuncio della prossima visita papale in Sudamerica. «Il Santo Padre Francesco, che è ben informato sulla realtà cilena», afferma, «offrirà sicuramente dei suggerimenti che possano migliorare la nostra convivenza». Certamente, la ricerca di «una soluzione passa dalla rinuncia alla violenza come mezzo per ottenere risultati positivi»: il conflitto nella zona mapuche «è molto complesso», «perché ha precedenti storici, culturali, ideologici, economici e religiosi», «ma bisogna distinguere fra le rivendicazioni dei gruppi violenti ed estremisti» – e «non posso capire cosa li abbia indotti a distruggere tempi cattolici ed evangelici» – «e i desideri della grande maggioranza che anela a realizzazioni possibili e ragionevoli».
Comunque, non è un buon momento per il Paese, si vive «una certa tensione, per diverse cause»: «gli indicatori economici – spiega il cardinale – non favoriscono un giudizio positivo sul governo» della presidente Michelle Bachelet, ormai in finale di partita (il papa incontrerà il nuovo presidente); e «si sono approvate leggi che indeboliscono l’istituto matrimoniale», mentre «è in itinere un progetto di legge che autorizza l’aborto». Neanche per la Chiesa sono rose e fiori, perché secondo Medina la Chiesa soffre di un «doloroso indebolimento: calo dei battesimi, delle cresime e dei matrimoni; molto poche sono le vocazioni al ministero sacerdotale e anche alla vita religiosa». «Ci sono indubbiamente realtà positive e incoraggianti, ma che non riescono a dissipare i nuvoloni che si profilano all’orizzonte». Il problema sta, per il cardinale, nell’«indebolimento della fede». Punto. Tutta in questa osservazione l’analisi delle cause della penosa situazione ecclesiale.
Francesco dovrebbe chiedere perdono
Si guardano bene, giornalista e cardinale, dal toccare il ganglio più sensibile e doloroso dell’attualità ecclesiale cilena: la frattura della diocesi di Osorno fra fedeli e vescovo, quel Juan Barros che testimoni dicono complice del sacerdote pedofilo Fernando Karadima e che papa Bergoglio ha voluto nominare malgrado le proteste di tanti osornini e tanti cileni (v. Adista Notizie nn. 4, 10, 13, 14 e 26/15). Si chiede il teologo gesuita cileno Jorge Costadoat sul sito Reflexión y Liberación (4 luglio). «Che dirà Francesco sulla situazione della Chiesa di Osorno? Barros lo ha nominato e difeso con le unghie e con i denti. Ha rifiutato di ascoltare la protesta degli osornini che non vogliono come pastore un uomo di Karadima». Per questa protesta «il papa ha trattato gli osornini da “stupidi” (v. Adista Notizie n. 35/ 2015, ndr). Dovrebbe chieder loro perdono», suggerisce p. Costadoat. «Ed inoltre dovrebbe trovare una soluzione al problema creato. I laici sono adirati, i sacerdoti divisi e depressi (in vari hanno chiesto l’incardinazione in altre diocesi, ndr) e i ragazzi non vogliono ricevere la cresima dalle mani del vescovo Barros».
Concorda con Costadoat un altro sacerdote gesuita molto noto, in Cile e non solo, p. Felipe Berríos, fondatore dell’associazione “Techo” (Tetto, “uniti per un mondo senza povertà”, che si dirama in vari Paesi latinoamericani), missionario in Burundi nel Servizio Gesuita dei Rifugiati e in Congo. In un’intervista, ancora su Reflexión y Liberación (28 giugno), ha detto di credere che sia stato un «errore» da parte del papa definire i contestatori osornini «stupidi», ma «deve essere chiaro» – ci tiene a precisare – che il maggior responsabile della nomina di Barros è il nunzio apostolico Ivo Scapolo, che deve dare spiegazioni alla società cilena, e che soprattutto ha messo il papa in una situazione scomoda, perché la Conferenza episcopale – informa p. Berríos – non voleva questa nomina di Barros». Il quale continua a tacere sulla sua situazione, ed «è un assurdo»: «In pratica – osserva Berríos – non c’è pastore nella diocesi di Osorno», ma «è male non avere direttive pastorali. Esiste un’assenza perché il pastore ha paura di incontrarsi con la gente e di dialogare, con un danno tremendo. Questo è un problema per la comunità di Osorno, e per tutta la Chiesa cilena è una spina, un sasso nella scarpa». In realtà, «ci sono sfide molto più importanti che il clero deve affrontare: disuguaglianza, migranti, famiglie accampate… queste dovrebbero essere le prime preoccupazioni, ma affiora sempre questo tema perché è un sasso nella scarpa. È assurdo che uno che dice di essere il pastore non sia capace di dare soluzione facendosi da parte».
* Foto di Jeffery Bruno tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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