Credo nella vita oltre la morte
Tratto da: Adista Documenti n° 42 del 09/12/2017
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«Forse, fondamentalmente, con il compimento del processo creativo, la personalità finita raggiungerà il suo scopo e diventerà una cosa sola con la realtà eterna, ma non abbiamo bisogno di conoscere adesso quel futuro ultimo. Ciò che abbiamo bisogno di conoscere è come vivere ora. Questa è la via dell’amore, testimoniata dai santi e dai mistici di tutte le grandi tradizioni» (John Hick). (...).
Ho mostrato che la religione è il campo in cui la famiglia umana ha a lungo cercato risposte. Ho scartato le due fondamentali premesse della religione: primo, che Dio è altro, un essere soprannaturale che può fare per me ciò che io non posso fare per me stesso, una formulazione che necessitava mi guadagnassi il favore di Dio; e secondo, che l’autocosciente vita umana è alienata dall’essere soprannaturale e che sia necessario superare questa alienazione con qualche tipo di espiazione. In queste due premesse noi, sia come individui sia come specie, abbiamo investito la nostra speranza che la vita avesse un senso ultimo, un chiaro scopo e la possibilità dell’eternità. Queste premesse, tuttavia, non poterono essere sostenute man mano che aumentavano le nostre conoscenze. Le alternative per la vita umana erano desolanti. Potevamo rifiutare di ammettere che le premesse sulle quali si basavano i nostri sistemi religiosi erano fatalmente viziate e vivere nella negazione. Questo cammino è sempre presente nel mondo della religione. In caso contrario, potevamo riconoscere che la religione è sempre stata illusoria, più una ricerca di sicurezza che una ricerca di verità, e quindi abbandonarla volentieri, affrontare le conseguenze e fare i conti col fatto di essere nulla più che creature fortuite in un universo fortuito. (...).
Ho cercato di abbozzare una nuova possibilità. Ciò implica un cambio di paradigma di proporzioni gigantesche. Ciò riconosce sia la magnificenza sia il potenziale dell’umanità. Essenzialmente ci guida a una nuova definizione di cosa è la vita e a una ridefinizione di gran parte di ciò che abbiamo sempre ipotizzato riguardo a Dio. Sono arrivato a questi nuovi concetti non abbandonando le mie convinzioni religiose di ieri, ma trascendendole. Ho iniziato a vedere Dio in una maniera radicalmente diversa: come parte della coscienza universale di cui partecipavo.
Il viaggio che ho intrapreso per raggiungere questo punto, credo, è il viaggio che dobbiamo intraprendere tutti. Spero di averlo tracciato accuratamente. Sono il dono unicamente umano della conoscenza e l’incredibile potere umano di pensare e di esplorare il significato della vita che ci permettono di entrare in questi luoghi dove pochi di noi hanno camminato prima, per trascendere i limiti della nostra umanità e, finalmente, toccare ciò che è eterno. Posso dire che, almeno per me, è stato solo quando ho iniziato a vedere questo viaggio semplicemente come il passo successivo in un viaggio umano, un viaggio che inizia quando la coscienza infine si trasforma in autocoscienza, che ho potuto iniziare ad accettare l’idea che la religione era ed è solamente una fase attraverso la quale dovevamo passare. La nostra vera illusione in quanto esseri umani non era il contenuto della religione; era la nostra supposizione che attraverso la tradizione religiosa potevamo arrivare alle risposte finali della vita. Abbiamo dovuto camminare attraverso la paura prodotta dall’abbandono di quella illusione prima di poter scoprire gli indizi che sfociavano in una nuova autocomprensione umana. Il nostro destino ultimo non era di essere creature umane religiose, come pensavamo una volta: era semplicemente quello di essere pienamente e completamente umani. La religione, quell’attività umana alla quale una volta legavamo il nostro destino, è ora rivelata solamente come una fase della vita che deve essere trascesa prima di poter scoprire il nostro destino. L’umanità non è sola, come pensavamo un tempo, separata da Dio e quindi bisognosa di soccorso. Siamo sempre più consapevoli che siamo parte di ciò che Dio è e che siamo tutt’uno con tutto ciò che Dio è. All’improvviso aveva senso per me che l’antico nome di Dio riportato dalle scritture ebraiche fosse parte del verbo “essere”. Dio, il grande “Io sono”, si mescola con le dichiarazioni “Io sono” che ognuno di noi deve fare nel suo viaggio nell’autocomprensione.
Era destino umano attraversare il pauroso e il limitato al fine di scoprire il trascendente e l’infinitamente reale. Abbiamo dovuto attraversare l’autocoscienza per scoprire la coscienza universale. Abbiamo dovuto attraversare il confine del tempo per scoprire il senza tempo. Questo era necessario prima che potessimo reclamare la nostra identità come parte di ciò che Dio è.
È solo ora che possiamo percepire che la finitezza alla fine sfocia nell’infinito, che la terra è l’ingresso verso il cielo e che l’umano è e può essere trasformato nel divino. Ed è qui che tutti i simboli religiosi iniziano a sfumare, non più necessari. La religione era semplicemente l’ambito nel quale la parte nascosta della mia umanità stava lottando per nascere. Non denigro affatto questo ambito. La religione è per me qualcosa di simile a ciò che Paolo diceva fosse la legge per lui, un maestro che l’ha guidato a diventare e a essere qualcosa di più. (...).
È stato allora che ho iniziato a guardare in modo diverso a quella esistenza unica chiamata Gesù di Nazareth e a vedere in lui cose che non avevo mai visto prima. Gesù non era la forma umana di una qualche divinità esterna che ha invaso il mondo per mascherarsi da essere umano, nella cui credenza siamo stati cullati per tanto tempo. Abbiamo pensato che queste affermazioni lo elevassero quando effettivamente lo denigravano. Gesù era la vita in cui è apparsa una nuova coscienza. La sua coscienza ci ha chiamati, invitati e messo in condizione di essere qualcosa che non potevamo neppure sognare di essere. Gesù era un essere umano così integro, così libero e così amorevole che ha trasceso tutti i limiti umani, e questa trascendenza ci ha aiutato a capire e addirittura a dichiarare di avere incontrato Dio in lui. Questo è ciò di cui parla la storia della risurrezione. Ogni limite umano, compreso il limite della morte, sfumava di fronte a Gesù. In questo modo egli mi ha aperto una porta per entrare nell’ultima arena e per superare l’ultimo confine. Posso vedere in lui ciò che io posso essere: una vita che è una sola cosa con Dio, una sola cosa con me stesso e parte dell’eternità.
Questa è la mia splendida conclusione. La via di Cristo diventa per me un sentiero che si apre sempre verso qualcosa di più. È un sentiero umano che ogni persona in ogni tempo e in ogni luogo può percorrere, indipendentemente dal nome con cui lo si chiama. Il Cristo non è più un simbolo religioso e la via di Cristo non è più una via religiosa. Cristo è il pienamente umano e la via di Cristo è prima di tutto un percorso umano, il segno che la porta d’ingresso in Dio è sempre la stessa poiché è la porta d’ingresso nella nostra stessa umanità. L’unità o totalità di Dio, così profondamente custodita dall’Oriente, si fonde quindi con l’individuazione, così profondamente apprezzata dall’Occidente. L’individuazione all’interno della totalità di Dio ci permette di trascendere tutti i limiti umani di tribù, razza, genere, orientamento sessuale e persino religione. Nessuna separazione è eterna e nessuna differenza può essere alla fine permanente. Perché Dio è essenzialmente uno, e questo significa che ognuno di noi è parte di quell’unità. “Il mio io è davvero Dio”. I mistici hanno ragione. Sono persone con una più profonda coscienza. C’è una sola coscienza, ma solo le persone autocoscienti possono saperlo. Sono finito, ma partecipo dell’infinito. Sono mortale, ma partecipo dell’immortalità. Sono un essere, ma partecipo dell’essere stesso.
Così ho raggiunto il punto del mio viaggio dove, come san Francesco prima di me, accolgo la morte come mia sorella. Vivo apprezzando il fatto che è la presenza della morte che effettivamente rende la mia vita preziosa, dato che mi chiama a vivere pienamente ogni giorno, ed è vivendo pienamente che entro nell’atemporalità della vita.
Altre tre questioni hanno bisogno di essere trattate brevemente, ordinandole quasi solo per titolo, prima di concludere questo libro:
Primo. Questa visione della nostra partecipazione all’eternità è garanzia sufficiente a rendere quelle persone che vivono le vicissitudini e le tragedie dell’esistenza libere di fidarsi del viaggio? Io credo di sì, almeno per me lo è.
Secondo. La vita oltre questa vita è abbastanza personale – così personale da essere reale, come alcuni miei cari amici sembrano richiedere – o le persone rigetteranno queste idee come poco più che meritevoli di un buon esercizio intellettuale? Per me la risposta è ancora sì. Non vedo nella ricerca religiosa della sicurezza, che arriverebbe da una divinità esterna a un centro personale di coscienza, nulla di più che un’illusione. Se questo è ciò da cui dipende il mio destino eterno, allora sono pronto, come molti prima di me, a rifiutarlo come l’ennesima e in qualche modo pietistica espressione della mentalità di sopravvivenza umana. È piena di urla e strepiti, ma non significa nulla. Non voglio essere tradito dall’oppiaceo religioso della mia generazione. Questo, tuttavia, non è ciò che sto cercando di articolare. Ho trovato nella ricerca dell’essere persona un’abilità di abbracciare l’infinito che mi guida alla conclusione che posso e devo partecipare di quell’infinito. Sono una persona che può trascendere il tempo. Posso studiare i secoli passati e posso anticipare e addirittura pianificare il futuro che ancora non c’è. Queste sono le cose che mi portano a concludere che devo, posso e voglio sfuggire alle barriere di tempo e spazio.
La scoperta dell’eterno è qualcosa che può essere trovata, e lo è, mentre ci caliamo sempre più profondamente in noi stessi. L’eternità è in noi. Questo è ciò che rende queste conclusioni intensamente personali. Questo è ciò che ci permette di entrare sia in un nuovo significato dell’essere persona sia in una nuova comprensione di ciò che significa essere umani. Torno ancora una volta a san Francesco d’Assisi per le parole che si trovano in una preghiera a lui attribuita che a mio parere coglie questo concetto: «È donando che riceviamo, amando che siamo amati, perdonando che siamo perdonati e in definitiva è morendo che viviamo». Quando sono libero di dare la mia vita per gli altri, sarò anche libero di morire senza paura o rimpianto, perché sarò in possesso di ciò che è eterno. Attraverso questa lente accolgo ora le parole attribuite a Gesù soltanto dal Quarto vangelo. Allora Gesù, il pienamente vivo, diventa «la via, la verità e la vita» (14,6), poiché è il potenziamento dell’umano che io vedo in lui che diventa l’unico accesso al significato di “Dio”.
Terzo. La domanda che le persone continuamente pongono sulla vita dopo la morte è: conoscerò i miei cari? Non so come rispondere a questo, perché suppone che ci sia un luogo in cui tutti i defunti siano in qualche modo fisicamente radunati in forme riconoscibili e che possiamo andare alla ricerca di coloro che il nostro cuore brama. Comprendo questo desiderio, ma non sono attratto da tali immagini spaziali prive di senso. Ciò che posso dire per questo desiderio è che nessuno di noi diventa umano isolatamente. Siamo piuttosto creazione di coloro che ci hanno amato. È così che siamo stati introdotti alla vita, all’atemporalità e a ciò che intendiamo con “Dio”. Nel processo di avere le nostre vite create dall’amore degli altri, siamo diventati parte delle loro vite e loro sono diventati parte delle nostre. Non possiamo separarci da loro, dato che l’essere stesso di ogni vita umana è stato unito e collegato a tutti gli altri. Così, se uno di noi condivide ciò che chiamiamo l’eternità di Dio, queste vite che sono così profondamente parte di ciò che siamo devono anche condividere quell’eternità con noi. Non posso dire di più. Non sento il bisogno di dire di più. Questo è abbastanza per me. Mi preparo alla morte vivendo. Il mio compito, che vedo come il cuore e il significato del culto, è vivere più pienamente che posso e assaporare la dolcezza che ogni giorno ha da offrirmi. Mentre vivo scandaglierò le profondità della vita, scalerò le vette della vita, e condividerò la mia vita e il mio amore con coloro che sono i miei compagni pellegrini di questo tempo e in questo spazio. Quando morirò riposerò il mio involucro nell’“essere” di cui sono parte. Qui è dove la mia fede mi ha portato. Posso vedere più di quanto posso dire. Posso sperimentare più di quanto riesca a descrivere. Qui è fino a dove le parole possono portarmi. A questo punto avanzo oltre le parole nella meraviglia di una realtà ineffabile.
Sono stato coinvolto per molto tempo nel processo di vivere. Ho persino apprezzato l’invecchiare e l’essere anziano. (...). Se la mia fine dovesse arrivare presto, non ho rimpianti. Se avrò altro tempo da vivere, lo accoglierò. Non riesco a immaginare una vita più benedetta della mia, così che anche i disturbi cronici dell’età mi servono a ricordare quanto la vita sia meravigliosa.
Infine, per dirlo nel modo più chiaro che riesco, credo profondamente che questa vita che amo così appassionatamente non sia tutto ciò che esiste. Questa vita non è la fine della vita. Non posso articolare il contenuto di questo concetto più di quanto abbia già fatto, ma voglio che i miei lettori sappiano che le mie convinzioni, per quanto siano qui poveramente o debolmente descritte, sono vere e sono convincenti per me. L’unico modo che conosco per prepararmi alla morte è di vivere in una maniera che mi permetta di partecipare dell’eternità ogni giorno. Entro nel regno dell’eternità solamente abbracciando il finito. Procedo nel significato della vita restando aperto a ciò che si trova davanti e oltre. Credo che l’amore sia eterno e che sono sostenuto con i vincoli dell’amore dalla mia famiglia, dai miei amici e da innumerevoli conoscenti. Sono per me finestre sulla vita eterna. Li abbraccio e abbraccio la vita eterna attraverso di loro.
Concludo con la domanda con cui questo libro è iniziato. Se qualcuno ponesse a me la domanda che è stata posta tanto tempo fa al leggendario personaggio biblico di Giobbe: «L’uomo che muore può forse rivivere?» (Gb 14,14), la mia risposta adesso sarebbe sì, sì, sì!
Questo è il punto più lontano cui le parole possano condurmi, ma è abbastanza per me. Così concludo questo libro chiamandovi a vivere pienamente, ad amare prodigalmente, a essere tutto ciò che potete essere e a impegnare voi stessi a costruire un mondo in cui ciascuno abbia migliori opportunità di fare lo stesso. Questo per me è essere parte di Dio e fare il lavoro di Dio. Questo per me è essere discepoli di Gesù. Infine, questa è per me la via per prepararsi alla vita dopo la morte. Shalom.
* Parte dell'immagine di copertina del libro di John Shelby Spong VITA ETERNA una nuova visione. Oltre la religione, il teismo, il cielo e l’inferno, a cura di Ferdinando Sudati, prefazione di Federico Battistutta (Gabrielli editori 2017)
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