Nessun articolo nel carrello

Casa, terra, lavoro. Un’economia da catastrofe

Casa, terra, lavoro. Un’economia da catastrofe

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 43 del 16/12/2017

L’intervento che presentiamo, dell’antropologa Alba Monti, docente presso il supercarcere di Lecce, è stato pronunciato durante l’incontro-dibattito “'Questa Economia Uccide’, tra silenzi, rifiuti e possibili risposte”, organizzato dal “Manifesto 4 ottobre” in collaborazione con Associazione Migrantes, Azione Cattolica diocesana, Caritas diocesana, Fondazione Di Giulio, Forum Salute Ambiente e Sviluppo, Legambiente, Libera, MEIC diocesano e regionale, Salute Pubblica, Scuola del Dialogo – Parrocchia S.S. Annunziata Mesagne e svoltosi il 30 novembre scorso presso l’Università di Brindisi. «La tematica scelta prende spunto – si legge nella presentazione dell’incontro – dai ripetuti messaggi di papa Francesco, in particolare dei discorsi tenuti nelle adunanze dei Movimenti popolari di tutto il mondo che lottano per la Terra, la Casa ed il Lavoro, convocati dallo stesso Pontefice per quattro anni consecutivi, che mettono all’indice questo sistema economico, così come si è andato configurando, che produce morti e disuguaglianze».        

Economia ed ecologia: parole simili che non rimano più. Economia. In questa parola su cui oggi rifletteremo insieme è contenuta la parola casa, che in geco si dice oikos. Infatti l’economia è l’insieme delle buone leggi – nomos – che bisogna conoscere e applicare per il buon governo di oikos, della casa. Intesa come azienda privata, l’impresa, o come azienda pubblica, lo Stato (azienda che eroga servizi alla collettività).

Anche Ecologia contiene la parola casa: qui oikos è la casa in cui abitiamo tutte e tutti, cioè la Terra; e logos sono le parole, le teorie, ma anche le scelte pratiche che dobbiamo operare per il suo buon governo.

Noi tutte e tutti sappiamo bene che i migliori risultati all’interno di una Casa – la mia o un’azienda –, i migliori risultati all’interno della casa pubblica, che è lo Stato, la Società, il Paese, all’interno della casa comune, che è la Terra sono assicurati dal nostro fare, cioè dal nostro Lavoro.

Eccole le parole: Casa Terra Lavoro, che in Argentina suonano Techo, Tierra, Trabalho e costituiscono le tre “T” sulle quali vogliamo fermare la nostra attenzione, per meglio comprendere quale paradigma debba avere una buona economia.

Economia e ecologia sono le prime parole che scrivo alla lavagna il primo giorno di scuola quando presento la disciplina che insegno e i suoi contenuti. Io insegno ormai da molti anni Economia aziendale a studenti adulti. Taluni lo sono solo anagraficamente… e io so che sta a me aiutarli a crescere anche come persone. “Aiutarli a”, perché è questa l’azione maieutica alla quale rimanda la parola educazione. Che la “buona scuola”, però, ha cancellato, sostituendola con istruzione. La differenza non è di poco conto. Perché i due termini non sono affatto sinonimi. E la sostituzione non è un caso.

Ci vorrebbe un altro incontro come questo per comprendere insieme come e perché questa scuola abbia scelto di “istruire” cioè di dare le istruzioni, insegnare solo il come fare. Cioè non spiega e non ti fa capire cosa stai facendo, da dove stai partendo, quali implicazioni si porterà dietro il tuo agire: di studente oggi, poi di cittadino e di persona domani. Io scuola ti addestro solo sul come fare per raggiungere il traguardo. Il resto non ti importa, non ti deve importare; per il resto non resta tempo… Per usare una metafora cara a Paolo Coelho: se prima il fine era il cammino (pedagogia, che significa “condurre tenendo per mano”) adesso il fine è la meta (competenze). Come dire che io non ti insegno a camminare tenendoti la mano affinché il percorso sia agevole; no, io ti mostro come arrivare, ti insegno la scorciatoia, e il cammino te lo preparo io. Tu devi solo “fare”. Eccolo, allora, il primo silenzio: istruzione versus educazione.

Ma torniamo all’economia del nostro etimo iniziale, oikos e nomos.

E mostriamo come tutto si tenga: il nuovo modello economico e la nuova scuola; l’economia e l’ecologia che non fanno più rima tra loro; questa economia che non ha come fine ultimo la corretta gestione della casa: Azienda, Società, Pianeta; questa economia che non si prende cura, ma – anzi – fa l’esatto contrario: distrugge, uccide. Questa economia uccide! Sono le parole del papa Francesco a chi ha avuto voglia e orecchie per ascoltare. E occhi per vedere. E mente e cuore per comprendere. Dicendo “uccide”, questo papa sui generis non intendeva usare una metafora, ma dire chiaramente uc-ci-de cioè ammazza, toglie la vita… perché non assicura la Casa, non dà la Terra, non garantisce il Lavoro, che è lo strumento che permette le prime due. Usando la T di Tierra, Francesco si riferisce a un mito assai noto alle sue latitudini: il mito della Terra Senza Mali. E usa un riferimento simbolico per giungere a un diritto concreto: la terra che il latifondo e la nostra economia di rapina stanno togliendo ai popoli indigeni del Sudamerica, ma anche ai popoli nativi di tutti i continenti.

Una delle prime volte in cui ho soggiornato in Amazzonia ho fatto esperienza diretta del tristissimo e   assai diffuso fenomeno delle bambine e dei bambini che a 9-10-11 anni si impiccano perché vogliono raggiungere la Terra Senza Mali della loro tradizione; che non è una sorta di Terra promessa, né un paradiso lontano, ma è la terra che si trova su questa terra; è quella terra che abitavano i loro padri prima dell’arrivo dei bianchi. Ne ho scritto in un romanzo antropologico (Non era cieco il mio Omero indio. In viaggio con gli indios Tukuna, PensaMultimedia, Lecce 2005). E in seguito ho approfondito il problema in un saggio che mi è stato più volte bocciato perché denunciavo senza mezze parole e senza metafore gli orrori dei bianchi tra gli indigeni a quelle latitudini negli anni ’70-’90, e scrivevo di bambine e adolescenti che si tolgono la vita impiccandosi ai rami bassi degli alberi, perché per raggiungere la Terra del mito non devono mai interrompere il contatto con questa terra. Perché si uccidono?

Durkheim avrebbe parlato di anomia, cioè mancanza di punti di riferimento valoriali; l’antropologo brasiliano Darcy Ribeiro e gli stessi indios Guaranì, parlano di iñaron, cioè mancanza di voglia di vivere. Perché hanno ormai preso coscienza che non sono più indios ma non per questo saranno mai bianchi; che la loro vita è ridotta alla marginalità; che in questa economia che li esclude non hanno più la dignità di persone. Nel 2008 il regista Marco Bechis lo ha narrato molto bene nel film La terra degli uomini rossi. Bechis non ha fatto ricorso a espedienti cinematografici o a metafore, ma ha presentato un caso vero, concreto. Tanto concreto che Nadio, il leader guaranì kaiowà che nel film viene ucciso dai fazenderos perché ha organizzato la resistenza del suo popolo, pochi anni dopo il 1° dicembre 2013, è stato ucciso per quello stesso motivo, e per aver denunciato questa triste realtà… per aver strappato il velo del silenzio.

Papa Francesco conosce il mito della Terra Senza Mali e conosce il triste fenomeno delle auto-impiccagioni. Sa bene che gli indios non hanno più terra perché il latifondo e le multinazionali della soia e del biodiesel da canna da zucchero (come la Shell) gliel’hanno sottratta. Sa che gli indios lavorano in regime di semi schiavitù, cioè che lavorano sì, ma non per loro stessi, per garantirsi una esistenza dignitosa e libera (che questa è la funzione antropologica e sociale del lavoro) bensì per arricchire le multinazionali. Sa che non abitano più le tradizionali locas nel cuore della foresta, ma le loro case sono costruzioni ammassate all’interno delle riserve, costruite senza la logica dell’edilizia indigena e senza il rispetto del simbolico; oppure sono gli accampamenti che si vedono sempre più numerosi ai lati della strada, quelli in cui il tetto e le pareti sono i grandi sacchi neri dell’immondizia… dei rifiuti…

Lui conosce molto bene questa realtà. E invece che incoraggiare la speranza consolatoria in un paradiso nel quale dopo la morte gli sfruttati e gli oppressi avranno la loro rivincita sedendo alla destra del Padre, fa riferimento al qui e ora, e si rivolge alle Comunità di base, ma forse anche a me, e a te, affinché sia perseguita non la giustizia divina nel cielo, ma venga applicata la giustizia umana qui sulla terra. Si rivolge agli sfruttati e agli oppressi. Che, sappiamo bene, non sono solo i popoli indigeni del sud America.

Ma sono anche i nativi del nord America, quelli che abbiamo spogliato di tutto, dignità compresa, sin dai tempi del generale Custer e oggi possiamo incontrare solo nelle riserve. Lo sono i nativi d’oriente, Asiatici, Africani, Hutu, Tutsi, Sarhawi, Iraqueni, Persiani… trattati come merce di scambio al pari del petrolio e delle tante ricchezze del sottosuolo dei loro Paesi. Costoro non abitano neppure le riserve, ma i sempre più invivibili campi profughi. Le statistiche dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati ci dicono che a giugno 2017 le persone costrette a fuggir via dal proprio Paese erano 65,5 milioni; a giugno 2016 erano 63 milioni. E a giugno 2018?

Campi profughi. Questa invenzione aberrante è la diretta conseguenza delle tante guerre che abbiamo fomentato per avere un alibi che ci permettesse di espropriarli delle loro terre ricche, e arricchire oltremisura le nostre economie, cacciandoli dalle loro case, impedendo loro un lavoro che dia libertà, dignità, autonomia, benessere.

Ed ecco che torna, come un mantra, Terra Casa Lavoro. Privilegi che sono assicurati a un miliardo di persone, a spese di sei miliardi di schiavi, di esclusi. Perché questa economia crea esclusione, che è morte sociale. Ma anche morte reale, concreta, come quella creata dalla guerra. Guerra: lo strumento principale di cui questa economia si serve per imporre se stessa e le sue leggi. Ecco perché, fuor di metafora, questa economia uccide.

Li uccide “a casa loro”, ma li uccide anche quando vengono alla ricerca di un’altra casa… e gli Stati se li contendono perché una economia aberrante è legata anche ai campi profughi, (come quelli della Libia, dove l’unico mercato che fa registrare buone vendite è il mercato degli schiavi…); è legata agli aiuti che Stati promettono ad altri Stati perché tengano nei loro magazzini, cioè nei loro confini, questa merce scomoda che sono Uomini e Donne, Bambine e Bambini. Proprio in questi giorni l’UE ha previsto investimenti per 44 miliardi di euro nei Paesi africani. Investimenti che, «grazie all’effetto leva (per cui il rendimento dei capitali investiti è maggiore del costo % medio del capitale finanziato a titolo di prestito. Cioè i 44 mrd investiti in Africa ci rendono, in termini percentuali, molto di più di quanto quel denaro ci sia costato. Ci siamo indebitati per 44 miliardi di euro ma ne riprenderemo 500) e alle sinergie con la Banca europea di investimento, potranno mobilizzare investimenti pubblici e privati per circa 500 miliardi». Un vero toccasana per la nostra economia e per le nostre aziende, come quelle impegnate nel  la ricostruzione. O nelle tante missioni umanitarie… compreso le missioni di pace dei nostri eserciti.

Quarantaquattro miliardi all’Africa? Il Parlamento europeo e la Banca europea d’investimento hanno detto sì… purché l’Africa resti a casa sua… Sì, aiutiamoli a casa loro!

Ma quale nomos può avere mai una economia la cui mission è mors tua vita mea? Ché di questo si tratta. E lo dimostra assai bene – si può leggere in questi giorni sulla G.U. – il bando di gara di oltre 63 milioni di euro per la progettazione e la costruzione a Ghedi (Brescia) delle nuove infrastrutture che ospiteranno gli F35 – ben 60! – che abbiamo appena acquistato e che trasporteranno nelle loro stive 2 bombe nucleari ciascuno; anche le bombe saranno conservate (? speriamo “conservate”) a Ghedi, ma anche nella base aerea di Aviano e nell’aeroporto a noi vicino di Amendola, Foggia. Investimenti, costi e guadagni miliardari per l’industria bellica italiana, che con la Leonardo gestisce l’assemblaggio a Cameri (Novara) degli F35!

Altro che buona economia… questi sono scenari di morte e di follia! E la guerra è servita!

E dalla guerra e dalla fame che essa causerà, e dalla violenza e dalla paura e dalla morte, fuggiranno ancora milioni di persone, Donne Uomini Bambini Bambine, che diventeranno ancora merce di scambio per gli Stati, per i venditori di morte, per i traghettatori che prendono soldi in cambio di una rotta nei mari della speranza, e poi come zavorra li buttano in mare quando i motori vanno in avaria. Nel 2016 i migranti morti nel solo canale di Sicilia sono stati più di 5mila; dal 2014 al 2017, nel Mar Mediterraneo sono stati oltre 15mila. Ma i numeri, lo sappiamo, sono molto più alti. Quello che non sappiamo è che non dobbiamo parlarne come di numeri! Perché di Donne, Uomini, Bambini e Bambine si tratta! E si tratta dei loro sogni, delle loro speranze, del loro futuro naufragato… Si chiamavano Bashaar, Aisha, Aylan Curdi… lo ricordiamo tutti, quel piccolo bambino riverso sulla sabbia del bagnasciuga. E ricordiamo le lacrime che gli abbiamo tributato. Ma era solo un’emozione di pancia… Poi ancora il silenzio.

Perché questa economia è una economia del disprezzo. Disprezzo della vita di persone scambiate con il petrolio, con le armi, e su cui fanno affari miliardari la mafia italiana, russa, cinese, libica, l’ISIS, il KGB… opere d’arte che appartenevano al patrimonio archeologico mondiale saccheggiate e trafugate in cambio di armi… armi che permettono di far rifiorire altre economie… (è possibile leggere in internet l’articolo di Domenico Quirico pubblicato su La Stampa il 16.10.2016. Parla degli affari milionari in Italia sull’asse ISIS – ‘ndrangheta e altre mafie internazionali che scambiano opere d’arte saccheggiate in Libia e in Medio Oriente in cambio di armi di provenienza russa!).

Un’altra economia è possibile? Io ci rifletto appena posso insieme agli studenti delle mie classi durante le sempre più scarse ore che il ministero ha assegnato allo studio della mia disciplina. E in quelle ore cerchiamo esempi positivi che ci facciano intravedere la possibilità di un’altra economia. Tra i miei studenti, nel carcere dove io insegno, sta circolando un libro che così si presenta: «Delusa e disillusa dalle ideologie novecentesche, soverchiata da un progresso scientifico e tecnologico inarrestabile, l’umanità di oggi sembra essere rimasta priva di un “faro” che illumini il percorso verso il futuro. Questa sorta di eterno presente, stravolto dalle disuguaglianze, dalla violenza e dalla regressione ideologica – è una condizione di preistoria dell’umanità come società planetaria».

Come uscirne ed entrare in una nuova era? Con un’utopia che possa segnare un radicale cambio di prospettiva. «La sola utopia valida per i secoli a venire e le cui fondamenta andrebbero urgentemente costruite o rinforzate è l’utopia dell’istruzione per tutti: l’unica via possibile per frenare una società mondiale ineguale e ignorante, condannata al consumo e all’esclusione e, alla fine, a rischio di suicidio planetario» (Marc Augé, Un altro mondo è possibile, Codice edizioni, 2017, p. 99).

Eccola, allora, una possibile risposta. Ma questa è una utopia che rischia di non diventare mai eu-topia perché l’istruzione a cui si riferisce Marc Augé non è la stessa a cui pensa la “buona scuola”… ed ecco che il cerchio si chiude. Con un altro rifiuto…

Con i miei studenti, mentre oggi parlavamo di economia e di ecologia, abbiamo ricordato a memoria e scritto sulla lavagna le parole inutilmente profetiche che nel 1890 pronunciò un saggio e giovane capo Oglala, Alce Nero: «Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che il denaro non lo potrete mangiare».

Perché anche in carcere è giunta la notizia che l’UE (col voto contrario di Italia e pochi altri Paesi e con quello favorevole della Germania) ha rinnovato per i prossimi 5 anni l’autorizzazione anche nelle nostre campagne del glifosato. Molti di loro hanno fatto l’esperienza del lavoro nei campi, e sanno che questo è il più potente diserbante prodotto dalla americana Monsanto, quella stessa delle sementi geneticamente modificate. Modificate, perché? Chiaro, perché possano resistere al glifosato! Come dire: si è arricchita vendendoci il veleno e l’antidoto. Non solo, ma queste sue sementi sono sterili, non si auto-riproducono, perciò i contadini le possono avere solo da lei e non possono, come facevano un tempo, mettere da parte i semi delle loro stesse spighe per piantarli. Immaginate cosa succede a questi contadini quando un incendio o la siccità o il niño mandano in malora il raccolto. Devono ricomprare tutto! E se non avendo potuto raccogliere non hanno di cosa pagare i debiti contratti? Pagheranno col loro lavoro. Gratuito. Schiavo. Eppure 2 secoli fa avevamo abolito la schiavitù! Il la-  tifondo brasiliano (ma non solo quello) ben lo sa!. Nel Maranhao campione di lavoro schiavo, in questi giorni è stato depenalizzato il reato di riduzione in schiavitù…

Per capire quale sia l’etica che muove Monsanto (pochi sanno anche che nel 2014 la Monsanto ha comperato la Blackwater, il maggiore esercito di mercenari del mondo. Non dimentichiamo che questa azienda chimica produce armi biologiche. Questo fa della Monsanto una Azienda che fa profitti con la morte!), dobbiamo tornare indietro alla Guerra nel Vietnam: Monsanto è quella stessa che produceva “l’Agente Arancio”, tutt’altro che segreto, cioè il potente defoliante usato dalle truppe americane per distruggere le foglie di tutti gli alberi e così scovare i vietcong che si nascondevano nelle foreste… I rischi del glifosato sulla salute non sono ancora certi, ma i timori di cancero-genicità sono molto alti.

Eccoli allora i silenzi… Comperati ad alto prezzo: perché quello che non ci hanno detto è che, lo scorso anno, la Monsanto è stata acquisita dalla Bayer… dando vita a una superpotenza mondiale dell’agro-chimica. La Bayer è una casa farmaceutica tedesca, ed è stato proprio il voto favorevole della Germania (che fino a un anno fa era tra gli astenuti) che ha permesso che il glisofato abbia avuto dalla UE licenza di uccidere. L’Agente Arancio ieri nella guerra in Vietnam… oggi nell’agricoltura di mezzo mondo gli agrotossici che avvelenano la terra, i fiumi, i mari, i frutti e chi se ne nutre.

Questa azienda che ha un fatturato annuo di 5 miliardi $ fabbrica morte. Questa economia uccide.

Ma l’economia del disprezzo uccide anche noi e i nostri figli mentre finge di creare posti di lavoro… il pane con una mano e la morte con l’altra… a Brindisi lo conoscete bene questo libro!

E conoscete anche questa foto: i camini sullo sfondo sono quelli dell’ILVA. Il bimbo che gioca sulla sabbia – o sono le polveri dell’acciaieria? – potrebbe essere uno dei nostri bambini… Laudato sii mio Signore per nostro frate Vento, che a Taranto ieri (29.11.17) ha fatto chiudere le scuole nel rione Tamburi per la quinta volta nel mese di novembre… bene, così i nostri figli non studiano e non danno più fastidio all’ILVA… – ha twittato una mamma.

Ma torniamo – per concludere – al libro di Francesco. Che usa una modalità pedagogica che nel Salento conosciamo molto bene: A tie figghiu parlu, ma tie nora sienti… Cioè parla agli sfruttati e agli oppressi perché i suoi discorsi vengano ascoltati anche da coloro che sfruttano e opprimono.

Sfruttare… altra etimologia che ci aiuta a comprendere come l’economia non faccia più rima con l’ecologia, ma con ecocidio. Sfruttare deriva da frutto. E significa togliere, prendere i frutti, con quel prefisso “s” intensivo che dovrebbe farci capire che togliere i frutti sempre e sempre di più, porta all’esaurimento delle risorse, all’uccisione dell’ambiente, perché non dà alla terra il tempo naturale per riprodurli, significa distruggere oikos, la terra, cioè la nostra casa, quella che dovremmo invece tutelare con il nostro lavoro… Questo libro ci ricorda che questo modello neoliberista va condannato, che questo sistema economico è insostenibile perché aggredisce e ferisce la Terra – la madre Terra come la chiamano i popoli indigeni – e ferisce tutti noi suoi figli. Perché condanna alla morte sia quella e sia questi.

E ci ricorda che siamo tutte e tutti direttamente o indirettamente complici di quel modello che diciamo di voler cambiare. Forse perché ci manca «il coraggio di avere più coraggio». O forse perché, come canta De André, «per quanto vi crediate assolti, siete per sempre coinvolti».

Alla luce di quanto ci siamo detti possiamo ben affermare che: questa economia uccide perché è una economia di guerra.

Se servono prove, ne posso fornire una. La prendo dalla dispensa in uso nelle mie classi prime, in cui compare un bilancio facile da leggere, con numeri semplici, verosimili, e neutri.

Ricavi di vendita: 226.700.000

Utile lordo: 11.340.000

Utile netto: 6.130.000

Imposte dell’esercizio: 5.210.000

Sono solo nomina nuda… dati aziendali… neutri… fino a quando non dico loro che i numeri si riferiscono al bilancio 2013 del gruppo Beretta. Armi, insomma. I ricavi delle vendite sono 227 milioni di euro in un anno. Ma eravamo solo nel 2012: tante nuove guerre non c’erano ancora; ma si andavano preparando. L’utile lordo, cioè la differenza tra i ricavi di vendita e i costi sostenuti in quell’esercizio amministrativo, è più di 11 milioni. L’utile netto è quasi la metà. E l’altra metà?

Quella, pari a 5 milioni e 210mila euro, entra nelle casse dello Stato, aggiusta i conti pubblici e il PIL e fa gongolare i nostri (sedicenti) politici che, con il piglio dell’eroe che ha sconfitto il mostro, si gloriano del fatto che i conti pubblici siano stati risanati… che il nostro PIL sia aumentato di mezzo punto percentuale… e che va meglio, molto meglio rispetto all’anno scorso, e nel prossimo anno andrà ancora meglio. Perché ci impegniamo a raggiungere un “saldo attivo”.

Che poi nel “saldo passivo” si debbano registrare molte centinaia di migliaia di vite cancellate per sempre dalla guerra, e milioni e milioni di Uomini Donne Bambine Bambini segnati per sempre da questa catastrofe… questo non entra nel conto che chiamiamo “utile netto”.

E, soprattutto, non viene a pesare sulle nostre coscienze intorpidite, anestetizzate e ora anche inorgoglite!

E la scuola? E il suo compito di educare ai valori, di insegnare la Storia Magistra Vitae? Di formare persone, cioè cittadine e cittadini di domani?

La scuola, il Venticinque Aprile, reciterà ancora che all’art. 11 della Costituzione l’Italia ripudia la guerra…

* Parte della locandina del film La terra degli uomini rossi - Birdwatchers di Marco Bechis (Brasile 2008, 01 Distribution) 

Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.

Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!

Condividi questo articolo:
  • Chi Siamo

    Adista è un settimanale di informazione indipendente su mondo cattolico e realtà religioso. Ogni settimana pubblica due fascicoli: uno di notizie ed un secondo di documentazione che si alterna ad uno di approfondimento e di riflessione. All'offerta cartacea è affiancato un servizio di informazione quotidiana con il sito Adista.it.

    leggi tutto...

  • Contattaci

  • Seguici

  • Sito conforme a WCAG 2.0 livello A

    Level A conformance,
			     W3C WAI Web Content Accessibility Guidelines 2.0

50 anni e oltre

Adista è... ancora più Adista!

A partire dal 2018 Adista ha implementato la sua informazione online. Da allora, ogni giorno sul nostro sito vengono infatti pubblicate nuove notizie e adista.it è ormai diventato a tutti gli effetti un giornale online con tanti contenuti in più oltre alle notizie, ai documenti, agli approfondimenti presenti nelle edizioni cartacee.

Tutto questo... gratis e totalmente disponibile sia per i lettori della rivista che per i visitatori del sito.