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Debito economico e debito ecologico

Debito economico e debito ecologico

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 23/12/2017

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Poiché il capitalismo è incapace di limitarsi da sé, la nozione di mantenimento o conservazione è un’impossibilità sistemica. Il recupero dell’inerzia del sonno o del ritmo bio-fisico della natura, tanto per i viventi che per gli “inerti” fisici, ostacola i processi mortali di accumulazione, finanziarizzazione e spreco che hanno devastato tutto quello che prima aveva potuto avere lo statuto di “bene comune”. Chi governa? O dove sono i governi?, ci verrebbe da chiedere. Se l’è posta anche papa Francesco questa domanda, nell’incontro dei movimenti popolari, esprimendo la sua riflessione nel 1° paragrafo del suo discorso dal titolo “Il terrore e i muri”: «Chi governa allora? Il denaro. Come governa? Con la frusta della paura, della disuguaglianza, della violenza economica, sociale, culturale e militare che genera sempre più violenza in una spirale discendente che sembra non finire mai. Quanto dolore e quanta paura! C’è – l’ho detto di recente – un terrorismo di base che deriva dal controllo globale del denaro sulla terra e minaccia l’intera umanità. Di questo terrorismo di base si alimentano i terrorismi derivati come il narco-terrorismo, il terrorismo di Stato e quello che alcuni erroneamente chiamano terrorismo etnico o religioso. Ma nessun popolo, nessuna religione è terrorista! È vero, ci sono piccoli gruppi fondamentalisti da ogni parte. Ma il terrorismo inizia quando “hai cacciato via la meraviglia del creato, l’uomo e la donna, e hai messo lì il denaro”. Tale sistema è terroristico».

In questo contesto, per debito ecologico va intesa la responsabilità che ricade sui Paesi industrializzati per la lenta distruzione del pianeta, prodotta dall’attuale sistema di produzione e consumo e dalla globalizzazione, che minaccia la sovranità dei popoli. Il debito ecologico è l’obbligazione e la responsabilità che ricade sui Paesi industrializzati del Nord nei confronti dei Paesi del Terzo mondo, per il saccheggio e l’uso di beni naturali come il petrolio, i minerali, i boschi, la biodiversità, le conoscenze, i beni marini e per l’uso illegittimo dell’atmosfera e degli oceani. Questi meccanismi, sostenuti dagli organismi internazionali (Fondo monetario internazionale, Banca mondiale e Organizzazione mondiale del commercio) vengono perfezionati da Accordi di libero scambio, tra i quali il più esteso è quello delle Americhe (Alcoa), destinato ad aggravare il saccheggio delle risorse dell’America Latina.

È importante chiarire le ragioni in base alle quali si chiede la restituzione del debito ecologico, e specificare tali ragioni per ciascuno dei fattori che gli hanno dato origine. Il debito ecologico include la richiesta di restituzione del debito storico che i Paesi industrializzati del Nord hanno nei confronti dei Paesi del Terzo mondo per il saccheggio, la distruzione e la devastazione prodotte a partire dal periodo coloniale, quando i Paesi europei saccheggiarono minerali, oro, argento, pietre preziose, legname di pregio e risorse genetiche nelle colonie americane. Una conquista basata sulla violenza e sulla dominazione, sulla dissacrazione della vita rimasta impunita, sull’imposizione di una cultura su tutte le altre. Dalla Rivoluzione industriale ad oggi, poi, esiste uno scambio estero ecologicamente diseguale, giacché le materie prime sono esportate senza tener conto dei danni sociali e ambientali, locali e globali. Le grandi multinazionali la fanno da padrone nel Terzo mondo, grazie agli scarsi controlli sugli impatti ambientali e sociali, all’ampia disponibilità di beni naturali e alle politiche locali, che favoriscono l’ingresso dei capitali stranieri. In molti casi, la Banca mondiale ha contribuito all’ingresso dei capitali stranieri, insieme ai crediti bilaterali dei Paesi industrializzati del Nord. E poi c’è da considerare l’appropriazione intellettuale delle conoscenze ancestrali; l’uso di beni e servizi naturali come suolo, acqua, aria; il debito ecologico legato al carbonio; il debito ecologico per la produzione di rifiuti tossici, armi chimiche e nucleari.

Il rapporto tra debito estero e debito ecologico consiste nel fatto che, per pagare gli interessi del debito estero, i Paesi del Terzo mondo sono costretti ad aumentare le esportazioni di risorse naturali, con conseguente aumento del debito ecologico del Nord verso il Sud. Nel frattempo, il debito totale non si è ridotto, anzi è aumentato a causa della forte speculazione sui mercati finanziari. Il debito ecologico è dunque molto superiore al debito estero, e la richiesta della sua restituzione è destinata a cambiare le relazioni economiche internazionali, portando alla cancellazione del debito attraverso negoziazioni multilaterali e bilaterali (cfr. il contributo di Silvio Piccoli a Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito). In tal senso il Magistero sociale ci viene incontro ricordandoci che «il diritto allo sviluppo deve essere tenuto presente nelle questioni legate alla crisi debitoria di molti Paesi poveri. Tale crisi ha alla sua origine cause complesse e di vario genere, sia di carattere internazionale (fluttuazione dei cambi, speculazioni finanziarie, neocolonialismo economico) sia all’interno dei singoli Paesi indebitati (corruzione, cattiva gestione del denaro pubblico, distorta utilizzazione dei prestiti ricevuti). Le sofferenze maggiori, riconducibili a questioni strutturali ma anche a comportamenti personali, colpiscono le popolazioni dei Paesi indebitati e poveri, le quali non hanno alcuna responsabilità. La comunità internazionale non può trascurare una simile situazione: pur riaffermando il principio che il debito contratto va onorato, bisogna trovare le vie per non compromettere il «fondamentale diritto dei popoli alla sussistenza ed al progresso» (Centesimus annus, 35). Il Giubileo dell’anno 2000 ebbe proprio come perno centrale il riconoscimento di questa ingiusta condizione debitoria e diede un innegabile impulso ad azioni unilaterali di remissione del debito nei confronti dei Paesi in via di sviluppo colpiti da tale condizione permanente. Successivamente la problematica del sovra-indebitamento ha colpito anche altri Paesi e, a partire dal 2007, la grande crisi economico-finanziaria mondiale, causata dagli eccessi della finanza speculativa, ne ha acuito gli aspetti più drammatici.

Anche papa Francesco con una efficacia inedita afferma che «così come il comandamento “non uccidere” pone un limite chiaro per assicurare il valore della vita umana, oggi dobbiamo dire “no a un’economia dell’esclusione e della inequità”. Questa economia uccide» (Evangelii gaudium 53); «Abbiamo accettato pacificamente il predominio del denaro su di noi e sulle nostre società» (EG 55); «Penso ai traffici illeciti di denaro come alla speculazione finanziaria, che spesso assume caratteri predatori e nocivi per interi sistemi economici e sociali, esponendo alla povertà milioni di uomini e donne» (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, 1° gennaio 2014). E sempre il papa, affrontando direttamente il tema del debito estero, afferma: «Il debito estero dei Paesi poveri si è trasformato in uno strumento di controllo, ma non accade la stessa cosa con il debito ecologico» (Laudato si’ 52). I vescovi liguri, proprio affrontando il tema dei migranti e ponendo il debito come paradigma di comprensione, affermano: «Nella dichiarazione finale del III Incontro Mondiale dei Movimenti Popolari in dialogo con papa Francesco svoltosi dal 2 al 5 novembre 2016 a Roma, si legge che “siamo creditori di un debito storico, sociale, economico, politico e ambientale che deve essere saldato”. È un’espressione che rovescia la visione del mondo e pone i popoli sfruttati non tra i debitori dei ricchi, ma tra i creditori degli stessi e non solo da un punto di vista economico e finanziario, ma anche da un punto di vista sociale, ambientale, storico e, pertanto, politico. Senza la ridefinizione del debito che lega il Nord e il Sud del mondo, non c’è possibilità di riuscita. A tal proposito va fatto ogni sforzo perché si avvii un processo che conduca ad una conferenza globale sul debito con l’obiettivo di svelare la geografia di poteri che dietro di esso si nasconde» (Conferenza Episcopale Ligure, “Migranti, segno di Dio che parla alla Chiesa”, 2017).

In questo senso esponenti del Cadtm (Comitato per l’abolizione dei debiti illegittimi) hanno deciso di lavorare affinché la Cei appoggi le iniziative in campo internazionale dirette a promuovere una Conferenza globale sul debito nel quadro dei principi generali del diritto e dei diritti dell’essere umano e dei popoli.

Nella direzione auspicata va il convegno internazionale previsto a Pescara per il 27 gennaio 2018 dal titolo “La questione globale del debito” organizzato proprio dal Cadtm che tra l’altro:

- promuove gli audit sul debito degli enti locali perché è proprio dai territori che il malessere sociale è più avvertito e pesante;

- si impegna in una campagna di informazione sul tema del debito pubblico italiano, in collaborazione con le realtà italiane e i movimenti sociali e popolari;

- sollecita un serio approfondimento delle cause di un debito pubblico così elevato;

- propone alla Chiesa cattolica di organizzare una struttura simile a quella attivata nel corso del Giubileo dell’anno 2000, aggiornando il campo di azione al servizio sia dei Paesi storicamente impoveriti che dei Paesi a rischio finanziario causato da elevata esposizione debitoria, come il nostro;

- mira a coinvolgere in questo percorso di informazione, ricerca e approfondimento anche le Chiese europee, soprattutto considerando che entro la fine dell’anno l’UE è chiamata a inserire nei suoi trattati il Fiscal Compact (http://www.stopfiscalcompact.i t/) che renderà permanenti le politiche di austerità, il malessere sociale ed economico e i danni all’ambiente, con la conseguente svendita e distruzione del “Bel Paese” e del “Vecchio Continente”.

Uniamoci e attiviamoci tutti per sviluppare la buona prassi degli audit, che altro non sono che l’applicazione del principio di una democrazia sociale, inclusiva, dal basso e ad alta intensità. 

* Già consigliere nazionale di Pax Christi, da anni impegnato con Attac e nei movimenti per l’acqua e contro le trivellazioni, Antonio De Lellis vive a Termoli, in Molise, ed è il curatore del volume Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito (Bordeaux 2017).

Parte dell'immagine di copertina del libro a cura di Antonio De Lellis, Il muro invisibile. Come demolire la narrazione del debito, Bordeaux 2017

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