Crisi in Congo: Chiesa cattolica e potere politico in rotta di collisione
Tratto da: Adista Notizie n° 3 del 27/01/2018
39217 KINSHASA-ADISTA. È sempre più crisi politica e sociale nella Repubblica Democratica del Congo, attraversata dalle proteste contro il governo e dalla violenta repressione contro i manifestanti. La mano pesante delle forze di polizia aveva tinto di sangue, lo scorso 31 dicembre, la marcia pacifista, indetta dal Comité Laïc de Coordination (Clc), costituito da alcuni intellettuali laici della diocesi di Kinshasa per chiedere al presidente uscente, Joseph Kabila, il rispetto dell’Accordo di san Silvestro (v. Adista.it, 3/1).
Siglato il 31 dicembre dell’anno precedente dalla leadership governante e dall’opposizione di Étienne Tshisekedi (scomparso all’età di 84 anni il primo febbraio 2017), grazie alla mediazione dei vescovi congolesi della Cenco, l’accordo garantiva la permanenza al potere di Kabila (decaduto il 20 dicembre 2016), nell’ambito di un governo di transizione e di coalizione che avrebbe dovuto guidare il Paese alle elezioni presidenziali – mai celebrate – di dicembre 2017. Una clausola dell’Accordo proibiva però al presidente uscente, sullo scranno più alto del Paese da quando è stato assassinato il padre Laurent-Désiré Kabila (16 gennaio 2001), di ricandidarsi per un terzo mandato.
La violenta e ingiustificata repressione del 31 dicembre contro i cattolici in marcia – a Kinshasa, ma anche in altre province del Paese – ha aperto una faglia insanabile tra Chiesa cattolica e regime. Se fino all’anno scorso le gerarchie cattoliche locali avevano cercato il più possibile di mantenere un profilo neutrale tra le parti in lizza, tanto da poter condurre i negoziati che hanno condotto alla sigla dell’Accordo di San Silvestro, ormai il mondo cattolico ha fatto la sua scelta, è sceso in campo da protagonista e ha organizzato la mobilitazione contro Kabila.
Il sostegno della Santa Sede
Il 5 gennaio, con una circolare indirizzata ai vescovi del Paese e firmata dal nunzio Luis Mariano Montemayor, la Nunziatura apostolica in Congo ha condannato «la reazione sproporzionata » contro manifestazioni che definisce legittime e «pacifiche». Il 31 dicembre, si legge ancora, «ha segnato una giornata molto significativa, durante la quale molti cristiani cattolici hanno esercitato il loro diritto di cittadini a impegnarsi nella vita sociale del Paese. In diverse città, tra cui Kinshasa, Kananga e Lubumbashi, i fedeli laici, sotto la supervisione dei loro sacerdoti o spontaneamente, hanno pregato per il bene del Paese e hanno camminato per la piena attuazione dell’Accordo di San Silvestro». Il nunzio, ricordando la piena legittimità d’azione del Comitato dei laici, e ricordando il grande sostegno all’iniziativa riscosso tra le parrocchie della Diocesi, ha dichiarato di voler procedere con una raccolta di testimonianze e resoconti dei fatti, per stilare la lista degli abusi commessi il 31 dicembre: tra questi, Montemayor ricorda «134 parrocchie circondate dalla polizia o da militari; numerose parrocchie cui è stato impedito di celebrare la Messa»; 10 chiese in cui sono stati utilizzati gas lacrimogeni per disperdere i fedeli, ecc.
Il 12 gennaio, il cardinale di Kinshasa Laurent Monsengwo Pasinya ha celebrato una messa contro la «barbarie» e in onore delle vittime del 31 dicembre. In quell’occasione mons. Donatien Bafwidisoni (vescovo ausiliare di Kinshasa) ha parlato dei «martiri dell’Accordo di San Silvestro», «eroi della democrazia» morti «a causa della bulimia di potere e dell’egoismo» dei governanti. Parole forti, pronunciate al cospetto di alcuni membri del Comité Laïc de Coordination e dell’opposizione politica, e di un gran numero di partecipanti che si è accalcato a ridosso della cattedrale per poter partecipare. Sul sito della Conferenza episcopale congolese, il giorno stesso, in un racconto della giornata, i vescovi esprimono tutto il loro rammarico per l’atteggiamento della polizia, intervenuta anche in quella occasione per disperdere la folla dei fedeli con lacrimogeni e colpi di arma da fuoco sparati in aria.
La Cenco soffia sulle vele della protesta
All’indomani delle manifestazioni il card. Monsengwo, «nello stato d’animo di un padre cui vengono maltrattati i figli e le figlie», aveva fatto sentire la sua voce contro la repressione. Da quel giorno, denuncia la Cenco in un articolo dell’11 gennaio, «c’è stata una campagna di intossicazione, disinformazione e persino diffamazione, orchestrata da alcuni funzionari delle istituzioni della Repubblica contro il cardinale», «erroneamente considerato come l’istigatore di azioni volte a destabilizzare le istituzioni in atto e a voler prendere il potere». Dopo aver ricordato che la neutralità politica e la laicità della Chiesa non può impedirle di schierarsi al fianco del popolo sofferente e di invocare a gran voce il rispetto delle libertà e dei diritti, la Cenco esorta «il popolo congolese a non farsi influenzare da questa campagna » diffamatoria, «a rimanere retto e vigile, a prendere il proprio destino nelle proprie mani e a bloccare pacificamente qualsiasi tentativo di confisca o presa del potere con mezzi antidemocratici e incostituzionali».
Chiesa e regime
Secondo il missionario comboniano a Butembo, p. Eliseo Tacchella, intervistato dal Sir lo scorso 16 gennaio, «la situazione è peggiorata in questi ultimi tempi» perché «la Chiesa ha preso posizione in maniera forte», diversamente dall’anno scorso, quando invece aveva mediato tra le parti, portando all’accordo poi tradito. Negli ultimi tempi, la Chiesa cattolica congolese si è dimostrata coraggiosa e compatta nel promuovere l’appello «ad una contestazione pacifica e non violenta. Il card. Monsengwo sta facendo un lavoro eccellente, che riflette i bisogni della società e gli umori della maggioranza della popolazione».
La denuncia più forte p. Eliseo la riserva alla comunità internazionale, assente, dice, «perché credo abbia grossi interessi. Il presidente è astuto perché non va contro gli stranieri ma cerca di accaparrarseli dando terre, petrolio, eccetera. Le grandi multinazionali vogliono tenerlo al potere perché con lui sono al sicuro e possono sfruttare la nazione allegramente. Se invece va al governo un nazionalista che vuole gestire le risorse in autonomia inizierebbero i problemi».
«La Chiesa è l’unica voce autorevole del Paese e di conseguenza ci troviamo in prima linea», afferma anche p. Apollinaire Cibaka Cikongo (docente presso il seminario maggiore del Cristo Re a Malole) in un comunicato di “Aiuto alla Chiesa che Soffre” del 10 gennaio. «I media sono tutti schierati con il governo e l’opposizione è debole e frammentata in oltre 600 diversi partiti politici». Anche per il docente Kabila può vantare l’appoggio delle potenze occidentali, di India e Cina. «Tutti sanno esattamente quanto sta accadendo», spiega ancora, «ma dal momento che le nostre sofferenze significano il guadagno di altri, il mondo intero preferisce rifugiarsi in un silenzio complice».
Ancora in marcia
Intanto, il Comitato laico di coordinamento della diocesi di Kinshasa ha indetto una nuova marcia per domenica 21 gennaio: «Mano nella mano, come d’abitudine, cammineremo pacificamente con i nostri ramoscelli d’ulivo, le nostre Bibbie, i nostri rosari, i nostri crocifissi, per salvare il Congo, il nostro patrimonio comune, nel sacro rispetto delle persone e delle cose». E questa volta, dopo la repressione violenta del 31 dicembre, può verosimilmente contare su un sostegno più ampio, che va dalle gerarchie ecclesiastiche alle forze di opposizione, passando per le numerose sigle della società civile. Pieno sostegno all’iniziativa, intanto, è stato espresso il 16 gennaio da un collettivo di protestanti, il “Coordination des laïcs protestants” (Colpro): «Se resti neutrale in una situazione di ingiustizia – si legge nell’appello del 16 gennaio – hai scelto la parte dell’oppressore. L’ingiustizia ha preso il sopravvento sulla giustizia; il compromesso sull’integrità; l’arroganza sulla sobrietà; la mediocrità sull’eccellenza. E la nazione non ha più punti di riferimento ». Inoltre, aggiungono i protestanti, «alzare la voce per bloccare la strada all’ipocrisia e alla bassezza è un dovere dei cittadini» mentre «rimanere in silenzio o indifferenti sarebbe un atto di complicità».
Boulevard du 30 juin (Kinshasa), in una foto di MONUSCO/Myriam Asmani del 2010, tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza
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