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Disarmo. Conoscere per agire. Il senso di un dossier sulla guerra

Disarmo. Conoscere per agire. Il senso di un dossier sulla guerra

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 6 del 17/02/2018

Non usa toni agitati o invettive il professor Maurizio Simoncelli, cofondatore dell’Iriad, Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo. Descrive pacatamente scenari globali snocciolando dati inoppugnabili che parlano da soli. Oggi chi vuole rendersi conto della costruzione di un enorme macchina della guerra che riguarda anche il nostro Paese ha possibilità di attingere a fonti scrupolose e gratuite. Come, appunto l’Iriad, l’Opal, l’Osservatorio permanente di Brescia che si avvale della scientifica caparbietà di Giorgio Beretta, o recentemente l’efficace illustrazione che accompagna i rapporti dell’Osservatorio Mil€x sulle spese militari curato da Enrico Piovesana e Francesco Vignarca, coordinatore della Rete italiana Disarmo che produce comunicati ineccepibili.  

Sono dati e acquisizioni comuni agli esperti istituzionali del settore “difesa” che trattano abitualmente scenari e opzioni da incu- bo. Chi vuole sapere ha tutte le possibilità per farlo, ma non basta. Siamo troppo vicini a quella generazione di sonnambuli, descritti da Christopher Clarke, che nel 1914 sapeva a quale catastrofe andava incontro ma agiva come in trance: «Chi aveva le leve del potere era come un sonnambulo, apparentemente vigile ma non in grado di vedere, tormentato dagli incubi ma cieco di fronte alla realtà dell’orrore che stava per portare nel mondo».  

Un testo come il dossier Disarmo, proposto da Città Nuova, ha la pretesa di agire da sveglia per troppe coscienze addormentate, in particolar modo nel cosiddetto mondo cattolico che tratta la questione della pace e della guerra con un riflesso istintivo che lo induce ad essere generico o astratto. Mettere assieme l’analisi magistrale di Simoncelli con l’onesta prospettiva che emerge dalle interviste al generale Vincenzo Camporini, vice presidente dell’Istituto ricerche internazionali che orienta la nostra politica estera, e al direttore di Analisi Difesa, Gianandrea Gaiani, permette di cogliere la prevalenza del loro pensiero nel sentire comune, assieme allo smarrimento descritto nel famoso articolo di Adriano Sofri del settembre 2004 su Repubblica: “La grande illusione del pacifismo”.  

Chi ancora ripete l’impropria descrizione del New York Times che nel 2003 parlava di “seconda potenza mondiale” riferendosi alle oceaniche manifestazioni contro la guerra in Iraq, non si rende conto che una vera opposizione al complesso militar-industriale comporta il dovere della disobbedienza agli ordini ingiusti. Opzione che non fu annun ciata e proposta in quel periodo così recente e, molto prima, nel primo conflitto mondiale. Come è noto l’invito del 1917 a fermare l’inutile strage fu lanciato da Benedetto XV con riferimento ai capi delle Nazioni, riconosciuti comunque legittimi detentori dell’autorità e quindi da obbedire da parte di quella generazione inviata al macello.  

Imbarazza ripetere la legittimazione della guerra magnificata dal francescano Agostino Gemelli, a stretto contatto con il generale Cadorna che diramava circolari sulla decimazione dei soldati caduti sotto il fuoco dei superiori e dei carabinieri.  

Non abbiamo ancora affrontato quel nodo della nostra storia che poi ci ha condotto addirittura all’obbedienza verso un regime criminale come quello fascista. Riscoprire Milani e Mazzolari non è affatto, perciò, una questione di tonache, come ci si è ridotti a fare, ma voler riprendere le radici di una passione civile rimossa. Senza questi e altri fondamenti non ci si può meravigliare se la scelta politica della pace si rivela effimera in tante biografie di esponenti politici passati dalla sinistra al pragmatismo attuale che dogmatizza l’assenza di alternative possibili al riarmo.  

In tal senso la vicenda dell’opposizione all’invio di bombe prodotte in Sardegna e destinate all’Arabia Saudita per la guerra in Yemen può agire da detonatore di una serie di contraddizioni che non possono reggere a lungo senza compromettere il legame costituzionale. Non posso affamare un territorio e porlo davanti al ricatto tra lavoro e coscienza, non posso violare leggi come la legge 185/90 e lo spirito stesso della Costituzione. Dare spazio concretamente, come si fa nel dossier e nel lavoro quotidiano di Città Nuova, a questa ostinata insorgenza di una multiforme rete associativa sarda, permette di cogliere il valore di un caso dal valore universale che può far aprire gli occhi sulla realtà prima che sia troppo tardi.      

Il riarmo contemporaneo e l’irrilevanza dell’Onu

Maurizio Simoncelli *

Se dopo la guerra fredda si erano ipotizzati i dividendi della pace, l’illusione è certamente durata poco, come dimostrano non solo le varie guerre scoppiate in Europa, dall’ex Jugoslavia alla più recente in Ucraina, ma anche quelle dilagate in particolare nel Medio Oriente, dove si concentra un terzo delle esportazioni mondiali di armi, prodotte e commerciate prevalentemente da un ristretto gruppo di una decina di Paesi che detengono quasi il 90% del mercato globale. Cinque di questi sono i membri permanenti del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, cioè Stati Uniti, Russia, Cina, Francia e Gran Bretagna, affiancati nel business delle armi da Germania, Italia, Israele, Spagna e Olanda. Le guerre infinite dell’Afghanistan, dell’Iraq, della Siria, della Libia testimoniano non solo il fallimento dell’“esportazione della democrazia con le baionette”, ma anche l’emarginazione nei fatti dell’ONU. Il Palazzo di Vetro di New York e il suo Consiglio di Sicurezza appaiono impotenti ed inadeguati rispetto ad assetti mondiali dominati dalla geopolitica del caos, in cui i vari attori operano sulla base di accordi a geometria variabile. Ci si allea su alcuni teatri di guerra per scontrarsi con opposti interessi nella gestione di altre crisi: alleati di ieri utili per combattere la minaccia dell’ISIS (i curdi siriani) vengono ora attaccati dalla Turchia, partner NATO adesso sostenuta dalla Russia, a fronte di flebili proteste statunitensi.  Nel Medio Oriente si sta assistendo ad uno “spezzatino” pianificato da forze esterne che utilizzano le preesistenti tensioni interne per giochi ed interessi molto più ampi. Si pensi alla partita in corso nella guerra civile dello Yemen, dove l’Arabia Saudita guida una coalizione, sostenuta anche dagli USA e con massicci rifornimenti di bombe d’aereo di produzione italiana, mentre l’Iran sostiene i ribelli houthi. Interessi geopolitici (come il controllo dello stretto di Bab el Mandeb, da cui si accede al Mar Rosso e poi al canale di Suez) e sfide per la supremazia regionale vedono Teheran e la Mecca su opposti fronti. La conclamata minaccia nucleare nordcoreana (10-20 testate nucleari) sembra oscurare il fatto che la Casa Bianca ne detenga circa 7.000, altrettante il Cremlino ed un migliaio siano suddivise tra Francia, Cina, Gran Bretagna, Israele, Pakistan e India. Due pesi e due misure.    

La società civile può sconfiggere le armi

Maurizio Simoncelli   

Il fatto nuovo e positivo consiste nella crescente forza della società civile che nel corso degli anni è riuscita a far approvare norme internazionali che mettono al bando le mine antiuomo (1997), le cluster bombs (2008), le armi nucleari (2017) e che cercano di mettere regole e limiti al commercio di armi (Arms Trade Treaty, 2014).

Né vanno dimenticate le Nuclear Weapons Free Zones, aree dichiaratesi libere da armi nucleari che comprendono l’intera America Latina, l’Africa, l’Asia centrale e sud-orientale, il Pacifico meridionale. Una minoranza di Stati, proprio i più armati, e i loro alleati non aderiscono spesso a tali accordi continuando le loro politiche basate prevalentemente sulla forza militare.

La società civile ha dimostrato però, in questi ultimi anni, di avere una capacità insospettata che ancora può fare moltissimo, ancor più con un alleato importante come papa Bergoglio, che ha mostrato pubblicamente una grande sensibilità su questi temi.

* * Carlo Cefaloni: redattore di Città Nuova, si occupa in particolare temi di politica, lavoro, economia, cittadinanza e diritti umani (http://cefalonicadesso.blogspot.it)

* Maurizio Simoncelli: storico ed esperto di geopolitica, è vicepresidente e cofondatore dell’Istituto di ricerche internazionali archivio disarmo (IRIAD).

* * * "The Color of Terracotta Warriors" in una foto di Kevin Poh del 2009, tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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