
Salvini strumentalizza i segni della fede. Ma non è una novità
Tratto da: Adista Notizie n° 9 del 10/03/2018
Dal punto di vista politico, basare il rapporto con l’elettorato su un giuramento dovrebbe già di per sé provocare una reazione di sdegno. Ma questa campagna elettorale, purtroppo, sta facendo emergere in modo drammatico che il popolo italiano, tranne qualche eccezione, non è interessato all’esercizio della propria sovranità. È piuttosto alla ricerca di leader o movimenti in grado di colmare il vuoto che il mancato esercizio del pensiero e del buon senso ha provocato. Paura, rabbia, smarrimento, sfiducia, ignoranza: gli italiani in misura preoccupante desiderano eleggere qualcuno da osannare e al quale obbedire, per evitare ogni fatica di autodeterminazione.
Che in questo contesto il giuramento di Salvini sui Vangeli e sulla Costituzione non abbia provocato un’insurrezione politica e popolare non stupisce affatto. Non stupisce che ancor prima del volgare utilizzo del rosario e dei Vangeli non ci si sia sdegnati in massa, cristiani compresi, per l’uso improprio della nostra Costituzione, per la palese incoerenza tra il fare e il dire di Matteo Salvini e il contenuto di quella Carta che ancora tenta di custodirci e costruirci secondo principi di libertà e democrazia.
Ma all’insensatezza e alla gravità delle azioni in Italia sembra corrispondere quasi sempre una tiepidezza nelle reazioni, l’incapacità di prendere posizione, di assumersi le responsabilità e di palesare la propria identità rispetto ai fatti e alle persone. Anche nella Chiesa. Così il vescovo di Milano reagisce affermando che nei comizi è di politica che si deve parlare. Un intervento incolore, senza nomi né cognomi, senza presa di distanza chiara, netta, franca. Non è che un’affermazione del genere trovi impreparati i cristiani cattolici, basti pensare che lo stesso metodo è stato utilizzato in occasioni assai drammatiche quando le vittime di pedofilia hanno cominciato ad accusare preti e religiosi autori degli abusi. Una falsa prudenza che grida giustizia al cospetto di Dio e che la violenza la rinnova e la estende.
Il punto non è, dunque, che Salvini si serva dei segni della fede per portare acqua al suo mostruoso mulino, ma che la Conferenza episcopale, sempre pronta a mettere parola nella politica italiana quando si tratta di unioni civili, adozioni per le coppie omosessuali, aborto etc., resti di fatto muta davanti a chi trasforma il vangelo nella bandiera di un disegno politico fascista.
Forse bisogna concludere che le strutture di potere, qualunque sia la loro origine, si somigliano tutte e che la strumentalizzazione dei segni della fede per il mantenimento del proprio status non è affatto estranea alla Chiesa.
«Nominare male le cose, è partecipare all’infelicità del mondo», diceva Albert Camus. E nel gesto di Salvini è insita una profonda infelicità presente e a venire, così come nel silenzio che ne è seguito, tanto ambiguo e disorientante. O crediamo ancora, pervertendo la realtà dei fatti, che dopo il ventennio fascista e quello berlusconiano la destra in Italia possa rappresentare davvero la “difesa della radici cristiane”?
La speranza è che i singoli credenti, in forza della loro personale esperienza di fede e di vita, sappiano ben discernere in cabina elettorale e vivere e agire in modo autonomo, finalmente liberi da ideologie e dannose obbedienze.
* Giulia Lo Porto è biblista a Palermo e insegnante in una scuola superiore
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