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“Gaudete et exultate”: Papa Francesco libera la santità

“Gaudete et exultate”: Papa Francesco libera la santità

Tratto da: Adista Notizie n° 14 del 21/04/2018

39323 CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Resa pubblica il 9 aprile, ma datata 19 marzo, la terza esortazione apostolica di papa Francesco» (Evangelii gaudium, 2013, e Amoris laetitia, 2016 le prime due), Gaudete et exultate, verte sulla «chiamata alla santità nel mondo contemporaneo » e c’è da credere che non mancherà di suscitare reazioni, soprattutto quelle polemiche... Non è probabilmente uno dei testi più forti del papa, ma vi ritornano diversi temi a lui particolarmente cari: l’impegno sociale, la critica ai “burocrati” nella Chiesa e l’esortazione a vivere la fede evangelica nel tempo presente. Più tecnicamente, si tratta di una descrizione della “santità” alla luce del Concilio Vaticano II e della Costituzione Lumen Gentium sul ruolo dei laici nella Chiesa: ennesima (e importante) attestazione della volontà di Bergoglio di praticare la lezione conciliare.

Nei cinque capitoli del documento Bergoglio prende le distanze dai modelli nocivi di devozione e indica (per tutti i credenti) la strada delle Beatitudini. «La forza della testimonianza dei santi sta nel vivere le Beatitudini e la regola di comportamento del giudizio finale », scrive il papa. E aggiunge, «sono poche parole, semplici, ma pratiche e valide per tutti, perché il cristianesimo è fatto soprattutto per essere praticato». Per il papa, i santi non sono solo quelli riconosciuti dalla Chiesa come tali: per essere santi «non è necessario essere vescovi, sacerdoti, religiose o religiosi. Molte volte abbiamo la tentazione di pensare che la santità sia riservata a coloro che hanno la possibilità di mantenere le distanze dalle occupazioni ordinarie».

Proseguendo nel ragionamento, il papa si sofferma su quelle che definisce «due falsificazioni della santità che potrebbero farci sbagliare strada: lo gnosticismo e il pelagianesimo». Si tratta di «due forme di sicurezza dottrinale o disciplinare che danno luogo ad un elitarismo narcisista e autoritario dove, invece di evangelizzare, si analizzano e si classificano gli altri, e invece di facilitare l’accesso alla grazia si consumano le energie nel controllare». I «nuovi pelagiani – spiega – complicano il Vangelo» e diventando «schiavi di uno schema che lascia pochi spiragli perché la grazia agisca». Questo atteggiamento si manifesta in modi diversi: «L’ossessione per la legge, il fascino di esibire conquiste sociali e politiche, l’ostentazione nella cura della liturgia, della dottrina e del prestigio della Chiesa, la vanagloria legata alla gestione di faccende pratiche, l’attrazione per le dinamiche di auto-aiuto e di realizzazione autoreferenziale. In questo alcuni cristiani spendono le loro energie e il loro tempo, invece di lasciarsi condurre dallo Spirito sulla via dell’amore, invece di appassionarsi per comunicare la bellezza e la gioia del Vangelo e di cercare i lontani nelle immense moltitudini assetate di Cristo».

Nel terzo capitolo, Francesco illustra una per una le beatitudini evangeliche e le rilegge attualizzandole. Quindi si sofferma sui principi dell’accoglienza, considerati come «la regola di comportamento in base alla quale saremo giudicati». Nel tempo presente, scrive Francesco, a volte «le ideologie ci portano a due errori nocivi». Da una parte, quello di trasformare «il cristianesimo in una sorta di ONG», privandolo della sua «luminosa spiritualità». Dall’altra parte c’è l’errore di quanti «vivono diffidando dell’impegno sociale degli altri, considerandolo qualcosa di superficiale, mondano, secolarizzato, immanentista, comunista, populista». Molto importante è il passaggio in cui il papa polemizza apertamente con chi relativizza l’impegno per gli altri, come se ci fossero altre cose più importanti, e nello stesso tempo ripete la dottrina tradizionale in materia di bioetica. «La difesa dell’innocente che non è nato, per esempio, deve essere chiara, ferma e appassionata, perché lì è in gioco la dignità della vita umana, sempre sacra, e lo esige l’amore per ogni persona al di là del suo sviluppo. Ma ugualmente sacra è la vita dei poveri che sono già nati, che si dibattono nella miseria, nell’abbandono, nell’esclusione, nella tratta di persone, nell’eutanasia nascosta dei malati e degli anziani privati di cura, nelle nuove forme di schiavitù, e in ogni forma di scarto. Non possiamo proporci un ideale di santità che ignori l’ingiustizia di questo mondo». «Spesso si sente dire – riprende il papa – che, di fronte al relativismo e ai limiti del mondo attuale, sarebbe un tema marginale, per esempio, la situazione dei migranti. Alcuni cattolici affermano che è un tema secondario rispetto ai temi “seri” della bioetica. Che dica cose simili un politico preoccupato per i suoi successi si può comprendere, ma non un cristiano, a cui si addice solo l’atteggiamento di mettersi nei panni di quel fratello che rischia la vita per dare un futuro ai suoi figli. Possiamo riconoscere che è precisamente quello che ci chiede Gesù quando ci dice che accogliamo Lui stesso in ogni forestiero (cfr Mt 25,35)?».

Francesco descrive poi i caratteri di uno stile di vita veramente cristiano e evidenzia alcuni rischi e limiti della cultura di oggi: «Bisogna superare la tentazione di fuggire in un luogo sicuro che può avere molti nomi: individualismo, spiritualismo, chiusura in piccoli mondi, dipendenza, sistemazione, ripetizione di schemi prefissati, dogmatismo, nostalgia, pessimismo, rifugio nelle norme». L’esempio da seguire è quello di tanti preti, religiose e laici «che si dedicano ad annunciare e servire con grande fedeltà, molte volte rischiando la vita... La loro testimonianza ci ricorda che la Chiesa non ha bisogno di tanti burocrati e funzionari, ma di missionari appassionati, divorati dall’entusiasmo di comunicare la vera vita. I santi sorprendono, spiazzano, perché la loro vita ci chiama a uscire dalla mediocrità tranquilla e anestetizzante».

Il quinto e ultimo capitolo chiude sui rischi “diabolici”: «Una lotta costante contro il diavolo, che è il principe del male». «Come sapere se una cosa viene dallo Spirito Santo o se deriva dallo spirito del mondo o dallo spirito del diavolo? L’unico modo – ricorda Francesco – è il discernimento», che «è anche un dono che bisogna chiedere». «Senza la sapienza del discernimento possiamo trasformarci facilmente in burattini alla mercé delle tendenze del momento». Tale atteggiamento «implica, naturalmente, obbedienza al Vangelo come ultimo criterio, ma anche al Magistero che lo custodisce, cercando di trovare nel tesoro della Chiesa ciò che può essere più fecondo per l’oggi della salvezza». «Chiediamo – conclude papa Francesco – che lo Spirito Santo infonda in noi un intenso desiderio di essere santi per la maggior gloria di Dio e incoraggiamoci a vicenda in questo proposito». Un messaggio di redenzione rivolto a tutti dunque, ma che declina i temi tradizionali del magistero recente della Chiesa alla luce dei punti fondanti della pastorale di Francesco.

* Il sermone della montagna, dipinto di Carl Block (olio su lamina di rame, 1877) - Dansk: Bedestolen, foto [ritagliata] tratta da Wikimedia Commons, immagine originale e licenza

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