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I matti da slegare

I matti da slegare

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 18 del 19/05/2018

Noi cittadini spesso non ci accorgiamo di essere sprovveduti: non sappiamo “vedere”: siamo stati educati così... Eppure se si producono sofferenze e danni non siamo innocenti. Capita a tutti. Io mi trovai in difficoltà quando si dovette legiferare in materia di aborto: il termine evocava il male, il “non si deve”. Invece l’intera responsabilità sociale, anche la mia, era coinvolta in un fenomeno di massa occultato nella vergogna e nel rischio di morte della clandestinità. Analoga la complice ignoranza nei confronti dell’omosessualità: tutti abbiamo amici o amiche “diversi”, ma è terribile aver accettato che non avessero il diritto di essere normalmente se stessi, uguali e diversi come tutti.

Una terza grossa sberla la presi vedendo Matti da slegare, un film che mostrava la realtà dei manicomi, un problema sociale che Franco Basaglia stava facendo conoscere clamorosamente per de-istituzionalizzare i malati di mente condannati a vivere coatti e rifiutati.

Negli anni Settanta (del secolo scorso) si presentavano nuovi diritti umani. Anche i “matti”. Ricordate la tenerezza del matto che Fellini colloca sull’albero a gridare “voglio una donna”? ma anche la sofferenza di chi ha portato in manicomio la persona cara, un figlio, un genitore, una sorella. Uno dei registi del film era padre di un ragazzo violento che allora (una legge al riguardo è arrivata solo nel 2017) pochi chiamavano autistico.

Il documentario – girato nel manicomio di Colorno nel 1975 da Silvano Agosti, Marco Bellocchio, Sandro Petraglia e Stefano Rulli – è ancora fondamentale per la comprensione di “come” erano i manicomi negli anni ‘70: venivano rinchiusi anche minori, ragazzini ipercinetici, senza padri, con madri “incapaci”, esclusi dalla scuola perché “ipodotati”: dice il film che potevano passare “dal brefotrofio al manicomio”. I ricoverati adulti venivano dalla strada, con lo stigma della classe esclusa stampato nel dna, rifiuti della società, destinati alla vita vegetativa o al crimine. La ragazza vivace passava dall’ospedale al manicomio, talora al reparto agitati, in contenzione obbligata (“corpetto e cuffia stretta che non respiravo”). Poi, vergognoso, lo sfruttamento dell’attività lavorativa, certo benefica per i singoli altrimenti inattivi, ma di fatto reso ignobile per il guadagno di imprese che si avvalevano delle capacità tutto sommato normali di gente reclusa perché definita anormale.

Chi si dichiara sempre pronto a difendere la vita deve vedere (accessibile in rete) questo documento che interpella ancora le coscienze non solo dei medici e dei politici.

Esistevano – i casi erano tanti – strutture private religiose; purtroppo il film documenta il rifiuto opposto dalle suore, con durezza e senza timor di Dio, alla macchina da presa e anche la rassegnazione di un parroco alla condanna senza appello di malati che non possono avere altro destino che la custodia obbligata e purtroppo penosa.

Allora i movimenti democratici e i partiti erano in prima linea a captare i bisogni umani: ovviamente c’era la preoccupazione che la chiusura dei manicomi caricasse le famiglie di pesi insostenibili; ma non è un caso che Matti da slegare sia stato finanziato dalla Provincia di Parma per sostenere la visione umana che la nuova psichiatria voleva non umiliata e torturata, come succedeva nei 91 manicomi allora esistenti in Italia. L’assessore capiva che il problema era complesso, ma anche che era ormai ineludibile: possedeva quella tempra politica per la quale “non c’è nulla di impossibile”. E il film finiva con canti e balli dei ricoverati in via di liberazione.

Liberazione che avvenne nel 1978 con la legge 180, che veniva a sostituire la 36 del 1904, chiudeva i manicomi, istituiva i centri di igiene mentale e ne affidava l’attuazione alle Regioni. In Senato diede il suo contributo Franca Ongaro Basaglia, anche lei parlamentare della Sinistra Indipendente; dopo la scomparsa prematura di Franco nel 1980, con competenza e passione continuò a perfezionare le norme della 180, sia nell’attuazione dei decreti applicativi e del successivo Progetto obiettivo salute mentale, sia contribuendo alla redazione di alcune leggi regionali.

Non fu facile realizzare da un giorno all’altro una riforma così radicale. Franco Basaglia era consapevole della svolta data alla psichiatria: l’abolizione dei manicomi, che non escludeva l’esistenza di strutture specialistiche terapeutiche del malato mentale, imponeva la considerazione prioritaria della dignità umana di ogni paziente, anche quello che pativa nell’anima. Le discussioni furono molte e appassionanti: nonostante i dubbi e le difficoltà, la “prima Repubblica” riuscì a dare una lezione di civiltà all’Europa. Quando la politica anima e divulga con serietà e impegno i valori civili, anche una 180 dimostra che vale la pena di sfidare lo stesso consenso popolare, che alla prova non manca. Ma chi ha seguito da vicino lo svolgersi di questa battaglia confessa di credere che sia stato davvero un miracolo che si sia realizzato, in un tempo relativamente breve e in una stagione piena di tensioni, un principio umanitario così nuovo e così audace.   

* Giancarla Codrignani è un’intellettuale cattolica, già parlamentare della Sinistra Indipendente

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