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Il "genocidio" dei migranti e le responsabilità: mons. Bettazzi scrive al presidente del consiglio Conte

Mons. Luigi Bettazzi, già presidente di Pax Christi e vescovo emerito di Ivrea, scrive una lettera aperta al presidente del consiglio, Giuseppe Conte. Non come rappresentante di un potere religioso che bacchetta un presidente di un governo laico, ma umilmente, «come cittadino dell'Italia che, nella Costituzione, garantisce il diritto d’asilo a quanti, nel loro Paese, sono impediti di esercitare le libertà democratiche» e «come cittadino dell’Europa che, nella Carta dei diritti fondamentali, afferma: “La dignità umana è inviolabile. Essa deve essere rispettata e tutelata”».

Bettazzi non intende confrontarsi sullo scivoloso terreno del religioso, nonostante il ministro Matteo Salvini ami tanto agitare rosari e Vangeli ai quattro venti, appellandosi alle radici cristiane (da preservare, dice lui) del popolo italiano, salvo poi ignorare scientificamente i numerosi appelli per l'accoglienza di papa Francesco e dei vescovi italiani.

Curioso che anche al recente vertice Ue sui migranti, aggiunge il vescovo emerito, i Paesei membri e soprattutto le «nazioni tradizionalmente più “cristiane”» hanno dimostrato una certa sordità di fronte alle ragioni dell'accoglienza e una certa «incapacità (...) di mantenere le tradizioni “umane”» fondative dell'Unione.

Bettazzi si dice particolarmente deluso dall'atteggiamento del nostro Paese, che in Europa mostra i muscoli attestandosi su posizioni di chiusura, «forse (...) comprensibili sul piano della contrattazione», ma «non su quello del riferimento a vite umane. Siamo tanti a non volerci sentire responsabili di navi bloccate e di porti chiusi», scrive ancora Bettazzi, dopo aver visto governi che, con una mano, depredavano e vendevano armi, e con l'altra sbattevano la porta in faccia alle vittime di quella povertà e di quelle guerre.

«Non vogliamo vedere questo Mediterraneo testimone e tomba di una sorta di genocidio, di cui diventiamo tutti in qualche modo responsabili». Al contrario, conclude il prelato, «vorremmo davvero che l’Italia, consapevole della sua tradizione di umanità (prima romana, poi cristiana) non accettasse di divenire corresponsabile di una tragedia, che la storia ha affidato al nostro tempo e da cui non possiamo evadere. Al di là di un’incomprensibile indifferenza o di un discutibile privilegio (“prima gli italiani”. Quali italiani? O “prima l’umanità”?), credo che, nell’interesse della pace, aspirazione di ogni persona e di ogni popolo, l’Italia possa e debba essere, per sé e per tutta l’Europa, pioniera di accoglienza, controllata sì, ma generosa».

Foto di Matt Brown, tratta dal sito Flickr, immagine originale e licenza.

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