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Tra Eritrea ed Etiopia è pace. E speranza di cambiamento

Tra Eritrea ed Etiopia è pace. E speranza di cambiamento

Tratto da: Adista Notizie n° 27 del 21/07/2018

39454 ASMARA-ADISTA. Con uno storico abbraccio riconciliatore il premier riformista etiope, in sella da tre mesi, Abiy Ahmed, e il presidente eritreo, Isaias Afewerki, hanno posto fine, lo scorso 8 luglio, ad uno dei più lunghi conflitti armati africani. Una guerra di confine, eredità dell'occupazione coloniale italiana, che era esplosa nel 1998 e si era interrotta solo nel 2000 con gli accordi di Algeri, dopo aver lasciato sul campo tra 70 e 100mila morti. A due anni dalla fine dei combattimenti, una commissione ad hoc sotto l'egida dell'Onu assegnava all'Eritrea la città contesa di Badme – il casus belli dietro il quale si nascondevano altre rivalità commerciali e politiche tra i due Paesi – ma la decisione non è andata giù all'Etiopia che ne ha conservato l'amministrazione fino ad oggi. Nonostante la fine ufficiale delle ostilità, dal 2002 la zona di confine intorno alla città è così rimasta teatro di una conflittualità a bassa tensione che ha provocato vittime, migrazioni, espulsioni di massa, odio etnico, ritorsioni, chiusure commerciali ecc.

L'animosità tra i due Paesi e la costante minaccia del conflitto ha fornito al presidente eritreo un alibi per l'instaurazione di un regime autoritario e liberticida, caratterizzato da militarizzazione delle istituzioni, leva obbligatoria tra i 17 e i 50 anni, chiusura degli organi di informazione e delle università, azzeramento delle libertà più basilari, incarcerazione arbitraria degli oppositori politici, ecc. Strategia che in questi anni ha spinto l'Eritrea agli ultimi posti delle classifiche di sviluppo, ne ha provocato l'isolamento nell'ambito della comunità internazionale e africana e l'avvicinamento ai Paesi del Golfo e al fondamentalismo di stampo jihadista.

La svolta nelle relazioni tra i due Stati è arrivata agli inizi di giugno scorso, quando il primo ministro etiope, fresco d'incarico, ha proposto ad Asmara la pace, accettando senza condizioni di restituire la città e i dintorni di Badme all'Eritrea, nel pieno rispetto dei confini definiti dalla commissione Onu nel 2002. Dopo oltre un ventennio di conflittualità, esulta il ministro dell'Informazione eritreo: inizia oggi «una nuova era di pace e amicizia » tra i due Paesi.

Ad attendere il primo ministro etiope Abiy Ahmed all'aeroporto di Asmara c'era anche l'arcivescovo della città, mons. Menghesteab Tesfamariam: «Come leader religioso, rappresentante della Chiesa cattolica – ha raccontato a Vatican News il 9 luglio – ero tra quelli che lo aspettavano all’aeroporto. Questo abbraccio è stato molto commovente, molto bello. E migliaia di persone per le strade di Asmara e anche fuori dalla città hanno fatto festa per questo evento. È veramente quasi un miracolo».

Eritrea verso la transizione democratica?

«È l'avvio di un processo di pace che speriamo possa avverarsi nel concreto», ha auspicato p. Efrem Tresoldi (comboniano, direttore di Nigrizia) sempre ai microfoni di Vatican News. Secondo l'analisi del comboniano i passi avanti devono essere reali e concreti: primo fra tutti, ritirare le truppe dalla regione contesa; secondo poi «riallacciare i rapporti diplomatici» e commerciali come promesso nell'accordo. Solo così la pace porterà i risultati sperati: il libero accesso ai porti eritrei per l'Etiopia, che non ha sbocchi sul mare; e per l'Eritrea, ha suggerito Tresoldi, l'occasione finalmente di abbassare la tensione interna anche per interrompere l'emorragia di giovani che lasciano il Paese per l'assenza di libertà e per la paura di essere chiamati alle armi in qualsiasi momento. «Speriamo appunto che questo nuovo cammino di pace appena iniziato – ha chiosato il direttore di Nigrizia – possa portare anche a delle riforme interne, che garantiscano condizioni di vita migliori».

Il «vecchio despota eritreo», sottolinea anche Avvenire l'11 luglio, ha spinto il Paese «agli ultimi posti nelle classifiche mondiali di sviluppo e libertà». Dal 2009, poi, l'Eritrea «è soggetta ad embargo di armi dall’Onu per aver cooperato con i terroristi islamici in Somalia per destabilizzare l’area». Per queste ragioni, i migranti della diaspora eritrea sparsi nel mondo hanno «subito chiesto che con la pace e la fine dello stato di emergenza arrivino non solo benefici economici e commerciali, ma la libertà con il ripristino della Costituzione sospesa (che comporta il ritorno alla democrazia con un sistema giudiziario indipendente e libere elezioni) e la fine del servizio militare a vita». Di questo non si è discusso in sede di accordo, ma resta evidente che, una volta ristabilite le comunicazioni e garantita la libertà di movimento tra i due Paesi, il grande tema dell'emorragia di eritrei verso l'Etiopia dovrà essere in qualche modo affrontato.

Il lutto e la speranza

Plauso all'accordo di pace anche da parte del Consiglio Ecumenico delle Chiese (Cec-Wcc, www.oikoumene.org). Il 10 luglio il segretario generale Olav Fykse Tveit si è detto «incoraggiato da questo accordo storico che porta con sé una grande speranza per le comunità e le famiglie che hanno atteso così tanto tempo per la giustizia e la pace». Tveit ha voluto poi commemorare le decine di migliaia di persone che hanno perso la vita nel conflitto e ha poi auspicato: «Preghiamo che la pace non sia solo nei titoli delle notizie, ma anche nella vita quotidiana delle persone che affrontano un nuovo futuro. Incoraggiamo le Chiese a essere impegnate nell'attuazione del processo di pace».

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