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Belle parole, ma le azioni? Da Marie Collins al card. DiNardo la delusione per la lettera del papa sugli abusi
La “Lettera al Popolo di Dio” di papa Francesco diffusa il 20 di questo mese, apprezzata per l’espressione di pentimento per i numerosissimi abusi sessuali commessi da preti su minori e per la richiesta di aiuto rivolta al “popolo di Dio” per evitare che in futuro tali orrori si ripetano, sta continuando a ricevere anche critiche per l’assenza in essa dell’indicazione di chiare misure punitive per i rei.
L’irlandese Marie Collins, vittima degli abusi di un sacerdote e membro dimissionario della Commissione vaticana per la protezione dei minori, ha detto a Dublino – dove si trova per partecipare ad un seminario nel quadro dell’Incontro Mondiale della Famiglia al quale sarà presente il papa – di rallegrarsi perché il papa «si riferisce all’abuso come “crimine” e non con gli eufemismi spesso usati in passato. Abusare sessualmente di un bambino è un crimine!», però è rimasta delusa perché, pur continuando nella decisione di «responsabilizzare gli autori, non si dice come questo si farà». «Mi piacerebbe – ha aggiunto – vedere il papa annunciare “tolleranza zero” reale, che qualsiasi religiosi che abusi di un bambino venga immediatamente espulso dalla Chiesa. Deve annunciare quali misure andranno prese», perché «chiedere perdono non è sufficiente». Ed è andata oltre Marie Collins, segnalando nelle direttive vaticane ai vescovi la causa primigenia del dilagare del fenomeno degli abusi di preti: «Il papa – sono state le sue parole –deve assumersi la responsabilità di come lo stesso Vaticano protegge gli abusatori consigliando ai vescovi di non informare la polizia».
Sulla linea di Marie Collins anche il presidente della Conferenza episcopale australiana, l'arcivescovo Mark Coleridge: «Condividiamo la determinazione del Santo Padre nel proteggere i giovani e gli adulti vulnerabili», ha detto, «queste sono parole importanti, ma le parole non bastano», «ora è il momento di agire su diversi livelli».
Negli Stati Uniti, il cardinale Daniel DiNardo, di Galveston-Houston e presidente della Conferenza episcopale, ha rilasciato una dichiarazione a nome di tutto il corpo affermando che le parole del papa «devono provocare azioni, specialmente da parte dei vescovi».
Fra le reazioni dei laici, Anne Barret Doyle, co-direttrice di BishopAccountability.org (sito di documentazione degli abusi nella Chiesa cattolica romana), ha detto: «Stavo aspettando un piano di azioni», e il papa «non l’ha dato. Mi sentivo come se stessi leggendo un “copia e incolla” da lettere precedenti. Non è che non gli sia permesso ripetere se stesso, perché pensieri importanti meritano di essere ripetuti, ma penso che non abbia capito cosa il popolo cattolico spera e disperatamente desidera, che è un piano per porre fine a tutto questo». Con il modo con cui infine Francesco ha affrontato la situazione cilena, «ho pensato, siamo sull'orlo della riforma sistemica", ha detto al portale di informazione religiosa statunitense Crux il 21 agosto; «per la prima volta, credevo che... pensavo che avremmo visto un nuovo meccanismo per punire vescovi e superiori religiosi... ma con questa lettera sembra ci sia da parte del papa una mancanza di riconoscimento del proprio potere e responsabilità».
*Foto di Alfredo Borba tratta da Wikimedia Commons immagine originale e licenza
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