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Concordato: la via stretta della laicità

Concordato: la via stretta della laicità

Tratto da: Adista Documenti n° 12 del 30/03/2019

Ancora oggi sono in vigore, per di più inseriti nella Costituzione, i Patti Lateranensi, siglati nel 1929 fra la Santa Sede e il Regno d’Italia e aggiornati con gli Accordi di Villa Madama del 1984: i primi siglati per l’Italia da Benito Mussolini, gli altri da Bettino Craxi, entrambi prima socialisti, diventati poi fascista il primo e socialdemocratico con tendenze autoritarie il secondo.

Rappresentano tappe del lungo percorso dei “rapporti” fra il centro della gerarchia ecclesiastica, rappresentato dal papa, e le autorità politiche che si sono succedute in Italia. Può giovare, quindi, una riflessione su questo percorso a partire dalla sua origine che coincide con la nascita dello Stato moderno quando venne meno il connubio, spesso conflittuale ma indiscusso, fra autorità religiosa e autorità civile nei Paesi cattolici. La presenza della religione fra le pubbliche autorità cessò di essere considerata essenziale alla convivenza civile, di conseguenza i molti dei privilegi riservati ai “cittadini” cattolici entrarono in conflitto con la proclamazione del principio di uguaglianza mano a mano che nei diversi Paesi entravano in vigore Costituzioni liberali, che a tale principio s’ispiravano. I primi problemi erano sorti in Francia all’indomani dell’esplosione rivoluzionaria che, nelle sue forme estreme, aveva proclamato il trionfo della dea ragione per giungere poi al “Concordato” siglato dall’emergente Napoleone imperatore e dal papa Pio VII.

Da allora, nel mentre i diversi Stati europei si davano una Costituzione, ci si avviava a considerare la Chiesa e lo Stato due entità autonome e non conflittuali. Sorgeva, però, il problema di garantire ai fedeli della prima la tutela delle particolari condizioni necessarie per vivere secondo i dettami della loro Chiesa. Si diffuse, perciò, in Europa il modello concordatario fatto di accordi fra la Santa Sede e i diversi governi.

In Italia non c’erano le condizioni perché tali accordi potessero essere raggiunti pacificamente.

Il processo di unificazione, avviato sotto l’egida dei Savoia, non poteva non coinvolgere i territori che costituivano da secoli la base territoriale del “potere temporale” dei papi. La conquista delle regioni centrali, prima, del Lazio e soprattutto di Roma, poi, creò una situazione che indusse il papa a dichiararsi “prigioniero” e a proclamare non lecita la partecipazione – non expedit – dei cittadini cattolici alla vita politica del nuovo Regno. Di fatto tale partecipazione ci fu, almeno nella gestione delle amministrazioni locali, regolata dalla Legge delle Guarentige con cui il nuovo Parlamento disciplinò le materie che coinvolgevano la vita della Chiesa italiana, dalla nomina dei vescovi al rifiuto di una legge sul divorzio, ai rapporti unilaterali con la Santa Sede “prigioniera”.

Nel tempo, soprattutto per le preoccupazioni per l’avanzata dei socialisti, suscitate non solo fra i borghesi al potere ma an che fra le gerarchie ecclesiastiche, il non expedit venne in vario modo disatteso e, per le elezioni del 1904, Pio X consentì larghe eccezioni nell'enciclica Il fermo proposito.

Così per la prima volta i cattolici, che da soli o alleati con i liberali moderati erano stati eletti in molte elezioni amministrative, in vista delle elezioni politiche del novembre di quell'anno furono autorizzati a prendervi parte in deroga al non expedit, che conservava il suo valore nonostante le eccezioni alla sua applicazione. Le eccezioni aumentarono e in Parlamento entrarono “cattolici” anche se a titolo personale. Nel 1913, infine, si ebbe, grazie al patto Gentiloni, l’ingresso nel panorama politico dei clerico-moderati. Da tempo presenti nelle amministrazioni locali, ebbero candidati alla Camera dei Deputati sui quali far convergere apertamente i loro voti, oltre che sui liberali che aderivano ad alcuni punti programmatici da loro proposti (libertà della scuola, opposizione al divorzio, ecc.). Nel 1919 papa Benedetto XV abrogò definitivamente e ufficialmente il non expedit, già inapplicato da tempo. Ciò permise la nascita del Partito Popolare Italiano, vagheggiato già nel 1905 da don Luigi Sturzo come partito d'ispirazione cattolica, ma indipendente dalla gerarchia nelle sue scelte politiche.

Negli stessi anni, sul piano istituzionale, i pontificati di Pio X, di Benedetto XV e di Pio XI, che coprirono i primi tre decenni del XX secolo, furono segnati da una processo di distensione e di graduale riavvicinamento fra la Santa Sede e le istituzioni del Regno d'Italia.

All’interno di questo processo venne maturando fra i cattolici italiani un nuovo modo d’intendere i rapporti fra Stato e Chiesa e di vivere da cattolici in Una società che considerava obsoleti o da rifiutare i principi ispiratori della loro fede.

Grazie ad una maturazione culturale, a cui venne dato il nome “laicità”, questo nuovo modo cessò progressivamente di identificarsi con l’anticlericalismo pur continuando a negare il valore “conoscitivo” della religione, ma in nome del primato della ragione su tutte le fedi, considerate solo espressione della libera scelta dei fedeli.

In questo contesto stavano maturando in Italia le condizioni per giungere a una revisione del separatismo fra Chiesa e Stato, che fu accelerata dall’avvento del fascismo. Mussolini vide nella “conciliazione” con la Chiesa una fonte di legittimazione, che infatti ottenne con la stipula dei Patti Lateranensi nel 1929. Con essi: nel Trattato, si stipulava la pace fra il Regno d’Italia e il nuovo potere temporale, ridotto alla dimensione del solo Stato della città del Vaticano (SCV) a conclusione del conflitto che durava dal 1870 con l’occupazione di Roma; nel Concordato si regolavano le condizioni di vita della Chiesa in Italia; nell’Accordo finanziario il Regno ripagava la Chiesa dei beni sottratti con la occupazione dello Stato pontificio.

Questi Patti sono diventati parte integrante della Costituzione italiana, imposti all’Assemblea Costituente da un’inedita convergenza di Togliatti con la Dc, che ha reso possibile l’approvazione dell’art. 7, che introduce vincoli alla laicità della Repubblica.

Tale articolo pur se non ha impedito l’approvazione delle leggi che hanno introdotto il divorzio e reso possibile, a certe condizioni, l’aborto, ha confermato, però, nelle scuole pubbliche l’insegnamento della religione cattolica impartito da docenti scelti dai vescovi, ma pagati dallo Stato; ha legittimato i cappellani militari; ha garantito l’assistenza cattolica negli ospedali pubblici; ha imposto che l’otto per mille del gettito fiscale possa essere destinato dai contribuenti alla Conferenza episcopale e, per di più che alla stessa sia destinata, in dichiarazione dei redditi, una percentuale delle scelte non espresse, in proporzione alla quota destinata da scelte espresse.

Se questi privilegi venissero aboliti nessun limite deriverebbe all‘esercizio del culto, alla testimonianza della fede, alla predicazione, all’intervento dell’autorità ecclesiastica all’interno e all’esterno della comunità ecclesiale. La preziosa presenza di parrocchie e istituzioni caritative cattoliche e l’interventismo benefico del papa non sono legati ai condizionamenti indotti dal regime che dagli accordi concordatari deriva.

Anzi, proprio, l’assenza di condizioni privilegiate consentirebbe maggiore autorevolezza e libertà di parola alla Conferenza episcopale italiana.

La loro presenza, invece, impedisce di considerare la Repubblica italiana uno Stato laico. Questo termine, nel significato originario utilizzato in ambito religioso per indicare un fedele non ordinato sacerdote o non appartenente a congregazioni religiose, ha ormai assunto una significativa valenza politica. La laicità si configura, infatti, come assenza di un'ideologia dominante nello Stato i cui governi non hanno, quindi, un criterio per valutare e discriminare le diverse posizioni religiose ed ideologiche, ma anche come assenza di condizioni privilegiate per una confessione religiosa.

Da allora è in uso la distinzione fra laicità, rispettosa delle scelte religiose, e laicismo, che le considera frutto di ignoranza.

Quelli infatti che in nome della laicità discriminano le religioni, ne fanno, impropriamente una “ideologia”, che molti definiscono laicismo per evidenziarne la diversità.

Ne deriva il termine laicista, spesso assunto come sinonimo di anticlericale e ateo; diventa pertanto “spregiativo”, simile e opposto al termine clericale nelle polemiche sulle ingerenze delle gerarchie ecclesiastiche, ancora molto frequenti nella politica italiana favorite dalla presenza dei condizionamenti di cui si è detto.

Ci si dimentica, infatti, che laicità è anche autonomia da qualsiasi autorità religiosa e rifiuto di qualunque forma, palese od occulta, di teocrazia.

La laicità esige l'indipendenza del pensiero da ogni “assoluto”, che non sia da tutti condiviso, per consentire il confronto e l'apertura all'autonomia delle scelte personali in ogni settore politico, sociale, spirituale, religioso, morale.

L’Assoluto è oggetto di fede e le elaborazioni “teologiche” su di esso, se sviluppate secondo criteri razionali, non possono ignorare il loro condizionamento iniziale che non consente di attribuire loro un valore scientifico. Per di più mentre ogni scienza porta al suo interno criteri di falsificazione/revisione, una scienza dell’Assoluto, la teologia, si configura come inoppugnabile e c’è sempre un’autorità pronta a dichiararsene l’unica interprete attendibile.

Forse è giunto il tempo, siamo al novantesimo anno dalla firma dei Patti Lateranensi e anche al trentacinquesimo del nuovo Concordato, in cui i cattolici italiani che intendono ritrovare lo spirito del Concilio Vaticano II ripropongano la rinuncia unilaterale della Chiesa ai privilegi concordatari come previsto nel cap. 76 della Costituzione Gaudium et spes, per giungere consensualmente all’abrogazione del regime concordatario. 

Dirigente dell’Azione Cattolica al tempo di Carlo Carretto, Marcello Vigli è stato insegnante di Storia e Filosofia. È stato redattore della rivista Questitalia, tra i primi animatori del movimento della Comunità Cristiana di Base e della rivista Com, che ne era l’espressione. È da sempre impegnato sui temi anticoncordatari e per la laicità di scuola e istituzioni.

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