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PRIMO PIANO. Un sogno diurno: che succederà all’Italia?

PRIMO PIANO. Un sogno diurno: che succederà all’Italia?

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 17 del 11/05/2019

Ci avviamo alle elezioni europee. È possibile che non determinino la vittoria dei populisti-sovranisti (tra l’altro divisi tra loro) ma che nel Parlamento si formi una maggioranza costituita dalla “vecchia” alleanza socialistipopolari, magari con l’apporto di altre forze europeiste. A questo punto fallirebbe la “strategia” di Salvini e Di Maio (nuova maggioranza nel Parlamento europeo e istituzioni dell’UE disposte a “chiudere gli occhi” sulle scelte di politica economica dell’Italia). Il governo dovrebbe quindi affrontare una finanziaria “lacrime e sangue”, o lasciare crescere l’Iva, per evitare il crollo dell’economia italiana paventato dagli organismi di controllo internazionali. Con questa prospettiva i conflitti interni all’attuale governo, anziché ricomporsi esploderebbero definitivamente, portando ad una irreversibile crisi di governo. Non ci sarà, tuttavia, una nuova maggioranza, perché nessuna forza politica sarà disposta ad attuare una finanziaria che smentirebbe clamorosamente il “mantra” sostenuto (e mai davvero mantenuto) da decenni, di “non mettere le mani nelle tasche degli italiani”. Non sarebbero una “uscita” da questa situazione le elezioni politiche anticipate che, in realtà, non convengono a nessuno. Chiunque ne fosse il vincitore, mancando appunto la “benevola comprensione” di Bruxelles e dei mercati finanziari, dovrebbe compiere scelte economiche “suicide”.

Si determina così una situazione paradossale e unica nella storia repubblicana d’Italia: un parlamento che “deve” proseguire la sua vita, ma nell’impossibilità di esprimere una maggioranza e un governo “politici” (mancando anche un’alternativa all’attuale maggioranza). Questa situazione segnerebbe la definitiva morte della politica nel nostro Paese, dopo una straziante agonia iniziata nel ’78 con l’assassinio di Moro e che ha avuto il suo punto di non ritorno con Tangentopoli. Paradosso ancora più drammatico, la politica morirebbe proprio nel momento in cui c’è invece assoluto bisogno di rifondare le istituzioni e lo Stato per permetterne il funzionamento. Se ne può uscire? Il “sogno diurno” può far immaginare di sì, anche se con un processo non breve. Innanzitutto, dopo la crisi dell’attuale governo successiva alle elezioni europee e la situazione che ne conseguirebbe, la scelta obbligata diventerebbe quella di un “governo tecnico”. Esso, però, non potrà contare su una maggioranza “organica”. Questa dovrebbe, infatti, essere costituita da tutte le principali forze politiche, dato che a nessuna potrebbe essere “regalato” il grande vantaggio di starsene all’opposizione, lucrando consensi senza pagare costi. Ma né Salvini e la Lega, né i 5 stelle saranno disposti a sostenere “organicamente” un governo tecnico (e il PD non può certo farlo da solo o con FI), assumendosi le responsabilità politiche delle sue dure scelte. E allora? Visto che il governo tecnico s’ha da fare, gli si dà una “fiducia tecnica” per permettergli di entrare in carica, riservandosi di votare o meno di volta in volta i suoi provvedimenti. Governo debolissimo, dunque, destinato a durare poco. Ma non è detto. Infatti avrebbe notevoli punti di forza. Potrebbe far passare l’aumento dell’Iva, che non richiede voto parlamentare essendo già previsto nelle clausole di salvaguardia della legge di bilancio del 2019. Questo libererebbe risorse finanziarie utilizzabili per garantire il mantenimento di “reddito di cittadinanza” e “quota 100” (cosa che favorirebbe la decisione di Lega e 5 stelle di dar vita appunto a un “governo tecnico”), per provvedimenti di rilancio dell’economia (ad esempio la riduzione del “cuneo fiscale”) e anche per qualche indispensabile intervento non solo di facciata nel campo dei servizi sociali, sanità e scuola: tutte scelte che otterrebbero il voto favorevole del Parlamento. Ma che succederà dopo?

Per immaginarlo, il sogno ha bisogno di un “alto volo”. La “politica” è morta e, come detto, per farla rinascere occorre rifondare lo Stato. Ma chi può fare le riforme istituzionali che nessuna maggioranza politica è riuscita a realizzare in oltre 35 anni? Se si tornasse a votare si riproporrebbero probabilmente le stesse paralizzanti condizioni. Si potrebbe allora eleggere un’Assemblea costituente cui demandare quel compito entro un tempo definito (ma questa sembra la scelta politicamente più difficile). Oppure, e non è un’ipotesi peregrina, mantenere in vita un governo tecnico. Per le riforme istituzionali non occorre infatti un governo “politico”, ma il Parlamento. Potrebbe quindi svilupparsi una iniziativa (finalmente nell’interesse generale del Paese) delle forze politiche parlamentari per proporre un progetto organico che le realizzi. Tale progetto, tenendo conto degli esiti dei recenti referendum sulle riforme costituzionali (che le hanno bocciate) e, quindi, di ciò che il popolo italiano non vuole, avrebbe dei contenuti già abbastanza definiti. Oggi siamo tornati nella condizione del 1946: allora, dopo una grande tragedia (e che cos’è stato, se non questo, la quarantennale straziante agonia del sistema politico italiano, costellata di assassini politici, atti terroristici, stragi mafiose, pesanti crisi economiche, e conclusasi con la sua morte?) si è affermata la volontà di ricostruire il Paese con spirito di unità. La mediazione ha prodotto la nostra Costituzione (che, ricordiamolo, visto che oggi è necessario farlo, è antifascista). Giunti al fondo del baratro, quello spirito e il bisogno conseguente di una mediazione (alta) sono sia necessari sia possibili. Il loro frutto sarà la costruzione di un Paese “normale”, inserito (come nei periodi più “fruttuosi” del suo passato) nel contesto europeo, in cui i partiti torneranno a vivere (secondo il modello previsto dalla Costituzione, finalmente attuata anche su questo punto) e potranno riprendere in mano il governo del Paese: perché senza partiti non c’è partecipazione né democrazia. Un Paese così, rigenerato nei valori fondanti e nelle istituzioni, non è frutto di un sogno. È stato descritto e testimoniato (e per questo esiste!) nelle straordinarie pagine di un libro di cui non si sente pressoché più parlare, le Lettere dei condannati a morte della Resistenza italiana. Tornare a farle leggere ai giovani (e agli adulti che non l’hanno mai fatto) è un dovere preciso, una necessità.  

Ex insegnante di storia e filosofia e dirigente scolastico, Paolo Bertezzolo ha scritto articoli e saggi, ed è autore del libro Padroni a Chiesa nostra. Vent’anni di strategia religiosa della Lega Nord (Emi, 2011, v. Adista n. 48/11

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