
Costretto allo stop il documentario sulle suore abusate da preti
Tratto da: Adista Notizie n° 17 del 11/05/2019
39801 AMBURGO-ADISTA. La piattaforma franco-tedesca Arte.tv, co-produttrice dell’inchiesta dal titolo “Religiose abusate: l’altro scandalo della Chiesa”, diffuso all’inizio dello scorso marzo (di cui abbiamo dato ampia informazione: v. Adista Notizie nn. 10 e 16/19) è stata costretta dal tribunale di Amburgo, in Germania, a ritirare nella sua forma attuale il documentario, frutto di un lungo e meticoloso lavoro di indagine dei giornalisti francesi Marie-Pierre Raimbault, Eric Quintin ed Elisabeth Drévillon durato più di due anni sugli abusi, soprattutto sessuali, perpetrati da membri del clero sulle religiose. Reso difficoltoso dal clima di omertà e paura che circonda il tema, ha il grande merito di denunciare, al di là dei singoli casi agghiaccianti, con testimonianze anche a viso scoperto, il sistema di protezione dei responsabili degli abusi nella Chiesa e il clericalismo strutturale che ha consentito ai “lupi” di agire indisturbati per decenni. Il documentario è molto duro anche nei confronti del Vaticano, imputando al pontificato wojtyliano l’aver diffuso la sistematica cultura di impunità e di minimizzazione delle accuse. I reati dei fratelli religiosi Marie-Dominique e Thomas Philippe, infatti, i cui abusi si sono protratti per decenni, erano ampiamente risaputi in Vaticano; alcuni di essi erano stati denunciati da oltre vent’anni, senza alcun risultato.
I giornalisti che hanno realizzato il documentario si sono spinti fino in Africa, dove un prete gesuita aveva spiegato che gli abusi commessi in questi Paesi sono resi più facili dalle difficoltà economiche che rendono possibile un «traffico di favori». E quando una religiosa resta incinta, la gerarchia prevede soluzioni che vanno dall’allontanamento dalla comunità all’aborto, all’«offerta del bambino a Dio», ossia l’abbandono del neonato. In Italia non è stato possibile ottenere alcuna testimonianza diretta – omertà e paura sono totalmente pervasive –, ma sono state molto preziose le interviste ad Anna Deodato, delle ausiliarie diocesane di Milano, che accompagna spiritualmente e psicologicamente le suore abusate, a p. Hans Zollner, direttore del Centre for Child Protection della Università Gregoriana nonché membro della Commissione pontificia per la protezione dei minori, all’avvocato Luca Giardini di Pesaro, che ha difeso una giovane suora africana, violentata da un prete del suo Paese e rimasta incinta, nel suo tentativo di tenere con sé la bambina che aveva dato alla luce.
Il provvedimento – di cui ha dato notizia il quotidiano cattolico francese La Croix il 27 aprile scorso – è stato richiesto in seguito alla denuncia di un prete tedesco: «Non è nominato – spiega Fabrice Puchault, direttore della sezione Società e Cultura di Arte France – il luogo in cui esercitava non è citato ma lui si è riconosciuto e ha ritenuto di poter essere riconosciuto da altri. Il tribunale gli ha dato ragione dopo un’udienza alla quale, per ragioni che attengono alla procedura giudiziaria tedesca, non eravamo presenti». Arte France e Arte Deutschland hanno dunque dovuto interrompere la programmazione del documentario e bloccarne «ogni forma di diffusione », anche sul canale Youtube.
Diffuso sulla piattaforma il 5 marzo scorso, fino al 5 aprile – data nella quale ne è stata interrotta la visione, un mese prima di quanto programmato – ha ottenuto quasi mezzo milione di visualizzazioni, per un bacino totale di spettatori di almeno un milione e mezzo solo in Francia, il che equivale a una cifra di tre volte superiore alla media dei programmi trasmessi, mentre in Germania è stato visto più di 200mila volte, il doppio rispetto al consueto. Il totale degli spettatori dovrebbe sfiorare i due milioni e mezzo, tra i due Paesi. Indignata la produzione: «In Germania – precisa Eric Colomer, responsabile della Dream Way Productions, l’altra società coinvolta, in un’intervista del Nouvel Observateur – il tribunale in cui la denuncia del prete è stata gestita è considerato molto conservatore. Questo tribunale non ha giudicato nel merito e preso la decisione d’urgenza di vietare la diffusione per precauzione. La procedura utilizzata, iniqua secondo le convenzioni europee, lede i diritti della difesa che non è stata invitata a dare spiegazioni. Purtroppo il ricorso che Arte depositerà richiederà necessariamente una procedura di lunghi mesi». «Se questo prete – prosegue Colomer – avesse sporto una denuncia per diffamazione in Francia alla 17a Camera (la sezione del Tribunale civile francese che si occupa del diritto di libertà di stampa e di diffamazione, ndr), sarebbe stata respinta, perché noi abbiamo fatto di tutto per confondere le piste e renderlo non identificabile: nel film, affermiamo che gli abusi subiti da Doris, la giovane religiosa tedesca, si sono verificati tra il 2008 e il 2011, anni durante i quali è stata in contatto con decine di altri preti. Quindi è assolutamente impossibile riconoscere di chi si tratti».
Il produttore è dunque deciso ad andare avanti, ricorrendo, se occorre, alla Corte europea di giustizia, e nota che, paradossalmente, il prete in questione rischia, con la sua azione, di rendersi davvero riconoscibile, dal momento che le sue generalità saranno forzatamente rese note nella procedura giudiziaria. «La cosa incredibile in questa storia – dichiara ancora Colomer – è che molti distributori stranieri, persino in Australia, si sono interessati a questo film che è parte di un’autentica missione di servizio pubblico. Ha provocato, fino all’interruzione della sua diffusione, un dibattito enorme nella società e nelle comunità religiose cattoliche alcune delle quali hanno pubblicato dichiarazioni che ne riconoscono l’utilità».
Nel frattempo, tuttavia, la violazione dell’ordinanza del tribunale tedesco potrebbe condannare Arte a una multa fino a 250mila euro o a una pena fino a due anni di detenzione, secondo quanto si legge sul quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung (23/4). La decisione è stata notificata a Arte-GEIE, la società cui i due poli francese e tedesco fanno capo. «Noi difendiamo questo film – dichiara ancora Fabrice Puchault – di cui abbiamo accompagnato la produzione come pure la diffusione. Prepariamo dunque un dossier per fare opposizione alla decisione del tribunale».
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