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Donna, ministero e tradizione ecclesiale

Donna, ministero e tradizione ecclesiale

Tratto da: Adista Notizie n° 19 del 25/05/2019

È possibile chiedersi se la Chiesa non possa considerasi abilitata ad un mutamento nell’accesso al ministero che si confronta con una tradizione che:

- non è fondata su una parola esplicita di Gesù, che non ha detto nulla sul tema del ministero femminile;

- è radicata in una prassi che ha giustificato l’esclusione della donna con argomenti troppo deboli o addirittura irripetibili;

- può generare un beneficio soggettivo per le donne battezzate e un beneficio oggettivo per una autorevolezza più ampia e capillare del sacramento.

Una elaborazione di questa possibilità per il diaconato rimane assai feconda, perché il silenzio di Gesù non può essere elaborato con argomentazioni troppo congetturali. Non si può dire, ad es.: “Se Gesù avesse voluto ordinare le donne, lo avrebbe fatto. Se non lo ha fatto è perché lo ha escluso”. L’argomento di può capovolgere facilmente: “Se Gesù avesse voluto escludere le donne dalla ordinazione lo avrebbe detto. Se non lo ha detto, significa che non le ha escluse”. In altri termini, il silenzio sul tema della ordinazione apre la Chiesa ad un ambito di reale esercizio della potestà, che non può essere negato sulla base di una formulazione giuridica del 1917, che fa del sesso maschile un requisito di validità della ordinazione.

Le ragioni di un passaggio dalla logica medievale dell’impedimento, alla logica moderna della sostanza, sono molteplici. Tra di esse si può sicuramente trovare una nuova interpretazione della potestas ecclesiae, limitata all’interno delle leggi vigenti. È una tipica rappresentazione tardo-moderna, influenzata profondamente dal Codice Napoleone e dalla sua concezione della legge e del potere. Il recupero di una prospettiva medievale e tridentina, con la sua antichità e nella sua differenza rispetto ai linguaggi dell’ultimo secolo, può contribuire a guardare all’esercizio della autorità ecclesiale come ad un atto che, fondato sulla tradizione, sa che il mutare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi permette di configurare mutamenti in cui non è in gioco la sostanza del sacramento (Denziger-Hünermann 1728. Il DH è una raccolta di testi del Magistero). Servire da diaconi permanenti la Chiesa non esige, come requisito sostanziale, il sesso maschile, cosa che viene pacificamente confermata anche da Inter insigniores e da Ordinatio sacerdotalis; infatti, come si ricorda in sede giuridica, se il can. 1024 del Codice di Diritto Canonico parla in generale di “sacra ordinazione” che richiede il sesso maschile, la Congregazione per la Dottrina della Fede, nella dichiarazione Inter insigniores del 15 ottobre 1976, approvata da Paolo VI, ha precisato che per diritto divino il requisito del sesso maschile non riguarda tutti i gradi dell’ordine, ma segnatamente il presbiterato e l’episcopato.

Questa affermazione, che non ha nulla di sorprendente, può essere giustificata se si evita di dogmatizzare il sesso maschile come “sostanza del sacramento dell’ordine” e si recupera una logica degli “impedimenti”, sottoponendola però ad una critica accurata, “dovuta al mutare delle circostanze, dei tempi e dei luoghi” (DH 1728). È sufficiente essere fedelmente tridentini per scoprire nuove possibilità. Infatti nella società aperta l’impedimentum sexus subisce una profonda trasformazione, al punto da avere, come impedimentum, solo due alternative: o si dogmatizza o sparisce. Il sesso femminile, pensato nel ministero ecclesiale non più come impedimento, ma come risorsa, è il segno del sorgere di un mondo nuovo, che ecclesialmente dobbiamo ancora iniziare a comprendere e a gestire.   

Andrea Grillo è liturgista, insegna Teologia dei Sacramenti e Filosofia della Religione a Roma, presso il Pontificio Ateneo S. Anselmo, e Liturgia a Padova, presso l’Abbazia di Santa Giustina.  

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