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Le sottrazioni alla Terra. Land grabbing e i conti che non tornano

Le sottrazioni alla Terra. Land grabbing e i conti che non tornano

Tratto da: Adista Documenti n° 20 del 01/06/2019

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La parola grabbing appare persino onomatopeica e legata a land (terra)» descrive un fenomeno in crescita negli ultimi anni. L’accaparramento di terre da parte di multinazionali o Stati stranieri per sfruttarle è finalizzato a ottenere il massimo profitto o a sopperire a carenze di risorse agricole interne al proprio Paese. È una colonizzazione in nuova veste, realizzata con la finanza e con l’economia e non con gli eserciti. Le nuove conquiste si attuano in giacca e cravatta anziché in uniforme militare. È proprio così: si tratta di una colossale sottrazione di relazione con la terra, da cui consegue un impoverimento culturale e spirituale. Le possibili equazioni di questa sottrazione sono almeno quattro.

1. Terra meno contadini uguale dissesto e abbandono. La sottrazione di terra alle famiglie di agricoltori che l’hanno coltivata per decenni ha portato alla fuga dalle campagne verso le periferie urbane, con conseguente perdita di posti di lavoro e di presidio del territorio. La cura delle terre è frutto anche di una feconda prossimità: chi abita nel luogo che coltiva lo sente come “propria casa” e ne ha una speciale cura. È il migliore antidoto ai dissesti idrogeologici e a fenomeni di degrado delle aree interne.

2. Terra meno biodiversità uguale monocolture. Le mani su estese quantità di terre esprimono gli interessi di investitori che spesso sono anche i proprietari delle sementi. I nuovi padroni intendono favorire un’agricoltura intensiva, non escludendo il ricorso a Ogm. L’agricoltura contadina perde terreno (è proprio il caso di dirlo!) in favore di monocolture intensive senza scrupoli, capaci di ricorrere massicciamente a fertilizzanti chimici o fitofarmaci. Tutto ciò è destinato al mercato internazionale, alla grande distribuzione o direttamente al consumo dei Paesi finanziatori, riducendo le cultivar (le varietà agrarie di una specie botanica, ndr) a pochi semi brevettati: mais, soia, olio di palma, canna da zucchero... Si aggravano i problemi ambientali con la perdita di biodiversità. Ne derivano nuove forme di latifondismo, la cui produzione di cibo viene esternalizzata, anche in altri continenti.

3. Terra meno cibo uguale carburante e fame. Il land grabbing sottrae prodotti agricoli destinati all’alimentazione. Offre uno spaccato di neocolonialismo culturale e colturale: gli investimenti trovano sbocchi remunerativi nella produzione di biocarburanti, con conseguente aumento di prezzo delle derrate alimentari, a scapito delle persone che soffrono la fame. Il paradosso è presto servito: l’agricoltura intensiva si dichiara in grado di produrre più quantità di derrate che però finiscono nel circuito energetico, sottratte a quello alimentare. Tale scelta spinge al rialzo i prezzi dei beni primari, colpendo le popolazioni con scarsa disponibilità di reddito. I mercati locali ne pagano le immediate conseguenze. La terra diventa un’occasione per produrre denaro, strumento di speculazione finanziaria e non crea valore aggiunto per la sua capacità produttiva.

4. Terra meno comunità uguale povertà economica e culturale. Le colture agricole rispondono ai desideri dei finanziatori e dei proprietari terrieri e non alle possibilità ecologiche del territorio. Accanto alla biodiversità, ne soffrono anche le risorse idriche. La sottrazione di terre comunitarie è anche la riproposizione di un modello economico a pensiero unico, che tende a smantellare le forme di uso comune della superficie coltivabile, spesso preesistente alle legislazioni dei Paesi e ai titoli di proprietà attuali. Le terre comunitarie sono particolarmente fragili e a rischio di cadere sotto il controllo di investitori senza scrupoli. Così, senza consultazione pubblica, senza assenso da parte delle famiglie interessate e senza indennizzo, come previsto invece da leggi tradizionali (in qualche caso chiamate opportunamente «Legge della terra »), avviene una sottrazione autorizzata da politici corrotti. L’economia della cura viene così sostituita dalle  l’economia della predazione. Il livello culturale si degrada a monocultura della mente, stando a una felice espressione della militante indiana Vandana Shiva.

Il problema etico della concentrazione delle terre in mano a poche persone non è nuovo. Ciò che appare oggi nella sua crudeltà è l’allontanamento fisico dalla terra di intere popolazioni e di numerose famiglie, per cui diventa anche difficile ogni operazione di protesta e di denuncia. Ne parla con chiarezza Laudato si’ al numero 134, quando affronta il tema degli Ogm. Scrive papa Francesco: «In molte zone, in seguito all’introduzione di queste coltivazioni, si constata una concentrazione di terre produttive nelle mani di pochi, dovuta alla “progressiva scomparsa dei piccoli produttori, che, in conseguenza della perdita delle terre coltivate, si sono visti obbligati a ritirarsi dalla produzione diretta”. I più fragili tra questi diventano lavoratori precari e molti salariati agricoli finiscono per migrare in miserabili insediamenti urbani. L’estendersi di queste coltivazioni distrugge la complessa trama degli ecosistemi, diminuisce la diversità nella produzione e colpisce il presente o il futuro delle economie regionali. In diversi Paesi si riscontra una tendenza allo sviluppo di oligopoli nella produzione di sementi e di altri prodotti necessari per la coltivazione, e la dipendenza si aggrava se si considera la produzione di semi sterili, che finirebbe per obbligare i contadini a comprarne dalle imprese produttrici».

La citazione dei vescovi argentini all’interno del testo è interessante, perché fa comprendere che papa Bergoglio parla di un tema che conosce in prima persona e che è stato fonte di impoverimento dei territori nella pianura al nord del Paese, molto fertile e meta di sogni facoltosi. Non resta che invocare un ritorno alla terra. Occorrono regole condivise di vigilanza e di controllo sul suo mercato. La sfida da raccogliere è quella di garantire un equo accesso alle terre: si promuovano situazioni win-win (dove si contratta senza che nessuno perda, ndr) tra le parti contraenti e si educhi a un sistema alimentare sostenibile. Un secolo fa la protesta della campagna lombarda trovava nelle leghe bianche organizzate da Guido Miglioli un riferimento per molti contadini, grazie allo slogan: «la terra a chi la lavora!». Oggi questo grido sale dalle periferie e chiede di essere ascoltato, in un contesto completamente cambiato. Anche nel mondo globale, la relazione tra l’uomo e la terra ha bisogno di diventare opportunità di lavoro. È il volto autentico della casa comune, dove ecologia ed economia si abbracciano. La regola cooperativa ha una sua logica sottostante: uno più uno fa tre. L’unità, frutto della condivisione, moltiplica le forze in campo. Genera abbondanza quanto a risultati. In termini matematici ed evangelici, è il centuplo quaggiù!

Immagine tratta dal sito della cooperativa no-profit Il Villaggio dei Popoli

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