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Donne oggi: la fiaccola sotto il giogo

Donne oggi: la fiaccola sotto il giogo

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 30/08/2019

“Carola Rackete: l’odio e l’amore”: sulle note vicende che hanno visto come protagonista la comandante della Sea Watch così ha tititolato il Comunicato stampa dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne. Amore da lei donato e odio ricevuto ma anche amore e odio che l’hanno avvolta. La coraggiosa capitana è stata paragonata ad Antigone. Ma Carola Rackete è stata sia ammirata e lodata, sia insultata ed aggredita: con il linguaggio sessista più becero, brutale, dove l’evocazione dello stupro dominava. È diventato la cosa più immediata per insultare una donna. Si snidano i fantasmi della soggezione/aggressione sessuale cui la donna è “naturalmente” associata, dell’essere subumano, e affiora la figura della prostituita (che nemmeno sant’Agostino voleva eliminare). Come il colonizzatore domina i colonizzati estirpando la loro identità e inculcandone una a lui compiacente e funzionale, così è per l’uomo, il kyrios, il Signore Del resto la stessa dinamica è stata messa in atto nei confronti della terra: l’homo faber vuole trarne tutto il vantaggio: estrazione e appropriazione sono le sue logiche: esse governano questo campo, intersecandosi con quella del dominio/ soggezione tra uomo e donna, come ha analizzato superbamente tutta la produzione dell’ecofemminismo.

Odio e amore, dunque. Le relazioni tra i sessi abitano i bordi di un crinale dove le spinte si con trappongono. Da un lato, nella coscienza collettiva, si sono sedimentati indubbi segnali di libertà femminile, mostrando un’irresistibile fioritura; d’altro lato, l’economia dei maschi, avvertendo di stare su una lastra di ghiaccio che va assottigliandosi, si è arroccata nei suoi fortilizi, nella duplice forma di un resistere in doppio petto e/o in veste talare (un darsi e ritrarsi di comprensione benevola, dall’alto, paternalistica, disposta a concedere qualcosa, ma appunto “concedere”; a volte irritata e stizzita, con richiamo all’ordine); e di uno sguaiato e rozzo maschilismo (dal modello machista/sovranista-Trump, a quello del bullismo/sballo da discoteca, tollerato come “ragazzata”); in entrambi i casi è cifra di una condizione di predominio, mascherato o meno, che avverte la perdita di status, quindi vacillante, che presagisce di dover difenderlo: non è più scontato. Perdita di status che, per l’uomo occidentale, va ad aggiungersi al dissesto innescato da flussi migratori planetari. È un po’ troppo: la reazione si fa spesso “sovranamente cattiva”.

Dalla seconda metà dell’Ottocento ad oggi, le manifestazioni di una indubbia avanzata nel campo della parità di diritti sono innumerevoli, con una accelerazione realizzatasi dalla seconda metà del Novecento, quando, con il dopoguerra, insieme a processi di sviluppo sul piano economico, si sono attuate sostanziose modificazioni sul piano dei costumi; si è aperto l’accesso in massa per le donne alla scuola e al lavoro, anche se ciò ha riguardato fasce circoscritte, per lo più del mondo borghese e dei grandi centri urbani.

Una delle richieste pressanti delle donne nella rivoluzione francese fu l’istruzione: Olimpe de Gouges pagò il suo ardire con la ghigliottina. Con l’avvento del socialismo, l’emancipazione femminile puntò soprattutto sul lavoro. Anche una lucida mente come quella di Virgina Woolf, si adoperò con la sua penna perché, attraverso il lavoro, le donne si sottraessero al ricatto della dipendenza economica. A questi due capisaldi, si aggiungono le battaglie per i diritti politici, tra cui spicca quella per il voto. Mia madre appartiene alla generazione di donne che in Italia votarono per la prima volta nella storia: è come dire ieri l’altro.

Sia lavoro, sia istruzione, e soprattutto il primo, non sono traguardi che hanno trovato compimento pieno. Ma l’opportunità sia di frequentare scuole e Università, sia di essere impiegate in ambiti lavorativi della sfera produttiva ha provocato – come intuivano le femministe della prima ondata – una mutazione profonda dei rapporti tra i sessi. Una potente forza d’urto ha, nel giro di pochi decenni, dissestato – non certo cancellato – gli equilibri millenari del sistema di dominio di un genere sull’altro.

Uno degli scossoni più forti fu provocato dalla pillola anticoncezionale, che ha profondamente inciso sulla concezione della sessualità femminile. Si addensano anche ombre su questo farmaco, ma ciò che conta è che esso ha rappresentato una svolta epocale; era il simbolo dell’inaudito scollamento tra sessualità e procreazione: fino allora un destino. «Spesso le donne non sono che gli ostaggi della riproduzione della specie», osserva Luce Irigaray in Io, tu, noi. Per una cultura della differenza (Bollati Boringhieri, 1992). Ora, mentre la paura, la diffidenza, le aggressioni, le minacce, il disprezzo, l’incitamento alla violenza e all’odio s’infittiscono in tutte le direzioni, nella graduatoria svettano le violenze contro le donne, insieme a immigrati e islamici. E crescono le violenze maschili domestiche: le più aberranti, perché compiute nella sfera degli affetti: «Nel 2018 il 49,5% degli omicidi volontari commessi in Italia… sono avvenuti nella sfera familiare o in quella affettiva, una percentuale in costante crescita e che sembra confermarsi nei primi mesi del 2019… Va aggiunto che due vittime su tre in famiglia sono donne (109, pari al 67%) e che nell’88% dei casi l’autore dell’omicidio è un uomo» (https://bit.ly/2MFQgvL). Che siano manifestazioni di fragilità che emergono quando l’uomo vede dissolversi una relazione è l’interpretazione più sensata di tali tragedie (che coinvolgono anche bambini). Ma sono pur sempre fragilità assassine, e l’efferatezza di questi crimini dovrebbe non solo inorridire l’opinione pubblica, ma chiamare in causa.

E noi, le donne, ora, cosa diciamo? Il femminismo è stato riconosciuto anche da storici maschi come la rivoluzione più significativa del ‘900. Non solo non si è esaurito, anche se, nei decenni, è stato attraversato da increspature e faglie di riassestamento. Nelle discipline storiche, nelle filosofiche, letterarie, scientifiche, teologiche sono sorte associazioni femministe di ricerca e studio, sono nati Women Studies, laboratori sui saperi antichi e sulle attività manuali, centri e case delle donne, consultori con particolare attenzione alla sessualità e al corpo, centri antiviolenza, centri di documentazione, librerie, sale di ritrovo gestite da donne per donne ecc. per non parlare dell’esplosione di siti nella rete e dello straordinario utilizzo dei social. In tale galassia, le differenze traboccano. Ma ci sono costanti; una per esempio è il non disgiungimento di pensiero e corpo/emozioni/vissuto: “Il personale è politico”.

Il “me-too” in Italia non ha creato quella scossa che ha avuto in altri Paesi. Ma il movimento c’è, come ho detto, con in più quella vitalità fresca e movimentista di “Se non ora quando”, che include il cosiddetto transfemminismo, un’area che comprende le istanze LGBTQ*.

Le sfaccettature del pensiero/ pratiche femministe dunque si moltiplicano. Una di queste, a mio avviso molto interessante, è un risveglio travolgente sul tema del contrasto alle violenze contro le donne, di cui quelle fisiche sono solo la punta visibile di un iceberg. Emergono anche testimonianze dolorosissime di abusi spirituali nei conventi. Tra le violenze una ha contorni macroscopici: l’industria del sesso (pornografia/prostituzione/ turismo sessuale ecc.). Ora è inquadrata finalmente in una prospettiva femminista, in grado di smascherare l’ideologia della pretty woman, del “è un lavoro come un altro” o del sesso liberato (a cui le/i sex workers si aggrappano) per risignificare come la prostituzione sia la forma più emblematica di violenza maschile. La prostituzione, spiega Rachel Moran, uscita dalla prostituzione e autrice di un libro testimoniale, è la commercializzazione dell’abuso sessuale, uno stupro a pagamento: il denaro non compra il consenso, ma soltanto il tragico silenzio inscritto nella vergogna della persona abusata.

Alcuni uomini, pochi in verità, credenti o agnostici, hanno risposto allo scisma/sisma innescato dai femminismi in modo completamente diverso dai loro compagni di cui dicevo sopra. In nome di una intelligenza del cuore che chiama alla responsabilità («Può darsi che non siate responsabili per la situazione in cui vi trovate, ma lo diventerete se non farete nulla per cambiarla», diceva Martin Luther King), hanno compreso che, come per la questione ambientale, l’alternativa si poneva fra giustizia e autodistruzione. E nella crisi hanno colto non una minaccia ma una opportunità: quella di misurarsi con le donne da un'altra prospettiva, non vedendole come nemiche ma come alleate. Nella soggettività maschile non si annidano forse quelle costrizioni dell’identità, quegli stereotipi che il sistema simbolico ingiunge (un dover essere secondo uno standard di prestazioni e di attitudini cognitivo-etico-emotivo-corporee) e che rischiano di essere più un’amputazione di sé che non una sacrosanta prerogativa da difendere? I gruppi che vivono queste avventure sotto l’ombrello cristiano intuiscono questa dinamica paradossale tra il perdere qualcosa e il ritrovare qualcosa di più grande, ma anche i gruppi laici dispongono  di validi riferimenti.

Siamo così entrati nell’area delle religioni. Le religioni, con gradi diversi, mostrano un volto monolitico riguardo le donne. Sistemi simbolici e pratiche religiose che si reggono sull’invisibilità delle donne (nelle liturgie, nelle assemblee decisionali e nell’esegesi dei testi sacri) non vengono scalfiti. Gli scenari sono però diversificati. Dagli anni Cinquanta in poi nelle Chiese riformate è stato ammesso il pastorato femminile: già con Elisabeth Cady Stanton, a metà dell’Ottocento si era inaugurata con The Woman’s Bible l’esegesi femminista. La Stanton fu accusata dalle istituzioni di essere una sobillatrice delle leggi statali, a dimostrazione che l’incidere sui modelli di genere nell’impianto religioso, benché in una società secolarizzata, scardina a tutto tondo assetti politico- sociali inveterati.

Attualmente, vedo molto fermento negli ambienti del femminismo ebraico e musulmano negli Usa. Dagli ambienti ortodossi non ci sono echi. In quelli cattolici le crepe si moltiplicano, ma la fortezza resiste. Nel terreno occorre la cautela: in papa Francesco soffia il vento della profezia e ciò lo espone a perfidi attacchi. Le critiche nei suoi confronti (che pure lui considera benefiche) possono essere controproducenti. Vero è che non bisogna aspettarsi tutto dal papa e le sue parole acrimoniose sull’aborto hanno avuto molto effetto. Se le voci di quel poliedro («Il modello è il poliedro, che riflette la confluenza di tutte le parzialità che in esso mantengono la loro originalità», E.V. 236) che egli ha auspicato come metafora dell’inclusività – per la Chiesa e la convivenza – sono molteplici, quelle delle donne sono nei fatti escluse, perché delle/sulle donne parla un clero maschile. Come ha scritto J. L. Manson (National Catholic Reporter, 13/05/2019) «Il suo appassionato impegno per l'unità tra le Chiese e con le persone di altre fedi sembra fermarsi quando si tratta delle donne della sua stessa Chiesa che chiedono semplicemente modi più inclusivi per servire». Chissà come mai?    

Responsabile dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, Paola Cavallari è socia del Coordinamento Teologhe Italiane e redattrice di Esodo.  

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