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Piccole brecce nella misoginia della Chiesa cattolica

Piccole brecce nella misoginia della Chiesa cattolica

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 30/08/2019

Il 21 giugno 2019, papa Francesco, nel discorso tenuto al convegno “La teologia dopo Veritatis gaudium nel contesto del Mediterraneo”, organizzato dalla Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale sezione san Luigi di Napoli, a cui egli stesso ha preso parte, rivolgendosi agli studenti e ai docenti di teologia ha affermato: «il contributo che le donne stanno dando e possono dare alla teologia è indispensabile e la loro partecipazione va quindi sostenuta, come fate in questa Facoltà, dove c’è buona partecipazione di donne come docenti e come studenti». Le parole del papa rappresentano un riconoscimento e un incoraggiamento per quelle realtà dove si cerca, pur non senza difficoltà, di camminare sulla via che conduce a una piena parità di partecipazione di donne e uomini ma tali parole sono anche frutto della constatazione che il cammino non è affatto compiuto e c’è ancora bisogno di sostenere i percorsi femminili e che la questione, nonostante l‘opinione di quanti sostengono che sia ormai una faccenda del passato, risulta ancora sostanzialmente aperta. Vi è una certa tendenza ad assumere come parametri di avanzamento il numero di docenti donne e di studentesse di teologia o la consistenza della produzione scientifica delle teologhe. In realtà questi aspetti non sono sufficienti per formulare una valutazione circa lo stato attuale. Innanzitutto la presenza resta ancora minoritaria: religiosi – che generalmente sono anche chierici – e laici risultano in numero decisamente superiore rispetto alla laiche e alle religiose. Queste ultime, poi, restano ancora molto poche. Quanto alla docenza, il dato statistico non mostra cambiamenti considerevoli da quanto emerso nelle indagini, condotte per l’Italia, nel volume curato da me e da Sergio Tanzarella, nel 2010, Teologhe in Italia. Indagine su una tenace minoranza (Trapani, Il pozzo di Giacobbe) e da Carmelina Chiara Canta nel 2014, Le pietre scartate. Indagine sulle teologhe in Italia (Angeli, Milano 2014). Il dato complessivo, inoltre, non risulta sufficiente anche perché non dice quante donne docenti in una facoltà teologica insegnano discipline teologiche e quante, invece, discipline ritenute “complementari” alla teologia. Va considerato, inoltre, anche il grado accademico e dunque il numero delle docenti stabili e, tra queste, di quelle che raggiungono l’ordinariato. Vi sono poi gli incarichi ulteriori: quante ricoprono ruoli di particolare responsabilità a capo di dipartimenti, settori, istituti di ricerca o sono presidi o rettori? Inoltre, altro aspetto da tenere in conto, è la distribuzione non omogenea: c’è una differenza sensibile tra le diverse istituzioni e va aggiunto, per quanto riguarda la geografia nazionale, che non è il Sud dell’Italia a collocarsi più indietro. Altro fattore su cui riflettere è la relazione tra il peso della produzione scientifica di una studiosa e lo spazio accademico che le viene concesso e qui i casi di discrepanza, anche macroscopica, non mancano. Insomma, perché risulti del tutto indifferente il sesso di un accademico – e, aggiungo, la sua condizione di chierico o laico – la strada da percorrere resta ancora abbastanza lunga. 

Per comprendere la situazione attuale, però, non sono sufficienti le riflessioni fin qui esplicitate; non si può considerare separatamente il posto delle donne in teologia se non si guarda contemporaneamente alla collocazione delle donne nella Chiesa e nella società e se non si analizza, cosa particolarmente decisiva in questo momento storico, non solo la realtà effettiva quanto piuttosto la realtà come viene percepita e, a questo riguardo, si registrano non pochi scollamenti. Se si parte dalla base e dalle nuove generazioni, si osserva un consistente vuoto di memoria storica o meglio di ignoranza del passato che induce a valutazioni distorte nel presente. Ciò significa che, dando per scontate acquisizioni che sono il frutto di dolorose conquiste, si finisce per non dare ad esse il loro peso reale, oppure accade che vulgate distorte o narrazioni lacunose mettano in ombra questo stesso passato proponendo immagini falsate, che circondano talvolta di sospetto perfino lo stesso vocabolario dell’emancipazione, come accade perfino con la parola “femminismo” che giunge, addirittura, ad essere considerata l’equivalente semantico di “maschilismo”! Conoscere la storia dei movimenti femminili nella Chiesa e nel mondo appare, dunque, una delle leve più sicure per il progresso dell’emancipazione, anche di quella teologica. Sarebbe quanto mai opportuno riconoscere che gli stereotipi sul femminile orientano ancora tante scelte concrete e che questo avviene spesso in barba a tutte le belle convinzioni che vengono proclamate. Inoltre, bisogna prendere atto che invocare l’involontarietà di questi fenomeni non esime dal contrastarli. Le misoginie implicite non sono poi così meno pesanti di quelle esplicite. Fare memoria di ciò che hanno sofferto le donne viene spesso ancora equivocato con una forma di passatismo o di vittimismo; accade che le donne spesso si sentano indotte a giustificare le loro posizioni o le loro richieste, che debbano “assicurare” che non si tratta di “rivendicazioni”, debbono ribadire che il loro è spirito di servizio, fornire assicurazioni che non sono animate da desiderio di potere o carrierismo e che non nutrono sentimenti di antagonismo. In una conversazione informale con alcuni studenti, mi è capitato una volta di fare riferimento ad una geniale interpretazione teologica del purgatorio che dobbiamo ad una donna vissuta tra XV e XVI secolo, Caterina da Genova. La prima domanda che mi è stata rivolta riguardava l’eventuale eresia di Caterina. Al ché ho aggiunto: santa Caterina da Genova. Una riflessione teologica che si propone come contestuale non può essere schiacciata su forme di presentismo, tuttavia deve saper guardare all’oggi e riconoscere che nella società così come nella Chiesa aumentano i segnali preoccupanti di una crescente ostilità esplicita nei confronti delle donne e l’onda lunga di questi fenomeni potrebbe abbattersi sui fragili percorsi finora compiuti. È compito poi di una teologia che riflette sul mondo in cui è immersa, e che a questo mondo offre un servizio costruttivo, non solo non ignorare questi allarmi ma offrire il suo contributo di contrasto nei confronti di queste manifestazioni.  

Lo spazio teologico femminile, infine, va inquadrato nell’insieme degli spazi che papa Francesco sta aprendo alle donne. È del 24 maggio scorso la nomina di quattro donne come consultori della Segreteria del Sinodo dei vescovi. L’8 luglio poi il papa ha nominato sette superiore di congregazioni femminili quali membri del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: fino a questo momento solo superiori di istituti maschili vi facevano parte, pur essendo ben numerosi gli istituti femminili. Si tratta di spazi che nulla hanno a che vedere con forme di ministero ordinato, ma proprio il fatto che papa Francesco stia procedendo con queste nomine femminili dimostra quanto assenti le donne ancora siano lì dove si organizza e si pensa la vita della Chiesa. Questi inserimenti richiamano alla mente il Concilio Vaticano II, quando durante la terza sessione dell’ultima fase conciliare 23 donne furono ammesse come auditrices. Semplici uditrici, la cui presenza avrebbe dovuto essere quasi soltanto simbolica e che invece fornirono contributi importanti al lavoro delle commissioni. Da questo primo passo ne scaturirono altri. Una di queste donne, Rosemary Goldie, fu la prima ad essere chiamata ad insegnare in una facoldunque, una delle leve più sicure per il progresso dell’emancipazione, anche di quella teologica. Sarebbe quanto mai opportuno riconoscere che gli stereotipi sul femminile orientano ancora tante scelte concrete e che questo avviene spesso in barba a tutte le belle convinzioni che vengono proclamate. Inoltre, bisogna prendere atto che invocare l’involontarietà di questi fenomeni non esime dal contrastarli. Le misoginie implicite non sono poi così meno pesanti di quelle esplicite. Fare memoria di ciò che hanno sofferto le donne viene spesso ancora equivocato con una forma di passatismo o di vittimismo; accade che le donne spesso si sentano indotte a giustificare le loro posizioni o le loro richieste, che debbano “assicurare” che non si tratta di “rivendicazioni”, debbono ribadire che il loro è spirito di servizio, fornire assicurazioni che non sono animate da desiderio di potere o carrierismo e che non nutrono sentimenti di antagonismo. In una conversazione informale con alcuni studenti, mi è capitato una volta di fare riferimento ad una geniale interpretazione teologica del purgatorio che dobbiamo ad una donna vissuta tra XV e XVI secolo, Caterina da Genova. La prima domanda che mi è stata rivolta riguardava l’eventuale eresia di Caterina. Al ché ho aggiunto: santa Caterina da Genova. Una riflessione teologica che si propone come contestuale non può essere schiacciata su forme di presentismo, tuttavia deve saper guardare all’oggi e riconoscere che nella società così come nella Chiesa aumentano i segnali preoccupanti di una crescente ostilità esplicita nei confronti delle donne e l’onda lunga di questi fenomeni potrebbe abbattersi sui fragili percorsi finora compiuti. È compito poi di una teologia che riflette sul mondo in cui è immersa, e che a questo mondo offre un servizio costruttivo, non solo non ignorare questi allarmi ma offrire il suo contributo di contrasto nei confronti di queste manifestazioni.

Lo spazio teologico femminile, infine, va inquadrato nell’insieme degli spazi che papa Francesco sta aprendo alle donne. È del 24 maggio scorso la nomina di quattro donne come consultori della Segreteria del Sinodo dei vescovi. L’8 luglio poi il papa ha nominato sette superiore di congregazioni femminili quali membri del Dicastero per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica: fino a questo momento solo superiori di istituti maschili vi facevano parte, pur essendo ben numerosi gli istituti femminili. Si tratta di spazi che nulla hanno a che vedere con forme di ministero ordinato, ma proprio il fatto che papa Francesco stia procedendo con queste nomine femminili dimostra quanto assenti le donne ancora siano lì dove si organizza e si pensa la vita della Chiesa. Questi inserimenti richiamano alla mente il Concilio Vaticano II, quando durante la terza sessione dell’ultima fase conciliare 23 donne furono ammesse come auditrices. Semplici uditrici, la cui presenza avrebbe dovuto essere quasi soltanto simbolica e che invece fornirono contributi importanti al lavoro delle commissioni. Da questo primo passo ne scaturirono altri. Una di queste donne, Rosemary Goldie, fu la prima ad essere chiamata ad insegnare in una facoltà  di teologia, precisamente presso l’Istituto di teologia pastorale della Pontificia Università Lateranense. Alla scelta di Paolo VI di aprire la porta del Concilio alle donne fecero poi seguito le proclamazioni di Teresa d’Avila e Caterina da Siena quali dottori della Chiesa. Provando, in conclusione, a esplicitare il senso dei diversi aspetti presi in considerazione, credo si possa dire che la questione teologica, la questione ecclesiale e quella sociale e culturale, ma – in questo momento soprattutto – anche politica, non vadano scisse e solo nuove sinergie permetteranno di accedere ad una rinnovata stagione. Proprio il convegno di Napoli ha posto in evidenza la necessità di una nuova impostazione contestuale comune che sviluppi una riflessione sull’alterità ma anche relazioni concrete: che la questione interreligiosa, come quella delle migrazioni o quella della povertà, così come del femminile richiedono una teologia “implicata”, centrata non su stessa ma sul suo oggetto, che è poi un oggetto condiviso, su cui lavorano altri saperi e altri approcci. Anche il sapere teologico sulle donne richiede un esodo dalla autoreferenzialità e l’abbandono di una teologia della donna di impronta essenzialista. 

Saggista,  Anna Carfora è docente di Storia della Chiesa presso la Pontificia Facoltà Teologica dell’Italia Meridionale.  

* Francesco Maria Schiaffino: particolare del Mausoleo di Santa Caterina a Genova (blocco scultoreo 1738-1739), foto [ritagliata] di Sailko, tratta da wikimedia commons, licenza Creative Commons 

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