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Islam: la donna “ritrovata”

Islam: la donna “ritrovata”

Tratto da: Adista Documenti n° 30 del 30/08/2019

Sta aumentando il numero delle giovani donne musulmane cresciute in questo nostro Paese che, a differenza delle loro madri, sono italiane a tutti gli effetti, parlano con gli accenti delle regioni in cui vivono e hanno quindi la possibilità di comunicare ed essere attive nella società. Molte sono credenti e praticanti, portano il velo e sono attive nel volontariato, nell’associazionismo, hanno titoli di studio universitari e svolgono diverse professioni. E rivendicano tutte il diritto di non essere discriminate per il loro essere musulmane. Alcune dichiarano di non aver mai subito alcun tipo di discriminazione, altre invece hanno storie di vera e propria islamofobia da raccontare.

Già la “prima generazione” di donne musulmane residenti in Italia aveva fondato quindici anni fa l’Associazione donne musulmane d’Italia (ADMI), che nel tempo ha organizzato incontri pubblici e dibattiti su questioni che riguardano i loro diritti, la loro integrazione e interazione con la società italiana. L’ADMI è tra i fondatori dello European Forum Of Muslim Woman, nato a Bruxelles nel 2006 per fare rete tra le associazioni di donne musulmane europee e promuovere i loro diritti.

Sul sito www.efomw.eu ci si può rendere conto dell’attivismo e dell’impegno di tante donne musulmane europee a tutti gli effetti, come le bosniache e le albanesi, o di adozione, come quelle di origine ad esempio nordafricana o mediorientale, che vivono da molto tempo in Europa e che vogliono dare un contributo per migliorare la condizione della donna, non solo musulmana, dato che, ad esempio, il fenomeno della violenza contro le donne non ha nazione né religione. L’EFOMW ha partecipato e partecipa a diverse campagne di sensibilizzazione riguardanti la violenza contro le donne, i diritti delle donne, l’islamofobia, la cittadinanza, il dialogo interculturale e interreligioso, la famiglia. Ha inoltre promosso una ricerca della docente universitaria Maryam Atiya, sfociata nel volume Faux hadiths au sujet de la femme (“Falsi hadiths sulla donna”, Lyon, Tawhid, 2013). Gli hadiths (detti del profeta Muhammad) sono, dopo il Corano, la seconda fonte dei principi dell’islam; nel corso della storia, a causa di circostanze politiche, sociali o culturali, sono diffusi detti attribuiti al Profeta che in realtà il Profeta non ha mai pronunciato, con lo scopo di sancire uno statuto della donna inferiore a quello dell’uomo. Maryam Atyia ha fatto un lavoro critico sulla natura dei testi attribuiti al Profeta per mettere in evidenza il carattere di incompatibilità con il Corano e con il resto della Sunna (la vastissima letteratura che riporta le parole del Profeta ed episodi di cui è stato protagonista) dei detti messi in circolazione con lo scopo di emarginare la donna.

Nella mia Tesi di Laurea Magistrale, ho ampliato la ricerca della Atiya citando numerosi ahadith autentici sulle donne riportati nei due ahadit di al-Buhari e di Muslim, le due raccolte di detti del Profeta redatte in epoca classica, sulla cui autenticità è concorde tutta la tradizione sunnita. Uno strumento utile per la selezione degli hadiths autentici riguardo alle donne è l’opera dello studioso ’Abd Al-Halim Abu Šuqqa sulla liberazione della donna musulmana ai tempi della Rivelazione.

Se prendiamo in esame, a titolo esemplificativo, il detto «Non si chieda a un uomo perché ha picchiato sua moglie», tramandato per secoli in certi ambienti come se fosse un hadith, troviamo innanzitutto che diversi esperti di scienze del hadiths lo hanno definito mardud, ossia inaccettabile, da rigettare. Oltre che in contrasto con numerosissimi hadiths nei quali si raccomanda agli uomini di mettere in pratica gli ahlaq (buon carattere, comportamento nobile, virtù, etica, morale) nel rapportarsi con le donne in generale e con le mogli in particolare, questo falso detto è in contrasto con le raccomandazioni del Corano. Un notevole numero di versetti e di hadiths sostiene infatti la necessità di dominare la propria collera e, per gli uomini, di essere buoni con le donne. La relazione matrimoniale è descritta come ambito di serenità, amore e tenerezza; la visione coranica del matrimonio è basata sul rispetto reciproco, sull’affetto, sulla compassione e sul mutuo sostegno; una relazione fatta di una complicità così intima che nel Corano si parla di “vestirsi l’uno dell’altra” e viceversa, come se nella coppia l’altro fosse un alter ego o una seconda pelle. Riguardo all’attitudine verso le mogli il Corano dice anche: «Trattatele con gentilezza; se provate avversione nei loro confronti, può darsi che abbiate avversione per qualcosa in cui Dio ha posto un grande bene» (Q 4, 19).

Secondo l’esegeta Tabari, i primi musulmani esigevano la recitazione del seguente versetto in occasione della stipula del contratto di matrimonio, come una sorta di “protezione morale”: «[…] Tenetele presso di voi in modo conveniente, oppure in modo conveniente vi separerete da loro, e non le terrete con voi ingiustamente, chi agirà così farà torto a se stesso». (Q 2, 231). È attestato da tanti e tanti hadiths che il profeta Muhammad aveva un comportamento mite e tutt’altro che incline alla violenza, soprattutto verso le donne. Il profeta rivolgeva attenzione al diffuso problema della violenza contro le donne e educava i musulmani a un comportamento rispettoso verso le spose: «Aiša riferì che il Profeta disse: “I migliori di voi sono coloro che trattano meglio le loro mogli, e io sono il migliore di voi [nel rapportarmi] con loro”». Il tradizionista indiano al-Mubarakfuri (m. 2006) in proposito scrive: «Da questo hadith emerge che una delle migliori azioni che avvicinano a Dio è il buon comportamento nei confronti delle mogli e dei figli; e secondo alcuni anche dei parenti; queste buone azioni verso di loro sono la prova del nobile carattere, e il Profeta aveva il miglior comportamento verso di loro perché il suo carattere era il più nobile». 

Nei due Sahih troviamo svariati hadiths nei quali emerge che l’atteggiamento del Profeta verso le sue mogli era premuroso, raffinato ed affettuoso. Muhammad non disdegnava i lavori di casa, così come non esitò a preparare per sua moglie Safiyya una sella confortevole per poi aiutarla a salire sul suo cammello, con fare particolarmente gentile; il Profeta fu più volte invitato a consumare un pasto da un suo vicino di casa e non accettò l’invito finché non fu invitata anche sua moglie. Significativi anche i numerosi hadiths nei quali Aiša descrive il rapporto affettuoso che il Profeta aveva con lei. In diverse occasioni si era preoccupato di farla divertire e molte erano le occasioni e le modalità con cui le manifestava amore e tenerezza. Un giorno chiesero a Muhammad chi fosse la persona che amava di più, ed egli non esitò a rispondere che era Aiša. Quando fu sul punto di morire, il Profeta chiese di essere lasciato solo con lei, spirò tra le sue braccia.

Il falso detto «Non si chieda a un uomo perché ha picchiato sua moglie» è quindi in piena contraddizione con numerosi hadiths autentici. Muhammad volle attirare l’attenzione sul fatto che la forza del credente non è data dalla sua forza fisica, ma dalla sua capacità di autocontrollo nei momenti di rabbia, che di fatto possono capitare anche nella vita di coppia. Riguardo ai diritti della donna nei confronti di suo marito Ibn Ai ad-Dunya scrive nella sua raccolta di hadiths intitolata Al-iyal (I parenti): «La donna ha diritto che suo marito sia per lei una buona compagnia, che provveda per lei affinché abbia un abbigliamento decoroso e del buon cibo». E certo picchiare la propria moglie non rientra nei comportamenti di qualcuno che possa essere definito “una buona compagnia”, come si evince anche dal detto riportato da Ibn Abi ad- Dunya: «I migliori di voi non picchiano le loro mogli, e il Profeta era il migliore quindi non le picchiava». Noto è il hadith riportato in entrambi i sahih nel quale Muhammad si chiede: «Come può uno di voi colpire sua moglie, come se fosse una bestia, e poi copulare con lei alla fine della notte?». In un altro hadith Aiša afferma: «Il Messaggero di Dio non ha mai colpito un suo servo, né ha mai colpito una donna; non ha mai colpito con la sua mano nemmeno un oggetto,, a meno che non fosse in guerra. E non si è mai vendicato dei torti che ha subito».

Riguardo al comportamento affabile e premuroso che Muhammad aveva anche verso le bambine, Abu Qatada al-Ansan riferì: «L’Inviato di Dio pregava tenendo in braccio Um?ma, la figlia di sua figlia Zaynab e di Abu al-As ibn Rabi a a ibn ‘Abd Šams. Quando si prosternava la posava e quando si rialzava la riprendeva in braccio». Commentando questo hadiths Ibn Hagar al-‘Asqalani scrive: «Il grande studioso al-Fahani aveva ragione quando disse: “è probabile che questo atteggiamento del Profeta volesse esprimere il suo rifiuto nei confronti delle consuetudini degli Arabi che detestavano le bambine e evitavano quindi di prenderle in braccio. Egli fece il contrario, e lo fece perfino durante la preghiera, per sottolineare che rigettava questo loro atteggiamento”».

Da alcuni hadiths emerge che la benevolenza del Profeta non era rivolta solo alle donne della sua famiglia, ma alle donne in generale, mentre altri valorizzano le azioni di chi si comporta in modo positivo e benevolo verso le donne. È quindi evidente che Muhammad non può aver detto parole quali «Non si chieda a un uomo perché ha picchiato sua moglie». Non può che trattarsi di uno dei detti a lui falsamente attribuiti.  

Docente di Lingua, Cultura e Civiltà araba, Nibras Breigheche è cofondatrice dell’Associazione Islamica Italiana degli Imam e delle Guide Religiose.  

Hijab, disegno di momozagalo del 2010 tratto da pixabay, immagine originale e licenza

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