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Contro il silenzio e per la parità nella Chiesa: religiose di tutto il mondo si incontrano a Roma

Contro il silenzio e per la parità nella Chiesa: religiose di tutto il mondo si incontrano a Roma

Tratto da: Adista Notizie n° 35 del 12/10/2019

39978 ROMA-ADISTA. Che almeno una donna, fra le partecipanti al Sinodo, possa votare, anche una sola, come segnale di un cambiamento prossimo venturo che veda una maggiore parità nella Chiesa: è quanto chiede Voices of Faith, organismo nato per far sentire la voce delle donne nella Chiesa e per promuoverne la leadership, in una giornata di convegno svoltasi a Roma, il 3 ottobre, alla biblioteca Vallicelliana, con la partecipazione di figure femminili di rilievo del mondo cattolico, arrivate da tutto il mondo per testimoniare la propria esperienza di esclusione e il proprio impegno per il cambiamento. Già nel marzo 2017 Voices of Faith aveva organizzato una convention che ebbe ampia eco ancora prima che avesse luogo. La Santa Sede, infatti, ne aveva proibito lo svolgimento all’interno delle mura vaticane, vista la presenza di persone “indesiderate”, quali l’ex presidentessa irlandese Mary McAleese, attivista dei diritti Lgbt (v. Adista Notizie n. 10/18).

Nella convention del 3 ottobre, intitolata significativamente “And you sister… What do you say?” (E tu sorella, cosa dici?), religiose di ogni provenienza hanno raccontato le loro speranze e i loro sogni per il futuro della Chiesa. Sono state spesso proprio le religiose, infatti, alle frontiere del cambiamento, a incarnare il ruolo di profete e pioniere, ma seppure a livello globale il loro numero sia quasi dieci volte tanto quello dei religiosi, la loro leadership non è riconosciuta. Eppure, ha ricordato in apertura la direttrice generale di Voices of Faith, Zuzanna Flisowski, che si è vista rifiutare diversi inviti di partecipazione al convegno, le lotte per l’uguaglianza nella Chiesa vengono guardate con sospetto e spesso liquidate come forme di un femminismo che sarebbe incompatibile con la vocazione religiosa. Eppure, è insito nella vocazione religiosa il bisogno e lo slancio a portare il Vangelo come nella prima Pentecoste, e a cambiare il mondo per lasciare qualcosa di meglio alle generazioni successive, ha raccontato la statunitense suor Simone Campbell, avvocatessa e direttrice di Network – organismo impegnato nel servizio sociale – nonché promotrice dell’iniziativa “Nuns on the Bus”, un tour che porta le religiose in una promozione itinerante dell’impegno per gli ultimi e per l’uguaglianza. «La Chiesa soffre – ha affermato – per l’incapacità della gerarchia di vedere i doni dello Spirito che spingono al cambiamento. Nonostante lo scandalo degli abusi, la carenza di sacerdoti, il generale annaspare nella situazione di oggi, i vertici sembrano non voler accettare il bisogno di un cambiamento. Noi religiose dobbiamo farlo, spronando e stuzzicando la classe dirigente. Per questo, dobbiamo alzare la voce per una maggiore inclusività e chiedere almeno un voto al Sinodo, che simbolicamente rappresenterebbe un primo passo». Campbell ha sottolineato l’importanza dell’apporto dell’intelligenza femminile, caratterizzata da «empatia, inclusività, interconnessione, rigenerazione» per dare «una ventata d’aria fresca» al Sinodo e ha ricordato la figura di Dorothy Stang, religiosa statunitense impegnata per gli ultimi e per l’ambiente in Brasile e assassinata nel 2005. «The time is now», ha ripetuto più volte Campbell, il momento di agire è questo, e l’obbedienza cui le religiose vengono sollecitate non è silenzio, ma ascolto profondo e azione, autentica fedeltà allo Spirito.

Sulla necessità per le religiose di predicare l’omelia è intervenuta la domenicana suor Madeleine Fredell, teologa e segretaria generale della Commissione svedese Giustizia e pace. Fino a dove può spingersi, per le donne, la parresia cui papa Francesco ha esortato? Se in passato accadeva che le religiose pronunciassero l’omelia, dalla metà degli anni ‘90, ha detto, il legalismo, il centralismo e il clericalismo del pontificato wojtyiliano lo hanno impedito. «Non accetto più questo trattamento – ha esclamato con forza Fredell – e se è vero che papa Francesco non ha paura del dialogo e che in qualche modo ci è stato restituito il microfono, è necessario che le donne possano predicare per impedire una lettura e un’interpretazione esclusivamente maschili della Scrittura». Anche il linguaggio deve diventare più inclusivo, perché i frutti dei tentativi fatti finora in questa direzione non vengono quasi mai applicati nelle parrocchie. «Nella Chiesa abbiamo assistito a ogni genere di abuso – ha proseguito – compreso quello del silenziamento della voce delle donne. Abbiamo dato la vita per il Vangelo, ma come donne siamo messe a tacere e non possiamo agire come rappresentanti di Cristo, e tutto questo senza un valido argomento». Eppure, come donne hanno messo in atto la loro creatività, aderendo al modello della Maria del Magnificat, creativa e coraggiosa, e non al modello di passività passato nella storia. «Francesco, se vuoi essere creativo e coraggioso apri il pulpito alle donne!», ha incoraggiato Fredell, spiegando che ciò che si chiede «non è il potere, che corrompe sempre, ma di essere riconosciute e rispettate nell’autore- volezza specifica femminile in quanto rappresentanti di Cristo alla pari». Solo se è credibile, la Chiesa potrà affrontare le tante sfide a livello globale. E la credibilità passa per la parità tra uomini e donne.

Sull’importanza della formazione si è poi soffermata, testimoniando la propria esperienza, la senegalese suor Marie Béatrice Faye, che ha sottolineato, in una intervista con la giornalista della CBS Magalie Laguerre-Wilkinson (che ha presentato e condotto l’evento), come sia vero quanto sulle donne fu affermato all’unanimità dai vescovi riuniti nel Sinodo per l’Africa nel 1994, e cioè che esse, tanto consacrate quanto laiche, rappresentano realmente la colonna vertebrale della Chiesa africana. Di qui la necessità di una formazione che porti alla loro liberazione. Il clericalismo, ha detto, è legato essenzialmente al potere e dunque i vescovi devono«scendere dal loro piedistallo e ricordare che il ministero è per il servizio».

Un focus sulla situazione della Chiesa svizzera è stato rappresentato poi dall’intervento del vescovo di Basilea, mons. Felix Gmür, presidente della Conferenza episcopale, in dialogo con la priora del convento benedettino di Fahr, suor Irene Gassmann, promotrice della “Preghiera del giovedì” (una iniziativa per l’uguaglianza di genere lanciata lo scorso febbraio), con cui ha invitato tutte le comunità benedettine del mondo, ma anche parrocchie e altre comunità, a includere nella Compieta la “preghiera del giovedì”. E questo perché, «in virtù del nostro Battesimo, donne e uomini siano membri alla pari della Chiesa» (v. Adista Notizia n. 12/19). Se Gmür non ha negato la necessità di una maggiore presenza delle donne nella leadership ecclesiale, egli ha tuttavia sfumato la questione affermando di voler «favorire chi è più adatto al servizio, a prescindere dal fatto che sia uomo o donna» e puntualizzando che il motivo per cui le donne non hanno facoltà di predicare l’omelia non è legato al genere ma al fatto che non sono ordinate. Gassmann, da parte sua, ringraziando il vescovo per la sua presenza «non scontata e incoraggiante», ha espresso la profonda delusione in una Chiesa che continua a escludere le donne e il disappunto per il fatto di non essere stata ricevuta in Vaticano, insieme alle sue consorelle, al termine del lungo pellegrinaggio a piedi a staffetta che le ha condotte dal cantone di Sankt Gallen a Roma. Si è detta molto scioccata dal documentario francese diffuso a marzo sugli abusi sulle religiose da parte del clero (v. Adista Notizie nn. 10/19) e di essere convinta che sia necessario un impegno per correggere il forte sbilanciamento che deriva dalla dipendenza delle religiose dai preti per quanto riguarda i sacramenti. C’è bisogno, ha detto, di una pastorale dei sacramenti: «Il mio sogno – ha detto Gassmann – è quello di una Chiesa in cui vivere rafforzati da sacramenti amministrati da uomini e donne. La regola benedettina prevede che si possa individuare una persona all’interno della comunità che, con il permesso del vescovo, possa amministrarli; ciò sarebbe importante soprattutto nelle comunità dove ci sono religiose anziane o malate.

Gmür ha poi concluso con un appello all’unità nella Chiesa (forse lasciando trapelare una implicita preoccupazione per la “fuga in avanti” della Chiesa tedesca con il suo Cammino sinodale), sottolineando come non si possa trovare una soluzione univoca adattabile a tutte le situazioni, data la grande varietà di realtà, e che è importante discutere a livello teologico senza mai lasciare da parte le Chiese sorelle.

Suor Teresa Forcades, medico, teologa e attivista, monaca del monastero di San Benedetto di Montserrat, in Catalogna, ha preso le mosse dalla figura della mistica medievale tedesca Gertrude di Helfta, dichiarata santa dalla stessa Chiesa che però non le riconobbe mai ufficialmente il dono della parola e del perdono benché nell’iconografia sia rappresentata con il pastorale; «Bisogna conservare – ha detto – questa memoria nascosta della Chiesa, per cui oltre alle parole e alle azioni si ricordi l’azione sociale». «La struttura del DNA – ha ricordato – è stata scoperta realmente da una donna, ma la scienza l’ha dimenticato; allo stesso modo, dobbiamo abbattere le strutture patriarcali della Chiesa che non si pongono in ascolto dello Spirito». «Le donne devono avere accesso a ciò che era stato loro negato», superando così la «discriminazione del sapere». «Mi sento lontana dalla Chiesa di Roma – ha concluso Forcades – che è ancora così anacronistica, così lontana dall’oggi. Il voto alle donne è necessario perché la Chiesa sia coerente con l’azione dello Spirito».

Alla convention di Voices of Faith hanno preso parte anche suor Shalini Mulackal, prima presidente donna dell’Associazione Teologica indiana, che ha sottolineato come in India le donne consacrate siano ancora sottoposte alla pressione della dipendenza dal clero maschile, che utilizza spesso i sacramenti come ricatto; suor Maria Johanna Lauterbach filosofa e insegnante a La Paz, in Bolivia, ecofemminista, che ha messo l’accento sul fatto che le donne sono considerate «doppiamente immature » rispetto agli uomini per quanto riguarda i tempi di formazione, molto più lunghi; la tedesca Doris Wagner, ex religiosa, vittima di abusi, che ha esortato a smettere di «reggere il gioco, di ascoltare, ubbidire e pregare» e a prendere la parola tout court, nella speranza di arrivare un giorno a una nuova visione della Chiesa; la benedettina filippina suor Mary John Mananzan, fondatrice e direttrice esecutiva dell’Istituto di Studi per la donna a Manila, in dialogo con suor Campbell; la teologa australiana suor Chris Burke, che ha esortato a trovare «nuove strategie per contrastare il patriarcalismo », anche attraverso un nuovo linguaggio, una nuova immagine di Dio e l’avvicinamento ad altre fedi.  

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