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PRIMO PIANO. Cambiare l'economia

PRIMO PIANO. Cambiare l'economia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 36 del 19/10/2019

«È tutto sbagliato. Io non dovrei essere qui. Dovrei essere a scuola dall’altra parte dell’Oceano. Eppure venite tutti da me per avere speranza? Come osate! Avete rubato i sogni e la mia infanzia con le vostre parole vuote... Siamo all’inizio di un’estinzione di massa. E voi non siete capaci di parlare d’altro che di soldi e di favoleggiare un’eterna crescita economica»: con queste parole la studentessa svedese Greta Thunberg ha il 23 settembre scorso aperto il suo intervento al vertice sul clima delle Nazioni Unite al quale ha fatto seguito lo sciopero mondiale del 27 settembre. Una grandiosa e civile protesta contro la colpevole inerzia della politica con la richiesta di urgenti e concrete misure per fermare l’inquinamento ambientale che minaccia il futuro dell’umanità. (continua a pag.

Due sorprendenti eventi col protagonismo di un movimento che si è dimostrato in grado di sensibilizzare l’opinione pubblica mondiale su un problema di cruciale rilievo che può dare forza a quanti (singoli o associati) vogliono davvero un’inversione di rotta delle politiche che stanno favorendo il mutamento climatico.

Un movimento esposto al rischio di essere snaturato da interessi e da poteri che puntano a fermare qualunque impegno di effettivo cambiamento. Uno svuotamento da realizzare non con un’esplicita e motivata contrapposizione (sempre legittima e proficua nei dibattiti democratici), ma attraverso falsi e strumentali consensi finalizzati a rinviare, paralizzare, annacquare le riforme e dividere gli innovatori fra i “ragionevoli” da assorbire e i “massimalisti” da demonizzare per mettere fuori gioco ogni tentativo di effettiva innovazione. Un’operazione demolitrice che potrebbe essere favorita da silenzi o ambiguità sul presupposto fondamentale di ogni seria lotta contro l’inquinamento ambientale: la convinzione che tale obiettivo non potrà essere conseguito senza un contestuale impegno rivolto a sostituire, sia pure gradualmente, il sistema economico dominante con un progetto di economia caratterizzato da politiche sociali ispirate ai principi di giustizia e di uguaglianza. Ne consegue che le generiche parole di Greta nel suo discorso all’ONU, «non siete capaci di parlare d’altro che di soldi e di favoleggiare un’eterna crescita economica», andrebbero meglio precisate ed esplicitate.

L’esigenza di considerare interdipendenti le politiche ambientali e quelle economico-sociali è invero al centro del pensiero di autorevo- li economisti fra i quali Thomas Piketty (l’economista francese autore nel 2013 del libro Il capitale del XXI secolo di grande successo editoriale) che, nel presentare il suo nuovo lavoro Capitale e ideologia, così si esprime: «Il progresso umano esiste ma è fragile e può a ogni momento venir meno… il mondo sta entrando in un nuovo torpore, quello del riscaldamento climatico e di una tendenza generale al ripiegamento identitario e xenofobo, in un contesto di ripresa delle disuguaglianze». Illuminante poi appare a riguardo il messaggio di papa Francesco che, dopo aver sostenuto nell’esortazione apostolica Evangelii gaudium del 2013 che dobbiamo dire “no” a un’economia dell’iniquità e dell’esclusione, afferma nell’enciclica Laudato si’ del 2015 che non ci sono due crisi separate, una ambientale e una sociale, bensì una sola e complessa crisi socio-ambientale. E aggiunge che la crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe i valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia.

Ma c’è di più e cioè che il report recentemente commissionato a un gruppo di scienziati selezionati dalla Segreteria Generale delle Nazioni Unite afferma che il capitalismo, per come lo conosciamo, è finito. E dice anche che siamo in una fase di transizione radicale dal punto di vista economico dovuta al continuo sfruttamento delle risorse ambientali del pianeta. Precisa poi che le società stanno affrontando sempre di più ineguaglianze, disoccupazione, rallentamento della crescita economica e crescita del debito e rileva peraltro che «ci troviamo in una forma di capitalismo che si focalizza sui profitti a breve termine e non ha alcun interesse per il bene comune». La conclusione del report sembra essere quella che siamo di fronte ad un declino di ciò che ha reso possibile il capitalismo a crescita infinita con imprevedibili esiti. Aveva quindi qualche ragione l’economista francese Serge Latouche quando, esponendosi a censure e sberleffi, affermava che la “decrescita” non è la recessione e neppure un’irrazionale lotta alla crescita selettiva, ma è invece un progetto politico ed economico di demercificazione della società con l’obiettivo che alcuni beni possano essere prodotti e scambiati al di fuori del mercato nel quale dovrebbero rimanere merci prodotte con meno sprechi e meno eccessi. Un futuro quindi nebbioso ma solo per chi non riesce a concepire sistemi diversi da quello del capitalismo neoliberista. Per fortuna le alternative invece ci sono e possono essere costruite alla luce dei principi della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo e dei più avanzati Statuti europei a partire dalla nostra Costituzione. Il programma dell’attuale governo Conte, nel paragrafo dedicato all’ambiente, parla di un radicale cambiamento di paradigma che porti a inserire la protezione dell’ambiente e della biodiversità nei principi costituzionali. E precisa che «tutti i piani di investimento pubblico dovranno avere al centro la protezione dell’ambiente, il ricorso alle fonti rinnovabili e la tutela della biodiversità e dei mari nonché il contrasto ai cambiamenti climatici». C’è poi un riferimento all’incentivazione delle imprese socialmente responsabili e delle iniziative imprenditoriali ecologiche per indirizzare l’intero sistema produttivo verso un’economia circolare. Sono infine previsti interventi per la messa in sicurezza del territorio. Si tratta di impegni positivi che dovrebbero sfociare in provvedimenti urgenti e concreti e che andrebbero inquadrati in un progetto economico ispirato a quei principi costituzionali così frequentemente richiamati dal premier. 

Michele Di Schiena è presidente onorario aggiunto della corte di Cassazione  

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