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Lampedusa, 2013-2019: il 3 ottobre e la tragedia infinita dei migranti. Interviste

Lampedusa, 2013-2019: il 3 ottobre e la tragedia infinita dei migranti. Interviste

Tratto da: Adista Notizie n° 36 del 19/10/2019

39995 LAMPEDUSA (AG)-ADISTA. «Ogni anno torniamo a Lampedusa, perché i nostri cari sono morti qui. Ma non vogliamo contare ancora altri morti nel Mediterraneo». Adal è un sopravvissuto. Ma nel mare di Lampedusa ha perso il fratello, eritreo come gran parte dei 368 uomini, donne e bambini annegati nel naufragio del 3 ottobre 2013. Pronuncia queste parole alla Porta d’Europa, opera dello scultore Mimmo Paladino per tutti i migranti morti nel Mediterraneo, davanti ad un migliaio di studenti e cittadini lampedusani, al termine della marcia della sesta Giornata della memoria e dell’accoglienza, promossa dal “Comitato 3 ottobre”. Insieme a lui, altri superstiti di quella notte (si salvarono in 155) e alcuni genitori, fratelli e sorelle di chi invece non c’è più. Vengono a Lampedusa per ricordare i loro parenti, ma anche per parlare con gli studenti e sognare, tutti insieme, un Mediterraneo aperto e un’Europa senza muri.

Di notte, alle 3.30, ora del naufragio, era stato inaugurato il memoriale «Nuova speranza», con i nomi di tutte le vittime del 3 ottobre. E l’indomani mattina la marcia per le vie dell’isola, dietro allo striscione «Siamo sulla stessa barca» portato dai sopravvissuti del 3 ottobre fino alla Porta d’Europa, dove il sottosegretario all’Istruzione Peppe De Cristofaro, inviato da viale Trastevere a Lampedusa vista la numerosa presenza degli studenti, afferma: «Dobbiamo poter dire presto mai più».

Un “mai più” che però dura solo poche ore: nella notte fra il 6 e il 7 ottobre un nuovo naufragio: una ventina di superstiti, ma 13 donne morte, i cui corpi sono stati recuperati, e un numero imprecisato di dispersi, fra i quali molti bambini. «A voi e ai vostri cari, che riposano in fondo al mare, noi chiediamo scusa. Se ci siamo vantati di essere nazioni cristiane, giuste, democratiche e libere e poi permettiamo che accada questo. Chiediamo perdono a voi, come lo chiediamo a Dio», ha detto don Carmelo La Magra, parroco di Lampedusa, nell’omelia del funerale, rivolgendosi ai sopravvissuti presenti. Nei giorni a ridosso del 3 ottobre, Adista ha intervistato don La Magra e Marta Bernardini, operatrice di Mediterranean Hope, il programma per rifugiati e richiedenti asilo della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei) e della Tavola Valdese, che proprio da Lampedusa è cominciato, nel 2014.  

                                 CAMBIARE IL RAPPORTO CON LA LIBIA

Don Carmelo La Magra, come è la situazione a Lampedusa?

La situazione è come è sempre stata. Non è cambiato molto, anche se cambia l’immagine a seconda di chi la racconta. Ci sono arrivi costanti di migranti, ma non tali da mettere a disagio l’isola. Da parte di qualcuno si sente dire: i lampedusani vivono barricati in casa per timore dei migranti. Non è affatto vero!

Come giudica tutta la battaglia che si è scatenata attorno alla presenza delle navi delle ong?

Si è fatto molto clamore bloccando le navi delle ong. Nel frattempo, però, i migranti continuavano ad approdare sull’isola in maniera continuativa e molto tranquilla. Del resto l’ostilità nei confronti delle ong non è una cosa nuova: continuano ad essere le uniche testimoni di quello che accade in re e dei crimini commessi dalla guardia costiera libica, con cui il nostro Paese ormai da diversi anni ha stipulato degli accordi per fermare i migranti.

Con la parrocchia più volte vi siete mobilitati in difesa di migranti e delle ong, passando anche diverse notti sul sagrato della Chiesa…

È vero. Non ce la siamo sentita di tornare a dormire nelle nostre case e nel nostro letto mentre altre persone trascorrevano notti e notti sul ponte delle navi a poche centinaia di metri dalle nostre coste. Quello di dire “dormiamo in strada anche noi fino a quando i migranti non potranno sbarcare” è stato un piccolo gesto per esprimere loro la nostra solidarietà e per provare a condividere, sebbene solo per un frangente, la loro condizione.

In generale quali sono l’atteggiamento e le reazioni dei lampedusani nei confronti dei migranti?

Più o meno le stesse reazioni che si verificano altrove: alcuni si danno da fare, aiutano, accolgono; pochi protestano; la maggior parte non prende posizione. È la proverbiale “maggioranza silenziosa”.

Che relazioni avete con i migranti approdati a Lampedusa?

Loro stanno nell’hotspot ma ovviamente possono uscire. Uno dei punti di ritrovo è proprio la parrocchia: sul piazzale abbiamo installato una rete wi-fi in modo tale che possano connettersi e parlare con i familiari rimasti a casa. Dopodiché non c’è nulla di organizzato in maniera strutturale: ogni persona ha delle esigenze particolari e diverse, per cui cerchiamo di dare una mano a ciascuno come possiamo, a seconda dei loro bisogni.

È cambiato il clima dopo la caduta del governo Lega-5 Stelle e, soprattutto, l’allontanamento di Salvini dal governo e dal Viminale?

Apparentemente sembra finita la propaganda e l’incitamento alla paura. Però il nuovo governo “giallo-rosso” continua a mantenere rapporti con la Libia, che commette crimini contro i migranti. Mi auguro che cambi. Per quanto riguarda la situazione di Lampedusa, l’impressione è che prima, con Salvini al governo, si volesse mettere volutamente in difficoltà l’isola, rallentando i trasferimenti per far “esplodere” l’hotspot e drammatizzare la situazione. Con il nuovo governo mi sembra che la situazione sia migliorata e i trasferimenti ripresi con regolarità.

E la Chiesa e i cristiani?

Sulla questione migranti non ci possono essere dubbi: bisogna mettere in pratica il Vangelo, ovvero vedere la presenza di Dio nell’altro e aprire porte e porti. È molto facile sventolare il Vangelo come un vessillo, più difficile è metterlo in pratica. Ma, ripeto, su questo non possiamo avere dubbi. 

                  L’ECUMENISMO DEL QUOTIDIANO PER SALVARE VITE

Marta Bernardini, facciamo un bilancio del progetto dei corridoi umanitari, che fa parte delle attività di Mediterranean Hope.

Il progetto è partito nel 2015, i primi arrivi ci sono stati nel 2016 e ad oggi circa 1.700 persone, perlopiù profughi siriani ospitati nei campi del Libano, sono arrivati in Italia. Qui sono stati accolti, integrati ed hanno ottenuto l’asilo politico. L’obiettivo è di arrivare a 2.000 entro il 2020. Si tratta di un modello che funziona e che potrebbe essere adottato a livello europeo: alcuni Paesi lo hanno già fatto, come il Belgio, altri lo faranno, come la Germania.

È l’obiettivo della campagna “La giusta rotta”, che avete appena lanciato insieme anche alle ong Open Arms e Sea Watch?

Esattamente. Si tratta di una campagna che si pone tre obiettivi: il diritto al soccorso il mare, perché salvare vite umane non può essere reato, come invece afferma il Decreto sicurezza voluto dall’ex ministro dell’Interno Matteo Salvini; l’apertura di un corridoio umanitario europeo dalla Libia come alternativa sicura ai viaggi in mare sui barconi; e, appunto, la ricollocazione dei migranti in tutta Europa, per un’accoglienza degna di un’Europa solidale.

È cambiato il clima dopo la caduta del governo Lega-5Stelle e, soprattutto, l’allontanamento di Matteo Salvini dal governo e dal Viminale?

Premesso che non abbiamo governi amici o nemici, rilevo che qualche differenza c’è e si intravede l’apertura di qualche spiraglio di diverso segno. Ma è presto per trarre conclusioni.

Quella dei corridoi umanitari è un’esperienza di “ecumenismo dal basso”, visto che è portata avanti, insieme, dalla Federazione delle Chiese evangeliche in Italia (Fcei), dalla Tavola Valdese e dalla Comunità di Sant’Egidio

Preferirei chiamarlo ecumenismo del quotidiano. Perché quotidianamente si creano molti momenti di comunione e in questo modo si costruisce comunità.

Quanto è importante fare memoria del naufragio del 3 ottobre 2013?

È molto importante. Serve per commemorare i morti, per elaborare il lutto e per capire come andare avanti, proprio a partire da quello che è accaduto. È stato il senso della celebrazione ecumenica del 3 ottobre proprio qui a Lampedusa, nel santuario della Madonna di Porto Salvo, evangelici e cattolici insieme. Le abbiamo voluto dare come titolo la frase biblica “Sentinella, quando finisce la notte?”. Perché la notte, prima o poi, finisce, e torna l’alba.

* Mimmo Paladino, Porta di Lampedusa - Porta d'Europa (2008) - installazione in terracotta e ferro; foto [ritagliata] di Vito Manzari del 2014 tratta da flickr, immagine originale e licenza

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