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Bilancio di metà Sinodo. Le questioni nevralgiche vengono al pettine

Bilancio di metà Sinodo. Le questioni nevralgiche vengono al pettine

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 38 del 02/11/2019

Siamo ormai oltre la metà del Sinodo sulla regione Panamazzonica e, in attesa che i lavori si concludano e venga votato e reso noto il documento finale, si può provare a tracciare – per quanto è possibile dall’esterno – la traiettoria che la discussione sta seguendo, con la consapevolezza che la Chiesa sta vivendo una tappa di cruciale importanza, prima anche se probabilmente non unica nel suo genere, e straordinariamente radicata nel Concilio Vaticano II. La volontà chiaramente espressa da papa Francesco e da tutti i partecipanti è quella di veder crescere sempre più una Chiesa dal volto Amazzonico e questo concretamente significa perdere tutti gli attributi di conquista ed entrare profondamente in sintonia con le «le gioie, le speranze, le tristezze e le angosce » dei popoli di quella immensa regione transnazionale. Per questo sta crescendo la consapevolezza che la tensione ecologica – che ha generato e che pervade questo Sinodo – deve diventare costitutiva per la vita della Chiesa tutta, tradursi cioè in una riflessione sul senso teologico dell’impegno ecologico, quella che si potrebbe chiamare una ecoteologia. E l’Amazzonia in questo senso rappresenta il luogo concreto nel quale si manifesta in maniera più vivida questa chiamata a una conversione integrale per tutta l’umanità e per la Chiesa. Una Chiesa dal volto amazzonico dev’essere quindi una Chiesa in sintonia con il Creato e pronta ad alzare la voce contro i piccoli e grandi «peccati ecologici» che commettiamo, ivi compresi quelli compiuti dalle «strutture di peccato », secondo la definizione profetica della Populorum progressio, le grandi strutture economiche e produttive che operano in quelle zone e che stanno distruggendo la foresta e i suoi abitanti.

All’interno di questa direzione ecologica fondamentale, le questioni ecclesiali sulle quali si continua a tornare sono fondamentalmente quattro: 1) una formazione (del clero e non solo) che sia in grado di incontrare realmente i popoli dell’Amazzonia, la loro lingua, la loro cultura, e che sia una formazione accessibile anche alle popolazioni indigene; 2) una liturgia che tenga conto delle specificità culturali, che si lasci arricchire dal patrimonio spirituale e simbolico dei popoli panamazzonici; 3) l’ordinazione presbiterale di uomini sposati; 4) il riconoscimento dell’impegno delle donne – religiose e no – che, oggi, si fanno carico di gran parte delle comunità.

Se sul primo punto pare esserci grande convergenza, sugli altri tre si muovono invece voci contrastanti, forse più fuori del Sinodo che dentro.

Il timore che si vogliano introdurre nuovi riti, con accuse di eresia lanciate con leggerezza e commenti razzisti nei confronti dei partecipanti indigeni al Sinodo e delle loro usanze, circola negli ambienti più tradizionalisti già da ben prima che i lavori iniziassero, ma difficilmente potrà impedire che si realizzi anche in Amazzonia quello che la Sacrosanctum Concilium già auspicava, ovvero che «l’ordinamento dei testi e dei riti deve essere condotto in modo che le sante realtà che essi significano, siano espresse più chiaramente e il popolo cristiano possa capirne più facilmente il senso e possa parteciparvi con una celebrazione piena, attiva e comunitaria» (21). In realtà sappiamo che molte forme nuove (ad esempio di celebrazione penitenziale) sono già utilizzate, perché la realtà supera sempre la teoria, ma si tratta ora di riconoscerne ufficialmente il valore e l’importanza.

Per quanto riguarda l’ordinazione dei cosiddetti viri probati, già numerosi vescovi presenti si sono detti favorevoli; ad esempio mons Verzeletti, vescovo di Castanhal in Brasile ha dichiarato: «Spero che il papa possa guardare con affetto il tema dei viri probati. Abbiamo persone sposate davvero degne per fare i sacerdoti, e non sono certamente di seconda categoria. Se il papa decidesse per i viri probati, io saprei già chi ordinare». Va detto che per il momento sembra che l’indicazione del pontefice sia quella di percorrere il cammino già possibile del diaconato permanente, ma il problema è più profondo di quel che si pensi: da un lato c’è il legittimo desiderio dei fedeli di ricevere i sacramenti e non solo una volta all’anno, dall’altra c’è l’altrettanto legittimo desiderio dei sacerdoti di smettere di essere semplici dispensatori di sacramenti, sempre in viaggio da una comunità all’altra, senza poter vivere appieno con la gente; ma da ultimo – non meno importante – c’è il fatto che se non possono essere ordinati uomini sposati questo comporta una grossa difficoltà nell’avere sacerdoti indigeni, tranne in numeri minimi, perché il celibato è estraneo alla loro cultura. Allora nel quadro di una Chiesa che voglia assumere un volto amazzonico è chiaro che questo elemento ha particolare pregnanza.

Ovviamente non tutti sono d’accordo, negli ultimi giorni alcuni vescovi (come monsignor Wellington Tadeu de Queiroz Vieira, della diocesi di Cristalândia) hanno messo in discussione l’idea che il celibato sia la causa della scarsità del numero dei sacerdoti ed hanno richiamato all’importanza della testimonianza di santità da parte dei pastori, ma difficilmente si può negare che il celibato sia un ostacolo dirimente se si pensa di voler ordinare presbiteri indigeni. Quarto punto: le donne. Le donne sono già oggi leader religiose di molte delle comunità più remote dell’Amazzonia e, come ha candidamente raccontato suor suor Alba Teresa Cediel Castillo, delle Suore Missionarie di Maria Immacolata e di SS. Caterina da Siena che vive in Colombia, nelle comunità indigene le religiose battezzano, sono testimoni delle promesse d’amore degli sposi e ascoltano le confessioni, anche se ovviamente non possono dare l’assoluzione.

Nell’Instrumentum laboris si chiedeva che venissero riconosciuti dei ministeri ufficiali alle donne e questo da un lato sarebbe un riconoscimento di ciò che già oggi fanno, ma dall’altro renderebbe il loro ministero più completo, venendo incontro alle esigenze delle comunità. Ovviamente non si può ancora sapere se dei ministeri verranno riconosciuti e, qualora lo fossero, se saranno ministeri nuovi o già esistenti. In particolare la domanda verte attorno al diaconato sul quale solo pochi mesi fa papa Francesco aveva gelato gli animi dicendo che la commissione da lui istituita per studiarlo non aveva prodotto risultati univoci e che pertanto occorreva continuare ad approfondire la questione.

All’occhio degli addetti ai lavori, non è sfuggito però che nei giorni scorsi i partecipanti portavano in mano un libro dal titolo Women deacons: past, present, future scritto da Phyllis Zagano (una delle maggiori esperte al mondo sul diaconato femminile e membro della commissione di studio voluta dal papa), scoprendo così che a ogni partecipante era stata distribuita una copia nella lingua di preferenza. Questo particolare fa sperare che l’opzione del diaconato femminile non sia completamente chiusa e che compaia tra le indicazioni contenute nel Documento finale del Sinodo, anche se ovviamente la decisione è in capo al pontefice.

Intanto, fuori dalle mura, continuano a levarsi le voci delle donne che lamentano l’impossibilità per le partecipanti al Sinodo di votare il documento finale. Già a partire dal Sinodo sulla famiglia del 2015 e poi in quello sui giovani nel 2018 e in questo, il papa ha concesso a uno dei delegati dell’Unione dei Superiori Maggiori, un fratello religioso non ordinato, la dispensa perché potesse partecipare ai lavori con diritto di voto.

Questo ha fatto sperare che anche le religiose maggiori potessero godere della stessa possibilità, ma gli anni passano e anche questa volta non voteranno a meno di un intervento straordinario che sembra poco probabile. Può sembrare un argomento poco avvincente, perché nella migliore delle ipotesi si tratterebbe di pochi voti (al massimo una decina), ma sarebbe un segnale importante e il primo passo perché alle donne venisse riconosciuto uno status deliberativo e non solo consultivo nella Chiesa sinodale voluta da Francesco. Come si può credere alla volontà, tante volte espressa, di voler promuovere un vero protagonismo femminile, se neppure questo diritto di base viene riconosciuto?   

* Phd in Sociologia della religione, Paola Lazzarini è sociologa, formatrice e giornalista freelance. Ha pubblicato Single di Dio e Il Paradiso in grembo (Effatà editrice). Ha fondato e coordina a livello nazionale il gruppo Donne per la Chiesa

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