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Concluso il Sinodo panamazzonico. Papa Francesco: si può fare di più

Concluso il Sinodo panamazzonico. Papa Francesco: si può fare di più

CITTÀ DEL VATICANO-ADISTA. Un po’ di amaro in bocca, solo un po’, ma questa sembra la sensazione che ha lasciato a papa Francesco il Sinodo per l’Amazzonia (6-27 ottobre), ad ascoltare le sue stesse parole nell’ultimo discorso che ha tenuto a braccio nell’aula (26/10). È indubbio per il pontefice, e non solo, che l'evento sia andato molto bene per quanto riguarda le dimensioni culturale, sociale ed ecologica. Ne è emersa complessivamente una consapevolezza sul problema dei problemi – la distruzione dell’ecosistema mondiale – che non potrà non avere una positiva ricaduta sulla presa di coscienza dei fedeli e sul “contagio” sociale che questa potrà comportare. Anche riguardo alla salvaguardia, al rispetto e alla valorizzazione dei popoli nativi e delle loro culture, che molto hanno da insegnare sulla preservazione della foresta e che invece pagano il prezzo più alto a un sistema economico predatorio. Su queste dimensioni il buon lavoro svolto dai vescovi è testimoniato dal Documento finale (qui in spagnolo e qui in italiano) che parla forte e chiaro, in apprezzabile sintonia con l’enciclica di Francesco Laudato si’. 

Meno soddisfatto, il papa, sulla «dimensione principale, quella pastorale», perché «l'annuncio del Vangelo è urgente» – «ma questo è compreso e assimilato da quella cultura», ha subito aggiunto –. In tutto il Sinodo, si è parlato di «laici, diaconi permanenti, religiosi...» e anche di «nuovi ministeri ispirati». Ma bisogna ancora approfondire, studiare, ci vuole «creatività nei nuovi ministeri e vedere fino a che punto possono arrivare». Si poteva fare di più, sembra dire Francesco; se non lo si è fatto è perché, ha lamentato, «non siamo ancora in grado di realizzare lo spirito sinodale» («ma – ha voluto incoraggiare – siamo sulla buona strada»). Perciò ha chiesto di continuare a «lavorare insieme, discernere, ascoltare». Un metodo non scontato, a quanto pare, tanto che Francesco ha buttato lì l’idea che forse un prossimo Sinodo potrebbe essere dedicato alla sinodalità. E qui bisogna osservare che neanche uno dei 120 punti (le proposte) del Documento finale è stato approvato all’unanimità.

Il “Buuu” di Francesco al risultato sulla “donna nella Chiesa”

Anche sulla questione femminile il papa è rimasto deluso: «Quello che dice il Documento su quello che è la donna è riduttivo (...). Ancora non abbiamo capito cosa significhi la donna nella Chiesa, restiamo solo alla parte funzionale. È importante che abbiano un posto nei consigli... ma il loro ruolo va molto al di là della funzionalità» (e anche così, le donne non hanno comunque avuto diritto di voto nell’assise sinodale).

In effetti, l’argomento “donna nella Chiesa” nel Documento finale non ha fatto un passo in avanti rispetto a quello di base (Instrumentum laboris) sul quale l’Assemblea sinodale ha lavorato. E questo malgrado molti interventi in aula abbiano proposto per le donne il diaconato, primo grado dei ministeri ordinati (il secondo è il sacerdozio, il terzo è l’eiscopato). Ma la paura deve essere stata tanta: se si ammette il primo grado, cosa ci vuole poi ad arrivare al secondo, al sacerdozio femminile? Meglio ripassare la palla al papa, così come scritto anche nella bozza del Documento finale (qui sul numero 38/19 di Adista Notizie) .

Detta infatti il punto 103: «Nelle numerose consultazioni che si sono svolte in Amazzonia, è stato riconosciuto e sottolineato il ruolo fondamentale delle religiose e delle laiche nella Chiesa amazzonica e nelle sue comunità, visti i molteplici servizi che offrono. In molte di queste consultazioni è stato sollecitato il diaconato permanente per le donne. Per questo motivo il tema è stato anche molto presente durante il Sinodo. Già nel 2016, Papa Francesco aveva creato una “Commissione di studio sul diaconato delle donne” che, come Commissione, è arrivata a un risultato parziale su come era la realtà del diaconato delle donne nei primi secoli della Chiesa e sulle sue implicazioni attuali. Vorremmo pertanto condividere le nostre esperienze e riflessioni con la Commissione e attenderne i risultati». Questa proposta ha ricevuto 137 placet e 30 non placet, forse di coloro che neanche vogliono che si vada avanti nello studio del diaconato femminile.

Il papa invece ha colto la palla al balzo e nell’ultimo discorso ai sinodali ha detto che ci riprova e con altre modalità, chissà non vada meglio: «Cercherò di rifarlo (lo studio sul diaocnato femminile, ndr) con la Congregazione per la Dottrina della Fede e assumere nuove persone in questa Commissione». Ha aggiunto: «Raccolgo il guanto lanciato qui, ed è che le donne vengono ascoltate».

I “padri sinodali” comunque chiedono (proposizione n. 102) che si assicuri alle donne «il loro posto negli spazi di leadership e nelle loro competenze specifiche», e che si riveda il «Motu Proprio Ministeria quædam di san Paolo VI, affinché anche donne adeguatamente formate e preparate possano ricevere i ministeri del lettorato e dell’accolitato, tra gli altri che possono essere svolti». Tanto lettorato e accolitato sono “ministeri non ordinati”, non sono "gradini" per il sacerdozio. E poi chiedono «che venga creato il ministero istituito di “donna dirigente di comunità”, dando a esso un riconoscimento, nel servizio delle mutevoli esigenze di evangelizzazione e di attenzione alle comunità». Tanto lo sono già in molte comunità. La proposizione 102 ha ottenuto 160 sì e 11 no.

Sacerdoti anche uomini sposati? Infine sì, ma non solo in Amazzonia

L’altra questione molto delicata per la Chiesa cattolica, trattata al Sinodo per l’Amazzonia è stata quella dei viri probati, ovvero l’ordinazione sacerdotale per uomini anziani sposati di provata fede e dignità. Questa richiesta è passata. Ma non senza opposizione (128 sì 40 no): è pur vero che le eccezioni al celibato dei preti nella Chiesa cattolica sono tanti (preti delle Chiese cattoliche Orientali, preti anglicani passati al cattolicesimo con moglie e figli...), ma questa eccezione ha fatto temere a molti che possa essere un trampolino di lancio per l’introduzione del celibato facoltativo. E comunque non è detto che valga solo per la regione amazzonica: la stessa proposizione (la 111) termina con queste parole: «Alcuni (vescovi, ndr) si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento».

Questa è la 111 nella sua integralità:

«Molte delle comunità ecclesiali del territorio amazzonico hanno enormi difficoltà di accesso all’Eucaristia. A volte ci vogliono non solo mesi, ma anche diversi anni prima che un sacerdote possa tornare in una comunità per celebrare l’Eucaristia, offrire il sacramento della Riconciliazione o ungere i malati nella comunità. Apprezziamo il celibato come dono di Dio (Sacerdotalis Caelibatus, 1) nella misura in cui questo dono permette al discepolo missionario, ordinato al presbiterato, di dedicarsi pienamente al servizio del Popolo santo di Dio. Esso stimola la carità pastorale e preghiamo che ci siano molte vocazioni che vivono il sacerdozio celibe. Sappiamo che questa disciplina “non è richiesta dalla natura stessa del sacerdozio... anche se possiede molteplici ragioni di convenienza” con esso (PO 16). Nella sua enciclica sul celibato sacerdotale, san Paolo VI ha mantenuto questa legge e ha esposto le motivazioni teologiche, spirituali e pastorali che la sostengono. Nel 1992, l’esortazione post-sinodale di san Giovanni Paolo II sulla formazione sacerdotale ha confermato questa tradizione nella Chiesa latina (PDV 29). Considerando che la legittima diversità non nuoce alla comunione e all’unità della Chiesa, ma la manifesta e la serve (LG 13; OE 6), come testimonia la pluralità dei riti e delle discipline esistenti, proponiamo di stabilire criteri e disposizioni da parte dell’autorità competente, nel quadro della Lumen Gentium 26, per ordinare sacerdoti uomini idonei e riconosciuti della comunità, che abbiano un diaconato permanente fecondo e ricevano una formazione adeguata per il presbiterato, potendo avere una famiglia legittimamente costituita e stabile, per sostenere la vita della comunità cristiana attraverso la predicazione della Parola e la celebrazione dei sacramenti nelle zone più remote della regione amazzonica. A questo proposito, alcuni si sono espressi a favore di un approccio universale all’argomento».

*Putumayo in una foto del 1913 di Hardenburg, W. E. (Walter Ernest), 1886-1942, tratta da Wikipedia, immagine originale e licenza

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