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La speleologia della speranza

La speleologia della speranza

Tratto da: Adista Documenti n° 41 del 30/11/2019

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La grande inversione e l'umile conversione

Definisco come “grande inversione” la sostituzione del racconto religioso con un racconto laico sovraetico, l'abbandono della letteralità e dell'esclusivismo biblico, l'interpretazione liberatrice e postreligionale del messaggio di Gesù di Nazareth e la decostruzione del teismo, questa immagine di Dio come “qualcosa” o “qualcuno” di supremo situato in un altro mondo.

Si tratta di un processo simile a quello seguito dallo stesso Gesù nel suo superamento dell'ebraismo. Gesù ha trasformato il concetto di persona religiosa, ha messo da parte il culto, ha centrato il suo sguardo sui più deboli e si è servito del linguaggio popolare e metaforico. Benché, come ebreo e come figlio del suo tempo, partecipasse del teocentrismo e della religiosità dell'epoca, le sue esperienze interiori e la sua compassione lo avrebbero condotto a un paradigma etico e spirituale totalmente inedito nella storia. Tale originalità non si è tradotta in un nuovo progetto di salvezza eterea centrata sull'ambito irreale del mitico peccato originale e della sua redenzione (...). Piuttosto è consistita nella maturazione (...) di atteggiamenti di vicinanza e compassione immense in grado di conquistare subito un gran numero di diseredati.

Le narrazioni che ci comunicano questa vita e questo significato singolari di Gesù di Nazareth, al di là della loro veridicità storica, annunciano un modo di essere persona e un modello di fraternità nuovi ed eccezionali. Qualcosa che è stato rapidamente neutralizzato dalla cultura ebraica e greco-romana dei primi secoli, in quanto ne metteva in discussione il sistema sociopolitico e religioso.

Questi sono alcuni presupposti che, nella mia opinione, dobbiamo tenere in considerazione nell'interpretazione di questi fatti e di questo messaggio. Una lettura non letterale ma metaforica dei vangeli, dei racconti biblici e in generale di tutti i testi definiti sacri e delle tradizioni religiose, spirituali e umanistiche. (...). Una lettura che sfugge definitivamente al dogmatismo e all'indottrinamento. La Bibbia più che ragione o verità possiede anima, impulso di vita e di fraternità (“minimalismo biblico”).

La complementarità tra fede e scienza basata principalmente sulla nuova concezione della conoscenza umana esposta nella prima parte. L'abbandono del concetto di Redenzione e Rivelazione come verità assoluta, come intervento diretto nella conoscenza umana. Il riconoscimento delle scienze come punto di partenza per sostenere una mistica della compassione o della bontà incondizionata. La fede non deve stare in agguato dell'errore ma essere in combutta con la saggezza. (...).

La costruzione di questa mistica e di questa prassi sovraetica di Gesù di Nazareth e di altri come lui, basata non sul moralismo, sul narcisismo spirituale o sul volontarismo politico quanto sull'importanza dell'amore civile e personale fondato sull'autonomia della bella e buona volontà. La fede muove le montagne: il suo potenziale simbolico, il suo invito all'eccellenza personale e all'utopia sociale conducono all'impegno sociopolitico, al sapere critico, all'onestà intellettuale. La confluenza con altre etiche e religioni nell'azione umanizzatrice. Un compito a cavallo tra la politica istituzionale, la critica antisistemica e la cura delle persone e che si estende dal piccolo obolo della vedova fino alle più alte sfere degli organismi internazionali.

A metà del secolo scorso la Teologia della liberazione ha delineato il quadro epistemologico e morale per una reinterpretazione più sincera del cristianesimo: il suo “a partire dai poveri” è rimasto il presupposto di qualsiasi analisi sociale. La TdL è entrata in pieno nelle profondità dell'ingiustizia come inferno reale, come croce da cui far scendere tutti gli oppressi. Ha abbandonato il magistero scolastico del XIX secolo e ha proiettato il sentimento di divinità nella liberazione dei poveri. Ha sviluppato una spiritualità “dal basso verso l'alto”, dalla vita all'amore che ci oltrepassa, anziché del Dio sovrano che redime a partire da una creazione fallita.

Da vari lustri assistiamo anche a una seconda conversione o passaggio sotto la spinta della secolarizzazione crescente, del progresso della conoscenza e della scoperta della politica come amore sociale. (...). Il vangelo non costituisce tanto un'identità religiosa superiore quanto un invito alla radicalità dei valori universali che la comunità umana sta discutendo ed elaborando dal suo migliore sentire, prima chiamato Parola di Dio. Il racconto evangelico ci presenta un Gesù che non è vissuto e morto per una identità religiosa ma per aver amato fino al limite.

(...). Le bellezze interiori condivise e i corpi sofferenti sono i nuovi templi in cui la mente canta e acquista ali per elevare il suo sguardo e balbettare l'indicibile con mille miti, pratiche, sentimenti e azioni assai distanti dalle arcaiche apparizioni, dalle rivelazioni formali e dalle religioni ultraterrene. Abbiamo trovato altri punti di riferimento per amare e, senza abbandonare il significato profondo dei racconti religiosi, stiamo già assaporando altri sapori per un movimento universalista di speranza e di solidarietà che oltrepassi religioni e culture, prolunghi la scienza e ci unisca tutti in una grande Internazionale. Qualcosa che nella nostra cultura Gesù di Nazareth ha annunciato come “Regno di Dio”. Sarebbe bello se la Chiesa fosse un giorno questa Internazionale della giustizia, come un Regno dei mari, senza terraferma né cielo limpido, che riunisca tutti i poveri diavoli che sovvertono i sistemi di dominazione. (...).

Con Dio e senza Dio

(...) Credere in Dio non significa affermare che questa entità esista, descriverla e mantenere con essa una presunta relazione diretta, che si chiami Dio del cielo, Fondamento del nostro essere, Tu, Vita, Madre o Spirito Universale. Credere non è altro che vivere, sentire e pensare dando un valore a tutto, a se stessi, agli altri, alla natura e agli altri esseri. Credere è accettare che si possa affrontare la sofferenza e che si possa sfidare il male, insistendo sulla bontà malgrado tutto. Che la limitazione e il vuoto, la morte che ci accompagna sempre, abbiano meno valore dell'essere che siamo. È credente la persona che ama la propria vita e quella degli altri in base a un paradigma di assolutezza innominabile e che giorno dopo giorno costruisce il suo dio, il suo significato, il suo amore, la sua felicità, il suo umile e lieto impegno senza necessità di portarlo sull'altare al suono di una marcia nuziale.

Non siamo capaci di dare una spiegazione al male, né al motivo per cui vogliamo amare gli altri e prenderci cura del pianeta. Le perdite profonde, laceranti, per gli uni gridano il nome di Dio, per gli altri tacciono nel pozzo comune dell'incomprensibilità. Nessuno vuole vivere nell'insignificanza, per questo cerchiamo quasi sempre la densità e il valore di tutto ciò che tocchiamo. (...).

La questione di Dio pertanto è e sarà paradossale. La gioia di vita che si riflette in un'interiorità straripante di gratitudine non sa a chi o a cosa rivolgere questo ringraziamento. L'esperienza interiore, che ci rende persone, nasce e si riconosce alienandosi, raccontandosi a qualcuno. Il male commesso può restare una brace interminabile di colpevolezza se non è spenta da quell'inondazione d'amore che chiamiamo perdono. Ma nulla di questo certifica l'esistenza di un Essere superiore, infinito e onnipotente. Si limita a postularlo.

Vogliamo tutto, essere autonomi e sentirci protetti, vivere con la presenza di qualcosa che consola, offre garanzie, protegge, restituisce, spiega, ma il dubbio dell'illusione sorvola sempre le acque della fede. Ciò che è proprio dell'essere umano è al tempo stesso la presenza e l'assenza. (...). Più si ama meno si possiede l'amato, ma la ragione e il cuore, mano nella mano, non cessano di produrre ordine e bellezza, un futuro migliore e un passato recuperato. La divinità è la bontà e la bellezza a cui aneliamo e di cui godiamo disinteressatamente senza saperlo.

La bellezza della biancheria interiore e l'attrazione della bontà

Molte persone religiose pensano – e forse hanno ragione – che, se viene meno la religione, il mondo perderà un fondamento per la verità e soprattutto per la moralità, così necessaria a salvaguardare la dignità, la convivenza sociale e la cura del pianeta. La religione, e concretamente il cattolicesimo, ha saputo costruire un sistema molto efficace di esperienza interiore, di motivazione profonda, di celebrazione e ani mazione simbolica, di invito alla donazione, e soprattutto di formazione, benché, questo sì, povera di senso critico. Ma oggi, (...) dopo la “grande decostruzione” del teismo e della religione, quel che resta è l'universalità dell'amore, senza sapere il perché e se servirà realmente a qualcosa. Non senza esclamare in molti momenti “Perché mi hai abbandonato?”.

Ora siamo chiamati a riformulare quella generosità e a ricostruire questo amore senza condizioni. Siamo invitati a edificare socialmente una sovraetica massimamente libera che possa fondarsi sulla bellezza della bontà, sull'impulso creativo del bene. (...).

Tutti i motivi dell'amore naufragano nella ragione logica. «Perché amare gli altri quando non ricevo da loro alcun bene?», diceva Freud. Quando questa ragione strumentale fa acqua, i sentimenti profondi “rompono le acque” e possono inondare la vita di benevolenza. Nessuna motivazione offre una consistenza definitiva. Nulla può rispondere alla domanda del perché amare gli altri, del perché perseguire il bene, del perché salvaguardare il pianeta, l'umanità... però possiamo farlo anche senza sufficienti ragioni, la bellezza del bene ci seduce per se stessa.

L'amore infondato e fondante rimane sempre; alcune volte con abbondanti ragioni e altre con poche. È un principio universale di trascendenza; nessuno lo mette in discussione come principio guida dell'esistenza. Non divide il mondo in atei e credenti. Non ha bisogno di nulla che lo giustifichi. Si ama perché si ama, perché si è liberi, e siamo liberi perché amiamo. (...). È il significato universale di tutti i nomi di Dio. «Non ci viene da un nostro agire eroico, e pertanto riservato a pochi, ma come un regalo alla nostra condizione personale» .

Forse possiamo applicare qui quanto dicevamo sulla complessità della realtà e della conoscenza: che di tanto in tanto si producono singolarità. E forse dall'insieme e dalla cooperazione di tutte le lotte, i dubbi, i naufragi e i piccoli amori potrebbe derivare una trans-motivazione, una biancheria intima di maggiore qualità che ci faccia camminare sulle acque. Nel mare della vita è possibile galleggiare quando ci sostiene la fiducia incondizionata. (...).

La speleologia della speranza e le miniere del cuore

(...). Educarsi all'illimitatezza dell'amore richiede molte piccole opzioni di valore. Alcuni tradizionali mezzi di formazione come per esempio la preghiera o la meditazione, la sincerità interiore, l'ascesi, le celebrazioni, l'emulazione comunitaria e via dicendo ci sono riusciti.

Ma oggi è quasi impossibile continuare con queste “pratiche religiose”. La teologia che le sostiene viene meno come costruzione razionale. (...). La teologia potrà essere come una ricerca incerta della trascendenza: la si potrebbe piuttosto definire una “speleologia della speranza” così come le profondità che la sostengono potrebbero essere chiamate “le miniere del cuore”. (...).

Uno sforzo condiviso senza distinzioni da atei, credenti e agnostici. Una confluenza di religioni e umanesimi. Nel nostro ambiente cristiano, un “Regno” di nomadi al modo delle immagini e delle figure disegnate dai percorsi, dalle parabole e dai piccoli racconti della vita di Gesù. A partire dalla sua stessa vita, semplice e rischiosa al tempo stesso; non la grande epopea o il racconto assoluto della sua morte sacrificale e della sua miracolosa resurrezione. «Non il Gesù della croce, ma quello che ha camminato sul mare» (Machado)

Questi sono alcuni filoni di speranza.

L'impulso naturale della vita che ci porta a uscire da noi e a espanderci è il primo bagliore sorto nell'oscurità dell'energia cosmica e condotto fino alla meraviglia della coscienza e dell'amore. Il benessere, la salute e la gioia di vivere di cui gode già molta gente, anche con scarse risorse, e malgrado la consapevolezza della propria provvisorietà, aprono la possibilità che tutti possano raggiungere la stessa meta. Una meta impensabile senza un impegno serio.

Un altro faro è dato dalla resistenza delle vergini prudenti, dalle lotte e dalle attese interminabili in tanti angoli del pianeta che pure non vengono mai meno. I racconti mitici delle grandi tradizioni e dei piccoli poeti, con la loro intermittenza di luce e di ombra, di utopia e di realismo, sono anch'essi fuocherelli che illuminano umilmente la notte dei popoli. Le scoperte scientifiche, le pennellate dell'artista, i sentimenti mistici, i gesti di solidarietà condivisi, sono altrettante aperture esplorate dalla speleologia.

È il momento di continuare a cercare e a scavare nella speranza, di scoprire trascendenze percorrendo gallerie e passaggi difficili. Entrare ben ossigenati nelle voragini asfissianti della sofferenza, nelle volte annerite dal fumo dogmatico. Non nella vita delle stelle ma nelle vite stellate. Cercare nella conchiglia della coscienza e nella spirale del cosmo, nei gomitoli aggrovigliati della politica o delle relazioni personali, luoghi tutti, questi, enigmatici e senza fondo.

E questo scendere in profondità, questo penetrare nelle viscere dell'enigma ci suggerisce un'altra bella immagine, quella delle miniere della compassione. Il minatore colpisce ripetutamente la dura materia come Mosè la roccia, in cerca dell'acqua o del minerale. Entra nella realtà profonda, dove confluiscono la coscienza dei sentimenti e il “volto” dell'altro, la bellezza e la sofferenza; e dalla comunione della sofferenza e della gioia, nell'angolo più nascosto della miniera, nasce l'amore universale che tutto abbraccia. Perché amare è compatire e arrivare al fondo del proprio nulla (Unamuno) e scoprire che «Tutta la verità e la bellezza procedono dall'interiorità» (Agostino di Ippona), dal fondo dell'“anima”, dove si accumulano fossilizzati i resti preistorici e recenti di un'umanità che soffre, gioisce e dà la vita in un processo millenario di vita e di morte. Questo vuol dire il mito della Redenzione.

È in questa doppia consapevolezza, quella della limitazione che ci rende compassionevoli e quella della pienezza che ci rende creativi, che becchettiamo ancora e ancora l'amore che nasce, secondo i classici, dalla necessità e dall'abbon danza. Quanto più dentro tanto più abbondantemente e più vicino. Il cielo è nel nucleo della “Terra”. È il momento, pertanto, dopo quanto scritto, di un nuovo paradigma cognitivo ed emozionale, di altri linguaggi, di altra biancheria intima. Né la religione di un altro mondo, né una laicità insignificante.

È il momento di modellare lentamente e rispettosamente la nuova umanità, a partire dall'amicizia civica e dal desiderio di sapere, dall'amore incondizionato che comincia da più deboli, dall'apertura a ciò che ci oltrepassa. E di costruire così una nuova ragione (razón) e un nuovo cuore (corazón). Un nascente co-razón che ci orienti tutti nella diversità.  

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