
Una ricetta per Taranto
Tratto da: Adista Notizie n° 41 del 30/11/2019
A Taranto, nel rione Tamburi, nell’abside della chiesa dedicata a Gesù Divin Lavoratore, è raffigurato il Cristo misericordioso che guarda teneramente la città pugliese, riconoscibile dalle enormi ciminiere a ridosso del mare; una città da decenni legata al destino dell’ex-Ilva, sua croce e delizia. Gesù sembra partecipare con lo sguardo all’inarrestabile affievolirsi della speranza delle migliaia di lavoratrici e lavoratori, e delle loro famiglie; sembra condividere l’indicibile dolore delle vittime di incidenti sul lavoro e dell’inquinamento; sembra abbracciare con il suo sguardo di comprensione il creato sfregiato, non solo a Taranto, dalla cupidigia smisurata e dall’ignoranza insopportabile di alcuni, a discapito dell’intera famiglia umana. Ma lo sguardo del Cristo del rione Tamburi trasmette anche la sensazione di impotenza, deve fare i conti con i tempi lunghi di un eventuale riconversione della fabbrica, per renderla più ecosostenibile, ad esempio decarbonizzandola; anche per chiuderla e bonificare l’area occorre tempo. È uno sguardo, quello del Cristo, che porta in sé la preoccupazione di chi sa che, comunque non si può prescindere dal fatto che l’importanza della produzione di acciaio, che alcuni intravedono in declino in tutto il mondo, travalica la Puglia e incide in maniera considerevole sull’economia nazionale.
Taranto è la metafora della trappola mortale nella quale l’umanità si sta auto-infognando e, purtroppo non c’è una soluzione semplice a un intreccio di problemi tanto complessi: non possiamo condannare alla cassa integrazione e alla disoccupazione migliaia di operai, calpestando ancora la dignità della persona umana; un possibile ridimensionamento della fabbrica deve “pre-vedere” un piano di graduale ricollocazione dei lavoratori che, lasciando il siderurgico, dovranno poter essere accompagnati verso il terziario, un’agricoltura di eccellenza, l’utilizzo sapiente delle risorse del mare o verso il turismo. Non possiamo permetterci ancora la contrapposizione tra ambiente e lavoro! Papa Francesco, nella Laudato si’, invita a perseguire sempre ogni possibile strada che conduca a coniugare salute e lavoro, in virtù di quella “ecologia integrale” che vede l’essere umano protagonista e non schiavo dell’inerzia e della massimizzazione del profitto.
Quando una soluzione praticabile tarda ad arrivare, alcuni aprono a caso i propri Libri sacri, per cercare in essi un suggerimento, certi che questi testi non sono come il famoso Manuale delle Giovani Marmotte Qui, Quo, Qua, nel quale si trova una soluzione facile a qualsiasi problema. Anch’io ho aperto la Bibbia, un po’ per gioco, casualmente al capitolo 6 del libro del profeta Amos, incazzato perché per colpa delle ingiustizie commesse dai potenti, Dio lo ha strappato dalla sua vita tranquilla, inviandolo alla pericolosa corte del re. E tuona: «Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri! Essi su letti d’avorio e sdraiati sui loro divani… Canterellano al suono dell’arpa… e si ungono con gli unguenti più raffinati, ma della rovina del popolo non si preoccupano. Perciò andranno in esilio e cesserà l’orgia dei buontemponi». Ho riaperto la Bibbia, questa volta verso la seconda metà, sperando di aprire una pagina di Vangelo. Così è stato. Il capitolo 11 di Giovanni: «Era allora malato un certo Lazzaro… Questa malattia non è per la morte… Se uno cammina di giorno non inciampa… ma se invece cammina di notte, inciampa, perché gli manca la luce… “Lazzaro è morto”… “Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”... “Chiunque vive e crede in me non morrà in eterno. Credi tu questo?”... Gesù scoppiò in pianto… Dissero allora i Giudei: “vedi come lo amava!”... “Togliete la pietra!”… Gridò a gran voce: “Lazzaro, vieni fuori!”… Il morto uscì con i piedi e le mani legati con le bende, e il volto coperto da un sudario… “Scioglietelo e lasciatelo andare”».
Sicuramente potremmo anche attingere alla saggezza antica dei popoli, come quello pellerossa: «Non abbiamo ereditato la terra dai nostri padri, ma l’abbiamo avuta in prestito dai nostri figli, ed è a loro che dovremo restituirla». Certo basterebbe un po’ di buonsenso, un po’ di ascolto rispettoso dell’altro, di tutti gli altri, una politica responsabile, e tanta fraternità. «Convivialità delle differenze», avrebbe detto un santo vescovo pugliese, don Tonino Bello. È forse quello che ha tentato di costruire il presidente Conte recandosi a Taranto, senza presunzione, «non avendo soluzioni preconfezionate in tasca», cercando di ascoltare tutti. Un discreto inizio. Ora bisogna provare ad imbastire, con pazienza, una ulteriore ipotesi di soluzione.
Vitaliano Della Sala è parroco a Mercogliano (AV) e vicedirettore della Caritas diocesana di Avellino
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