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Teologia: ricercare senza divulgare?

Teologia: ricercare senza divulgare?

Tratto da: Adista Notizie n° 43 del 14/12/2019

Papa Francesco vuole teologi capaci di «rischiare nella discussione». Delimita però questo «amore per il rischio» alle «questioni tra i teologi», sottolineando che al popolo va riservato il «pasto solido della fede». Ecco il testo-chiave del papa, pronunciato alla fine del suo “saluto” alla Commissione Teologica Internazionale:

«E vorrei ribadire alla fine una cosa che vi ho detto: il teologo deve andare avanti, deve studiare su ciò che va oltre; deve anche affrontare le cose che non sono chiare e rischiare nella discussione. Questo però fra i teologi. Ma al popolo di Dio bisogna dare il “pasto” solido della fede, non alimentare il popolo di Dio con questioni disputate. La dimensione di relativismo, diciamo così, che sempre ci sarà nella discussione, rimanga tra i teologi – è la vostra vocazione –, ma mai portare questo al popolo, perché allora il popolo perde l’orientamento e perde la fede. Al popolo, sempre il pasto solido che alimenta la fede» (Francesco, Discorso alla CTI)

Il dibattito teologico, in effetti, può sempre degenerare. Poiché i teologi sono titolari di un «magistero della cattedra magistrale», diverso ma correlato al «magistero della cattedra pastorale» che è in capo ai vescovi, essi portano una responsabilità ecclesiale. Occorre però riconoscere che vi è anche un altro pericolo. Talora, infatti, è il popolo ad avere le questioni, e la teologia tarda a recepirle. Per questo il discorso papale riguarda casi diversi:

a) vi è il caso in cui le problematiche teologiche, che si sviluppano “tra esperti”, debbono conservare quella riservatezza che può essere sciolta solo quando la soluzione è guadagnata ed assunta, consigliando il “silenzio pubblico” come strategia professionale ed ecclesiale da preferire;

b) vi è invece il caso in cui le questioni più urgenti vengono già dal popolo, si impongono in modo diretto alla attenzione comune, preoccupano le coscienze e le vite, e la teologia, proprio perché tace, determina lo scandalo e il disorientamento comunitario.

C’è uno scandalo della parola, ma vi è anche uno scandalo del silenzio. In certi casi una parola troppo audace può essere davvero motivo di scandalo e di disorientamento. Ma in altri casi è proprio un silenzio ostinato a creare scandalo, disagio, disorientamento. A volte sono i teologi a “portare le questioni” al popolo, ma altre volte è il popolo a portare le questioni ai teologi, i quali sono tenuti a parlare e non possono tacere.

Eberhard Juengel ha scritto: «Il teologo deve offrire chiarimenti e salvare i fenomeni ». In certi casi il fenomeno può essere salvato solo nella misura in cui lo si sa chiarire in modo nuovo. Proprio il “lavoro teologico” che papa Francesco continuamente svolge su diversi “fronti caldi” – il matrimonio, l’ecumenismo, le istituzioni di governo, il dialogo interreligioso – dimostra come tali questioni, più che poste dai teologi, sono poste dai fenomeni, e si impongono “comunitariamente”: non si possono tacere. D’altra parte, parlando ai teologi della Civiltà cattolica, è stato Francesco a indicare le tre “i” del teologo cattolico: inquietudine, incompletezza, immaginazione. Il servizio teologico alla Chiesa lavora con queste tre parole. E non è scandaloso che la teologia attinga continuamente a queste virtù: la responsabilità del teologo è fatta proprio così. Mediante inquietudine, incompletezza e immaginazione esercita una riflessione critica di cui la Chiesa ha strutturalmente bisogno e senza la quale la stessa cattedra pastorale manca di qualcosa di fondamentale. Le forme diverse in cui si esercita questa critica non dispensano mai da essa. 

Andrea Grillo  docente di Teologia dei Sacramenti e Filosofia della Religione al Pontificio Ateneo S. Anselmo di Roma; insegna Liturgia presso l’Abbazia di Santa Giustina, a Padova; saggista e blogger (www.cittadellaeditrice.com/munera/come-se-non/)

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