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Cittadinanza, il tempo è ora: l'appello del Comitato per i diritti umani

Cittadinanza, il tempo è ora: l'appello del Comitato per i diritti umani

Il 20 novembre 1989 l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvava la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia, ratificata negli anni successivi da tutti i Paesi del mondo, ad eccezione degli Stati Uniti. In occasione del 20 novembre scorso, XXX Giornata Internazionale per i Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, il Comitato per i diritti umani – di cui fanno parte la Fondazione Nigrizia, il Movimento Nonviolento, il periodico delle comboniane Combonifem, il Monastero del Bene Comune dei padri stimmatini di Sezano a Verona e l’Associazione per la Pace – ha lanciato un appello per il superamento del gravoso stato di discriminazione che colpisce bambini e adolescenti nati o cresciuti in Italia, figli di immigrati regolarmente e stabilmente residenti e che per questo, seppur italiani “di fatto”, restano stranieri “per legge”.

La Convenzione Onu stabilisce, si legge nell’appello, «che i minorenni sono titolari di diritti e non soltanto beneficiari di protezione e assistenza da parte degli adulti». Il Comitato Onu per il monitoraggio della tutela dei diritti dell’infanzia a livello locale ha rilevato in Italia, a febbraio scorso, diverse criticità. La prima è, si legge nel documento, la discriminazione «dei bambini in base al loro status, origine, orientamento sessuale e identità di genere». In secondo luogo, il Comitato denuncia l’alto tasso di abbandono scolastico dei minori rom, sinti e camminanti e «la condizione dei bambini rifugiati e richiedenti asilo soprattutto a seguito del primo decreto sicurezza» «che abolisce la protezione umanitaria e prolunga i tempi di ospitalità nei Centri di permanenza per il rimpatrio a 180 giorni».

E se è vero che il problema delle disuguaglianze, dell’abbandono e delle condizioni in cui versa la scuola attraversa indiscriminatamente tutto lo Stivale, è anche vero che, sottolinea il Comitato per i diritti umani, ai piccoli migranti bisogna prestare «particolare attenzione data la forte vulnerabilità».

Il nodo della cittadinanza

Sulla questione della cittadinanza la Convenzione Onu è chiara: all’Articolo 7 dichiara che un bambino deve essere registrato appena nasce e che da quel momento ha il diritto di acquisire la cittadinanza. Eppure, «nel nostro Paese ci sono oltre 800mila ragazzi e ragazze nati da genitori immigrati», che potranno chiedere la cittadinanza solo a 18 anni. «Il desiderio del consenso politico – punta il dito il Comitato – ci fa passare sopra ogni scrupolo morale anteponendo le ragioni del potere a quelle della giustizia. Il codice di cittadinanza per figli di immigrati che sono nati in Italia è il più restrittivo dell’Europa occidentale. È doveroso garantire equità, uguaglianza, inclusione. È arrivato il momento di riconoscere un effettivo diritto di cittadinanza alle bambine e ai bambini che vivono, crescono, studiano e si formano nel nostro Paese».

Intanto, alla Camera dei Deputati giace il testo di legge per la riforma della cittadinanza, il cosiddetto ius culturae che prevede la concessione dello status di cittadino al minore nato in Italia o arrivato prima di compiere dodici anni, che abbia concluso con successo almeno un ciclo scolastico di 5 anni.

Le associazioni laiche e di ispirazione religiosa incalzano la classe politica, consapevoli che sulla riforma della cittadinanza si è balbettato fin troppo, forse per paura dei sondaggi e dei mal di pancia popolari. «È pretestuoso come affermano certuni sostenere che lo ius culturae non è una priorità con tutto ciò che accade in Italia»: il Comitato per i diritti umani condanna il «sovranismo meschino che gerarchizza le sofferenze», affermando che nell’agenda politica le priorità sono altre e c’è sempre qualche problema più urgente, con il solo intento di mandare a monte l’intero progetto di riforma. Ma «il diritto di un bambino alla nazionalità, attraverso il registro delle nascite e la cittadinanza, è fondamentale perché i bambini possano impegnarsi nella società civile e godere di benefici sociali come la formazione nella scuola pubblica».

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