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La memoria... corta dell’informazione

La memoria... corta dell’informazione

Tratto da: Adista Documenti n° 44 del 21/12/2019

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Sulla falsariga della mia attività ad Adista, ma anche dalla prospettiva del mio lavoro di insegnante, cercherò di mettermi in relazione con il tema della memoria, che è al centro della riflessione di questo convegno.

Adista è nata 53 anni fa e la memoria per noi è anche e soprattutto fedeltà alle ragioni per cui siamo nati. Nel 1967 chi ha voluto e fondato Adista lo ha fatto, sulla scia delle intuizioni conciliari, per rompere con il dogma dell’unità dei cattolici in politica. Un dogma, sostenuto dalla Chiesa dal dopoguerra sino al 1993: se si era cattolici e ci si voleva impegnare in politica bisognava farlo solo nella Democrazia Cristiana. O votando per la Democrazia Cristiana.

Oltre a rivendicare il diritto, da cristiani, di militare anche in formazioni diverse dalla Democrazia Cristiana, e soprattutto di militare a sinistra, Adista nacque anche per promuovere l’esigenza, nata anch’essa nella temperie conciliare, che bisognasse riformare profondamente la Chiesa, a partire dalle sue strutture; e – assieme alla Chiesa – modernizzare, laicizzare, democratizzare la società italiana.

Ma la memoria, se per noi è anzitutto un impegno alla fedeltà, è anche – necessariamente – una memoria generatrice. Ancorati alle ragioni per cui siamo nati, dobbiamo però aggiornare e rinnovare queste ragioni. E allora: cosa può voler dire per noi oggi essere contro l'unità dei cattolici in politica, se la Democrazia Cristiana non esiste più da oltre 25 anni? Beh, significa difendere sempre e comunque il diritto di esprimere, da cristiani e da cattolici, posizioni diverse o difformi da quelle della gerarchia ecclesiastica. Nel corso degli anni, per Adista ha significato il sostegno alla legge sul divorzio e l'impegno per il mantenimento di quella legge quando – era il 1974 – un referendum promosso dalla destra clericale e sostenuto dal papa, dal Vaticano e dai vescovi italiani, voleva abolirla. Negli anni seguenti ha significato una posizione originale sul tema dell'interruzione di gravidanza; l’aver seguito e documentato il dibattito parlamentare che ha accompagnato l’elaborazione della legge 194 del 1978 e poi la scelta di difendere i diritti concessi alle donne grazie a quella legge. E ancora, ha significato l’essersi schierati per il mantenimento di quella legge quando, nel referendum del 1981, il diritto all’autodeterminazione delle donne era messo a repentaglio. In anni più recenti, Adista ha “tradotto” la lotta al dogma dell’unità dei cattolici in politica nell’opposizione al movimento Scienza&Vita che portò la Chiesa italiana a schierarsi per il boicottaggio al referendum del 2005 sulla fecondazione assistita boicottaggio. Boicottaggio che grazie alla astuta (e facile) campagna astensionista del card. Ruini riuscì. Ma che la Corte Costituzionale ha vanificato smantellando negli anni successivi, ed in sentenze successive, quella legge pezzo per pezzo. Ricordo poi nel 2006 la presenza di Adista a fianco di Piergiorgio Welby – cui il Vicariato di Roma negò le esequie religiose – che aveva fatto una durissima battaglia per vedersi riconoscere il diritto ad interrompere la ventilazione forzata che lo manteneva in vita contro la sua volontà, minato ormai nel fisico e nell'animo da una malattia degenerativa, la Sla, che aveva compromesso anche la muscolatura involontaria del suo corpo e ridotto immobile a letto. E ancora, Adista sostenne l’approvazione dei Di.Co, diede voce a quei cattolici che non manifestavano nei Family Day e a quei credenti che sostenevano invece la battaglia di Beppino Englaro – erano gli anni tra il 2008 e il 2009 – per veder riconosciuto il diritto della figlia a non essere più idratata ed alimentata artificialmente dopo che da 17 anni versava in stato vegetativo e incosciente nel letto di una clinica.

Oggi essere contro l’unità dei cattolici in politica significa stare a fianco delle persone lgbt; o dei divorziati risposati che vogliono tornare a fare la comunione; o dei preti sposati; o delle donne che vorrebbero poter diventare preti. O di quei vescovi, teologi, preti, religiose e religiosi puniti dai loro superiori per aver scritto o parlato, o compiuto scelte difformi alle leggi ecclesiastiche, ma fedeli al Vangelo. Si rompe il dogma dell'unità dei dei cattolici in politica non quando ai credenti viene imposto di trovarsi dentro uno stesso partito, ma in ogni circostanza in cui la Chiesa gerarchica pretenderebbe di egemonizzare e di interpretare in maniera unica e inconfutabile la volontà dei cattolici e di esprimersi per conto dei cattolici di questo Paese. In questo senso la voce di Adista è stata e rimane una voce di libertà.

La fedeltà alla memoria e la capacità di fare della memoria uno strumento generativo ha permesso in questi oltre 50 anni ad Adista di dare voce, cittadinanza e legittimità a quelle posizioni divergenti o semplicemente difformi dal magistero ecclesiastico o dalla gerarchia. Abbiamo garantito il diritto dei cattolici a pensarla diversamente dal papa e dall'episcopato; abbiamo garantito cittadinanza ad idee che nella Chiesa e nella società questa cittadinanza non avevano. Abbiamo garantito anche che Chiese non cattoliche, ma cristiane, come quella valdese, avessero la possibilità di condividere con il mondo cattolico le proprie posizioni, che loro ritenevano perfettamente in linea con il Vangelo, e spesso proprio per questo divergenti con quelle del magistero cattolico. E che per questo venivano oscurate dai giornali e dai mezzi di comunicazione troppo sensibili ai “richiami” della gerarchia cattolica.

E questa memoria generativa Adista continua a preservarla nelle sue pagine, nella fedeltà alla volontà di chi questa rivista l'ha voluta e creata.

Certo, c’è poi un altro aspetto della memoria che mi preme sottolineare, accanto alla memoria come fedeltà a ciò che si è sempre stati ed alla memoria come capacità rigeneratrice; ed è la memoria come esercizio critico. Il nostro giornale opera in una dimensione, quella della informazione religiosa, in cui questo aspetto critico spesso latita. Quando si parla e si scrive di mondo cattolico si pone l'accento sull’essere credenti piuttosto che sull'essere pensanti. E pensanti criticamente, aggiungo io. L’esercizio della critica va invece sempre compiuto, anche quando – da cristiani – si riflette sulle questioni che riguardano la Chiesa, il magistero, il papa. Nel fare informazione Adista ha come faro un concetto che tanti secoli fa Machiavelli aveva esplicitato nel Principe (un altro testo molto contestato, come è accaduto ed accade anche ad Adista, per il suo approccio laico e rigoroso alla dimensione politica); Machiavelli, nel cap. XV scrive del suo mestiere di studioso: «Mi è parso più conveniente andare dietro alla verità effettuale della cosa, che all’immaginazione di essa». Per noi ciò che dice Machiavelli significa analizzare le dinamiche concrete in cui il potere temporale ed ecclesiastico si estrinseca, raccontare la Chiesa per quella che è, non per quella che ci piacerebbe fosse: e nemmeno la Chiesa come viene rappresentata in funzione apologetica o mistificatoria su tanti media. Adista, ma direi tutta l’informazione, laica e religiosa, dovrebbe sempre avere un ruolo “scomodo”, di critica puntuale al potere dentro e fuori la Chiesa. Non deve né applaudire, né consentire. Deve offrire all’opinione pubblica spunti di riflessione affinché siano i lettori a scegliere.

In questo senso, devo sottolineare un paio di aspetti che mi distanziano dalle parole di coloro che mi hanno preceduto negli interventi di questa mattinata. Chi parla per ultimo ha lo svantaggio di dover cercare di essere il più sintetico possibile, perché la pazienza di chi ha ascoltato tanti interventi è già stata abbondantemente esercitata; dall'altra parte chi parla per ultimo ha però il vantaggio di avere presente tutti gli interventi che lo hanno preceduto. E di calibrare il proprio in relazione ad essi. Cercherò di fare entrambe le cose. Adista ha nei confronti di papa Bergoglio l'atteggiamento che ha avuto nei confronti di tutti gli altri papi, ossia l'atteggiamento critico e autonomo che sempre bisogna avere nei confronti di ogni forma di potere.

Detto questo, le mie perplessità su questo pontificato nascono dal fatto che, al di là delle sue parole d'ordine, spesso assolutamente condivisibili, Bergoglio non ha potuto (secondo me piuttosto “voluto”) toccare i nuclei fondamentali degli assetti del potere clericale. A partire dalla questione della riforma della Curia e delle Finanze vaticane. Ricorderete che, anni fa, il papa disse che San Pietro non aveva una banca; eppure, a distanza di anni, su quel versante siamo ancora molto ritardo e anche recentemente è venuto alla luce un ennesimo scandalo che riguarda la gestione delle finanze vaticane, puntualmente rimbalzato sui media di mezzo mondo.

E anche quando su questo versante il papa si è mosso, lo ha fatto in maniera molto discutibile. Ricorderete che pochi mesi dopo la sua elezione, Francesco ha promosso la creazione del “C9”, ossia di un collegio di cardinali che lo assistesse nel governo della Chiesa e nella riforma della Curia. Ha poi creato un nuovo dicastero vaticano, il Segretariato per l'Economia, a capo del quale aveva messo un cardinale già allora molto discusso, l’australiano George Pell. Ora, al di là delle accuse di aver coperto quando era vescovo in Australia diversi preti pedofili, al di là dei processi che poi ha subìto per aver egli stesso compiuto abusi su minori e la severa condanna a sei anni di carcere che si è visto comminare in primo grado ed in appello; al di là di tutto questo, va però anche ricordato quanto nel 2015 aveva rivelato il libro inchiesta Avarizia, scritto dal giornalista dell’Espresso Emiliano Fittipaldi: in quel testo emergeva – carte alla mano – che Pell, colui che doveva risanare e riformare le finanze vaticane, solo per il mantenimento del proprio dicastero, per i viaggi, l’abbigliamento, la ristrutturazione del suo appartamento, ecc. aveva speso in circa sei mesi ben 500mila euro. E in gran parte per spese voluttuarie.

Ci sono poi altre questioni, meno complesse, su cui questo pontificato avrebbe potuto e dovuto fare qualche scelta di “rottura”. Ad esempio sul rapporto tra Chiesa universale e Chiese locali, sulla collegialità nella Chiesa, sul ruolo delle donne, dei laici...

Poi c’è la questione della pedofilia, su cui, al di là dei tanti proclami sulla “tolleranza zero”, poco è davvero cambiato. Faccio solo un esempio, quello del vescovo cileno Juan Barros, che nel 2015 papa Francesco nomina alla diocesi di Osorno. Tra le benemerenze di questo vescovo, già ordinario militare del Cile, c'era stata anche quella di aver celebrato i funerali di Augusto Pinochet. Ma soprattutto, era noto che Barros era il pupillo di padre Karadima, al centro in quegli anni di un enorme scandalo pedofilia. Nonostante tutto questo, il papa aveva accordato a Barros piena fiducia, rinnovandogliela anche durante il suo viaggio apostolico in Cile, nel 2017. Bergoglio, insomma, ha difeso Barros fino all’ultimo; fino a quando cioè lo scandalo non ha varcato i confini cileni per divenire una questione planetaria. Solo allora il papa – come spesso è capitato a lui e come capita alla gerarchia cattolica – ha fatto un passo indietro, ha accettato le dimissioni di Barros, ha chiesto pubblicamente scusa, ma solo quando lo scandalo rischiava di travolgere anche lui e la credibilità dell’istituzione che rappresentava. Solo allora; non prima. E c'è una registrazione del 2015, fatta durante ad una udienza in piazza San Pietro a due fedeli cilene che si lamentano per la nomina di Barros a Osorno. A loro il papa dice: «La Chiesa ha perso la libertà, lasciandosi riempire la testa dai politici e accusando un vescovo senza avere nessuna prova, dopo vent’anni di servizio. Quindi, pensate con la testa e non vi lasciate prendere per il naso da tutti i sinistrorsi che hanno messo in piedi questa cosa».

L’estemporanea dichiarazione, piena di livore e decisamente lontana dai toni di solito dolci e accomodanti di Francesco, era destinata a restare tra lui e i pochi fedeli, quelli che in quel momento avevano avuto la possibilità di sentire la parole del papa in piazza. Ma qualcuno stava riprendendo col telefonino e il video venne divulgato da Ahora Noticias, il notiziario dell’emittente televisiva privata Mega. Il papa, nel riprendere i fedeli che gli rimproveravano la sua difesa di Barros, rispondeva accusando la propaganda degli “zurdos”, “sinistrorsi” in senso piuttosto dispregiativo. Caso emblematico di come questo pontificato si muova solo quando i casi sono già esplosi, e non intervenire significa rischiare il discredito presso l’opinione pubblica. Sino ad allora il potere ecclesiastico, anche sotto Francesco, resta saldo a difesa di se stesso. E se guardiamo agli aspetti canonici, la situazione non è migliore: tuttora, nella peggiore delle ipotesi, il prete pedofilo rischia la riduzione allo stato laicale. Per chi procura l’aborto o aiuta una donna ad abortire c'è invece il rischio della scomunica.

Ancora una questione, quella dei divorziati risposati: il papa, è vero, ha toccato questo aspetto in una nota al numero 304 di Amoris laetitia. Ma la sua apertura consiste solo nel dare facoltà al vescovo di decidere l’eventuale riammissione dei divorziati e risposati al sacramento della comunione, dopo un percorso di accompagnamento e di discernimento svolto all'interno della Comunità ecclesiale. Una scelta discrezionale, non un diritto universale, quindi.

Le parole e i gesti contano, non lo discuto. È significativo e simbolico che Bergoglio abbia alloggiato a Santa Marta durante il Conclave, che abbia pagato il conto del soggiorno, che abbia deciso di rimanere a vivere lì una volta diventato papa, che vesta in maniera sobria, che predichi una Chiesa povera, ecc. Ma questo poco c'entra questo con lo sfarzo, i privilegi, le immense ricchezze finanziarie ed immobiliari della Chiesa; e nemmeno con il tenore di vita e le condotte di tanti ecclesiastici. Qualcuno potrà con ragione sostenere che sulle questioni dottrinarie il papa incontra molte resistenze da parte dei settori più conservatori della Curia e dell’episcopato mondiale. A queste persone ricordo però che la Chiesa non è una democrazia, che il papa è il vicario di Cristo in terra e che un certo margine di autonomia nel governo della Chiesa e sul magistero dovrebbe ben averlo. E comunque, posto che sul versante dottrinario sia più difficile intervenire, su altre questioni il papa avrebbe potuto e dovuto operare dei cambiamenti. Sul Concordato, ad esempio; o sui privilegi che ne discendono, dallo scandaloso sistema dell’8 per mille alla questione dell'insegnamento della religione cattolica nelle scuole di ogni ordine e grado, dalla presenza dei cappellani nelle carceri e negli ospedali a quello della smilitarizzazione dei cappellani militari. Su tutto questo si poteva almeno mettere in piedi un processo di discussione dentro la Chiesa.

Va bene, ma il papa – ci è stato ricordato questa mattina – ha mostrato grande grande apertura nei confronti delle altre religioni. Benissimo, sono d’accordo: resta però sempre in vigore l’Istruzione Dominus Iesus, documento del 2000 firmato da Ratzinger e benedetto da papa Wojtyla che afferma che quello di “Chiese sorelle” è una espressione il cui uso va fortemente limitato. Non sono certo “sorelle” le Chiese riformate. Tra le Chiese cristiane lo è solo la Chiesa ortodossa. E comunque, afferma quel documento, fuori dalla Chiesa di Cristo non c'è salvezza.

Detto questo, tutti i gesti del papa vanno benissimo, tutte le parole a favore dei migranti, degli esclusi, degli emarginati sono importanti, certamente questo pontificato ha consentito uno spazio di discussione ecclesiale che prima non era nemmeno immaginabile. Però io di “rivoluzionario” non vedo nulla e i documenti ufficiali restano sempre quelli del passato e restano sempre legati alla visione di Chiesa tridentina che non pare sia molto cambiata.

In questo senso rivendico la necessità di un atteggiamento vigile e critico. Dell’opinione pubblica, ma prima ancora da parte di chi fa informazione. Anche se questo crea a volte problemi con i lettori e con i colleghi.

Per me l’esercizio critico resta fondamentale; non perché uno debba avere simpatia antipatia per un papa per l'altro, ma perché bisogna fare il proprio mestiere di informazione andando dietro alla verità effettuale, non all’immaginazione di essa. Ci piacerebbe che la Chiesa fosse un'altra cosa; in realtà nella maggior parte dei casi la Chiesa è una realtà mondana ancora molto controversa e contraddittoria.

Infine, la memoria è anche volontà e desiderio di trasformazione. Non è detto infatti che anche chi affronta la realtà con spirito critico e analisi rigorosa non abbia questo desiderio di cambiamento. La passione per l’umanità e per la giustizia (passione che per la verità anche Machiavelli esprime nel suo Principe, al cap. XXVI). Si può essere contemporaneamente rigorosi ed appassionati. Adista cerca di esserlo, tenendo sempre fermi i due capisaldi – il Vangelo, il Concilio e la Costituzione – che hanno caratterizzato questi primi 50 anni della sua vita.

Le resistenze quali sono sono tre. Nella Chiesa questa resistenza è rappresentata dal rapporto spesso dialettico tra la legge e l'amore. La legge è importante, perché regola i rapporti tra le persone, non solo in senso giuridico. Ma la legge deve essere accompagnata dall'idea che tutto progressivamente si trasforma e l'amore è forza trasformatrice, perché è la forza che spinge a migliorare l’umanità rendendola più fraterna, “amorizzandola”, utilizzando un’espressione di Teilhard de Chardin spesso citata da Arturo Paoli (Amouriser le Monde). Storicizzare i processi, non fissarli in modo rigido, adeguare le norme ai tempi che cambiano. Nell’impegno politico la maggiore difficoltà che ci troviamo a fronteggiare è quella di fare memoria, di ricordare ciò che è accaduto in passato a persone che non vogliono ricordare, semplicemente perché il passato è scomodo, rappresenta un intralcio rispetto a ciò che si vuole realizzare nel presente. La realtà contemporanea ce lo racconta in modo efficacissimo: esponenti politici, movimenti e partiti che si detestavano francamente, che scrivevano su Twitter su Facebook che non avrebbero mai preso nemmeno un caffè insieme, che si insultavano quotidianamente, oggi invece vanno a braccetto, governano assieme, stipulano inedite alleanze. La mancanza di memoria è funzionale al fatto per tutto deve essere immediatamente realizzabile in virtù della opportunità cinica e spregiudicata che la mobile realtà politica impone.

Guai a ricordare! C'era in passato un’opinione pubblica nella Chiesa e nella società che oggi fa fatica a ricomporsi; e che ricordava e non consentiva certe operazioni spregiudicate. Ci sono oggi teologi, prelati, intellettuali, opinionisti che non fanno che incensare questo pontificato; ma io ricordo quello che queste stesse persone hanno scritto fino a qualche anno fa, esaltando il pontificato di Ratzinger, o tacendo su tutto ciò che quel pontificato produceva; e rimango perplesso... e penso che se nella Chiesa ci fosse un’opinione pubblica, essa rimprovererebbe a queste persone ciò che hanno detto o che hanno taciuto in passato. Del resto, se ai nostri politici non rimproveriamo nemmeno più quello che hanno detto qualche mese fa è difficile ci si possa aspettare che in altri contesti ci sia una memoria più critica e vigile.

Quindi memoria è anche resistenza rispetto alla deriva che la realtà odierna ci propone. Fedeltà al passato e ansia di trasformazione. La memoria tende alla conservazione, ma se è guidata dall’amore spinge alla trasformazione. E poi la nostra religione parla di un Dio che si è incarnato, che si è fatto storia e che quindi, se si è incarnato, ha accettato, fino a farla diventare carne, l'idea che tutto è storia, tutto è trasformazione.

Noi siamo un giornale fatto di persone che continuano a incontrarsi in un luogo reale, a discutere, a fare un continuo esercizio di confronto. Facciamo un giornale con una linea abbastanza chiara, ma che presenta punti di vista e delle sensibilità diverse. Io, che sono critico rispetto a questo pontificato, non ho nessun problema a confrontarmi con chi ha una visione più positiva dell’attuale fase della Chiesa. Un giornale propone al suo interno il confronto e poi apre il confronto anche con i propri lettori. È attraverso esso che ciascuno di noi esce da un territorio fatto dalle proprie convinzioni e cerca di mettersi in ascolto, col desiderio di trovare delle sintesi che costituiscano dei passi in avanti. Mi sono più volte chiesto se una testata come Adista dentro un mondo dell'informazione come quello odierno abbia ancora un senso. E mi sono risposto di sì; e non credo sia solo per il desiderio di conservare il mio strapuntino. Ma perché ritengo siano ancora più essenziali di un tempo i luoghi – sempre più rari – di elaborazione, dibattito, analisi critica, proposta. L'ultimo aspetto della memoria che affronto lo faccio nella prospettiva della mia attività di insegnante: mi trovo spesso a scontrarmi con il tema della memoria, perché mi trovo di fronte a studenti che sono molto impauriti dall’esercizio della memoria critica, dal riflettere su ciò che è stato detto, scritto e realizzato nel passato; questa paura deriva dal fatto che la memoria stimola un pensiero critico, a riflettere in maniera diversa e da una prospettiva diversa sulla realtà che ai miei studenti viene spesso presentata come piatta, ma che è invece complessa, articolata e contraddittoria. Ciò che è complesso spaventa sempre, ma riusciamo a vivere in maniera consapevole solo se conosciamo; e conosciamo veramente solo se sappiamo distinguere; e sappiamo distinguere solo se poi alla fine facciamo delle scelte. Quando questo processo si realizza negli studenti – e accade ormai raramente perché la scuola, come la società tutta è un territorio di grandi sconfitte e di poche speranze – quando questo si realizza i semi della coscienza germogliano e questo è una grande soddisfazione, perché uno dei sensi più alti della vita – almeno tra quelli che ho sinora trovato io e che perseguo come giornalista e come insegnante – è quello di mettermi in relazione con gli altri per aiutare me stesso e gli altri a crescere, a capire, a maturare coscienza critica; a fare scelte consapevoli.  

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