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PRIMO PIANO. L’opera immane

PRIMO PIANO. L’opera immane

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 2 del 18/01/2020

L’iniziativa di cui il blog “Chiesa di tutti, chiesa dei poveri” ha dato notizia ai primi dello scorso dicembre, “La storia continui – Appello-proposta per una Costituzione della Terra”, non nasce come improvvisazione di sognatori di professione, ma come ovvio sbocco di un lungo cammino di ripensamento evangelico sul nostro destino di uomini e cristiani anche nei tempi grigi del “riflusso” ecclesiale e dell’incancrenirsi della politica.

Non mi soffermo su questo terreno di resilienza in nome del Vangelo. Basti dire che nell’ultimo decennio, si temeva di affogare e si prese coscienza che era venuta l’ora di scuotere la cenere. Giuseppe Ruggieri organizzava incontri già nel 2010 su “Il Vangelo che abbiamo ricevuto”. Un gruppo di amici (credenti e non credenti)  attorno a Raniero La Valle faceva suo il grido di Giovanni XXIII «La Chiesa vuole essere la Chiesa di tutti la Chiesa dei poveri», in un ciclo di incontri autoconvocati. Si ebbero quattro assemblee nazionali in occasione dei 50 anni dal Vaticano II, dal 2012 al 2015. Quella vasta iniziativa di base, in controtendenza rispetto al clima ecclesiale di allora, si chiamò “Chiesa di tutti Chiesa dei poveri”. Ricordo bene quelle prime assemblee. Si era tutti come in attesa di trovare qualche indizio per scoprire una goccia d’acqua tra la dura roccia, rivelatrice che la sorgente non si era esaurita. Si era come a custodire le deboli fiammelle di ciascuno, piuttosto minacciate dal buio istituzionale e dal pratico abbandono delle prospettive conciliari.

Poi viene, irrompe come vescovo di Roma Francesco. Con lui ritorna il Concilio, il Vangelo come norma della Chiesa, un cammino di gioiosa speranza e di riscoperta del volto di Dio e del Suo Verbo fatto carne. All’inizio del pontificato, dinanzi a una platea di 6.000 giornalisti, il papa svelò il suo programma con parole altamente evocative: «Come vorrei una Chiesa povera per i poveri!».

La povertà e i poveri di cui parlava erano luoghi molto concreti, storici, fatti di carne e sangue, di lotte e speranze, ma insieme “luoghi teologici” che rivelavano il Mistero Santo della vita, le immense chiamate del “Dio-connoi” in una epoca dove al Dio della vita si era sostituito l’idolo del denaro-potere-possedere.

Dono inaspettato di Francesco fu Evangelii gaudium, il suo programma, e poi, Laudato si’. In questa “esortazione apostolica” – come è noto – tra i “poveri” appare esplicitamente la Terra che geme sotto il peccato di coloro che genera e nutre. Donne oppresse, Terra oppressa, poveri oppressi diventati scarti di produzione, Vita a rischio di estinzione per guerre “infinite” e “preventive”, diventavano il “luogo” dove scoprire la volontà e lo stesso volto del Padre.

Ricordo che “ci sembrava quasi di sognare”. Possibile che quanto avevamo atteso e difeso trovando tra le pieghe di un magistero conservatore qualche appiglio di novità, ora diventava programma di un Papa e dunque voce dello Spirito che rivisitava la sua Chiesa?

Ben presto però si fu di nuovo in trincea. Molti nella Chiesa e nel mondo ebbero paura di Francesco. Molti di noi ebbero paura per Francesco, e per “mano amica”. Ma l’onda lunga del soffio dello Spirito pareva oltrepassare gli argini che per secoli erano stati i confini della Chiesa. Viene Greta Thunberg che parla di una “casa che brucia”, viene Carola Rackete che affronta la legge italiana e rimette sul tavolo il problema scottante delle migrazioni, vengono milioni di persone che gridano un “basta!” allo scempio della vita, alla politica dell’odio e della paura.

Come se navigassimo con vele gonfiate da soffi dello Spirito di Dio che ha un segno in Francesco, e da quello stesso Spirito che sorge prepotente dai cuori di milioni di creature nel mondo, ci rendiamo conto che è tempo di agire.

Per questo nasce la “Propostaappello per una Costituzione della Terra”. Adista pubblica il documento nella sua interezza, nel n. 1 di questo nuovo anno. A me preme sottolineare solo qualche aspetto personale.

Se anche come prete ho accolto quanto veniva fuori dai nostri incontri, e dunque ho aderito all’avventura che si prospettava, lo attribuisco alla percezione chiara di una situazione globale di nonsalvezza in cui versa il mondo e l’umanità intera, e della enormità del peso insopportabile di macerie che nei cuori umani sopprimono la stessa possibilità di un Dio annunziato da Gesù.

È stato rassicurante per me che “Costituzione della Terra” non significava “Governo della Terra”, “Partito per la Terra”. Soggetto costituente è il popolo, i popoli, prima ancora che le nazioni. È il popolo degli oppressi che non sono “nazione”, gli esuberi, gli scarti, tutti coloro che oggi sono sotto il tallone dei potenti. La proposta infatti si configura come “movimento”, non come un ennesimo partito che vuole giungere al potere. Ai partiti riconosciamo il ruolo insostituibile che hanno nei regimi democratici, per questo pensiamo necessario influenzarli perché si adoperino per il bene comune oggi individuato nella necessità di essere dalla parte della Terra per essere sua voce, dato che essa è madre offesa e senza voce.

Infine, sono convinto che qui si chiede un cambio assiale, non uno spostamento di qualche pedina sullo scacchiere internazionale. Cambio assiale teologico, antropologico, economico, industriale, ecc. Si tratta di un’opera immane e sarebbe ridicolo pensare che si possa agire da soli. Questa opera è compito di una umanità che assieme alla Terra oggi «geme ed attende». E primo punto di riferimento sono quegli uomini di buona volontà diffusi in tutto il mondo, quei cenacoli di pensiero e di azione che sono sensibili al problema.

Mi pare sia doveroso concludere ribadendo una nostra convinzione. Ci siamo detti – cito a memoria – che tutta l’iniziativa parte da una idea o ipotesi: il tempo non si è fermato, il progresso storico non è ricacciato indietro dalla tempesta della crisi. Nonostante tutto, «viene un tempo nuovo ed è questo ». Un “tempo nuovo” offerto ad ogni uomo che ritiene indispensabile lasciargli aperto un varco, anche un piccolo varco, perché possa manifestarsi.  

Felice Scalia è gesuita a Messina  

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