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Finanza etica. Questione di giustizia

Finanza etica. Questione di giustizia

Tratto da: Adista Segni Nuovi n° 4 del 01/02/2020

Qualche passo nella direzione giusta è stato fatto, ma è ancora lungo il cammino da percorrere in materia di Finanza etica, dell’economia sostenibile, attenta più all’uomo che al profitto. E su questa strada diventa fondamentale ravvivare il dialogo con la Fede che sull’argomento ha fornito, negli anni, precisi riferimenti.

A offrire interessanti spunti di riflessione in tal senso il quarto appuntamento di “Maieutiké, tra Cielo e Terra”, dedicato al rapporto tra Fede e Finanza etica, che si è tenuto lo scorso 9 gennaio a Catanzaro. La rassegna culturale, promossa dall’Arcidiocesi Metropolitana di Catanzaro-Squillace e da Entopan Smart Networks & Strategies, ha avuto come ospiti Ugo Biggeri, presidente di Etica Sgr, Società di gestione del risparmio del Gruppo Banca Popolare Etica, e Giuseppe Di Francesco, presidente di Fairtrade Italia, con i quali a margine dell’evento abbiamo approfondito alcuni temi.

Oggi si parla sempre più diffusamente di Finanza etica mentre in passato il concetto di etica, accostato alla parola finanza, era un ossimoro: cosa rende etica la finanza ed equo il commercio?

Biggeri: Ciò che rende etica la finanza è la valutazione dell’operato della Finanza stessa nelle sue attività prevalenti. Per una banca è fare credito, per una società di gestione risparmio è fare investimenti. Ci sono banche o società di gestione dei risparmi che dicono di avere bassi impatti perché nei loro uffici usano la carta riciclata e spengono le lampadine, però l’attivo di bilancio lo fanno sui crediti o sugli investimenti. Per stabilire se si fa finanza etica si deve compiere una valutazione sociale-ambientale sui propri attivi di bilancio, quindi crediti o investimenti.

Di Francesco: Commercio equo significa stare nel mercato, all’interno delle regole del mercato. Fairtrade, marchio di certificazione internazionalmente riconosciuto, nasce per ridurre le ingiustizie del commercio attraverso l’introduzione di pratiche di scambio più eque lungo la filiera che porta il cibo, dal campo allo scaffale e poi dallo scaffale alla tavola. Il potere degli attori che partecipano a questa filiera è fortemente squilibrato. I più deboli sono i produttori, cui spesso va una parte molto piccola del valore che si costruisce lungo la filiera. Noi lavoriamo su un sistema rigoroso di standard, di disciplinare di certificazione, che garantisce che il produttore venga pagato un prezzo equo, tale da coprire i costi e offrire un salario dignitoso ai lavoratori.

Come distinguere la sostenibilità reale da operazioni di mera facciata?

Biggeri: Dietro la Finanza etica c’è la domanda di chi vuole sapere dove sono i risparmi, come vengono impiegati. Le banche non tengono i depositi in cassaforte, li investono. Per dare una risposta a questa domanda ci vuole un po’ di trasparenza, di disclosure, quindi bisognerebbe guardare le politiche del credito di una banca o di una società di investimento. Purtroppo su questo oggi c’è poca trasparenza. Se un consumatore vuole sapere cosa fanno le banche l’unico dato, sempre più addolcito, è quello relativo alla legge 185 del ’90 che costringe gli istituti di credito ad essere trasparenti quando finanziano il commercio delle armi. La stessa trasparenza non esiste se ne finanziano la produzione, perché in quel caso non c’è l’obbligo di disclosure. Bisogna inoltre verificare che non ci sia solo l’esposizione di belle pratiche e capire che ruolo giochino gli investimenti sottoposti a valutazioni sociali e ambientali. Da questo punto di vista Banca etica ha voluto essere dirompente perché è la prima banca al mondo, l’unica in Italia, che sul proprio sito web pubblica una mappa su cui sono indicati tutti i finanziamenti alle persone giuridiche. Quindi ognuno può andare a vedere dove, cosa, quando finanziamo.

Di Francesco: Il nostro ruolo di apripista è stato fondamentale, abbiamo percorso fasi storiche in cui l’attenzione alla sostenibilità era assai meno raccontata di oggi. Dobbiamo però chiedere agli altri player di giocare lealmente la partita perché vogliamo cambiare il modo di fare economia. Due gli approcci: trasparenza e misurabilità. In Fairtrade ci sono disciplinari da rispettare e sono disponibili on line. Ma come misuriamo gli impatti dell’azione sostenibile? Finché la sostenibilità rimane la medaglietta o il racconto all’interno di un report di sostenibilità delle aziende non stiamo andando nella direzione utile a superare le diseguaglianze. Dobbiamo portare la sostenibilità all’interno del business model, nelle meccaniche di funzionamento dell’azienda.

Da un punto di vista legislativo come è disciplinata l’economia “sostenibile”?

Biggeri: Negli anni recenti sono stati inseriti due articoli nel Testo unico bancario, l’art. 111 sul microcredito e il 111 bis sulle banche etiche e sostenibili. Se da un certo punto di vista questo rappresenta un riconoscimento fondamentale – l’Italia è uno dei pochi Paesi ad avere norme ad hoc – dall’altro bisogna dire che l’articolo sul microcredito ha colto solo gli aspetti legati più all’assistenza sociale che alla microimprenditorialità. Quindi ha relegato il microcredito a un ambito molto più vicino al volontariato che all’attività di intermediazione finanziaria. Per questo i principali operatori italiani del microcredito non hanno scelto di classificarsi secondo l’art. 111 del Testo unico bancario. Il 111 bis è fatto bene, ma dà degli incentivi assolutamente irrisori. Quindi la politica si è accorta dell’esistenza della finanza etica ma, più in generale, non è ancora considerata una modalità diversa di fare finanza. Ci sarebbe bisogno di cambiare un po’ di regole, in maniera tale che in futuro ci siano meno derivati e più crediti alle imprese.

Di Francesco: Il lavoro sulla tassonomia della finanza sostenibile, che doveva essere elaborato entro la fine del 2019, è stato rinviato al 2022 perché ci sono contrasti su cosa si possa definire finanza. Dobbiamo fare in modo che il regolatore normi correttamente, quindi dobbiamo pretendere che lo Stato intervenga, faccia la sua parte e ci sia anche un’azione di spinta che vada nella direzione giusta. Nella passata legislatura era stata avviata una proposta di legge di definizione e promozione di commercio equo che era stata approvata alla Camera, poi era passata al Senato ma la legislatura si è chiusa senza l’approvazione della legge. L’attenzione del legislatore, anche sul commercio equo, non si è concretizzata.

Che rapporto ci può essere tra fede e Finanza Etica?

Biggeri: La Fede si è sempre interessata di temi finanziari, le prime banche sociali sono nate all’interno del movimento francescano. Probabilmente va recuperato questo rapporto, perché negli ultimi 150 anni la Finanza è diventata una scienza a sé stante, che sembra poter fare a meno delle componenti etiche, sociali e ambientali. E se la politica ha balbettato su questi temi, la Chiesa ha sempre fornito e continua a fornire riferimenti certi. L’enciclica Laudato si’ parla di efficienza, non applicata al ritorno monetario, ma in relazione agli impatti sociali e ambientali. Papa Francesco dice che possiamo fare finanza non risolvendo un’equazione in cui l’unica variabile sia il profitto ma inserendo altre variabili: il sociale, l’ambientale. Il documento della Congregazione per la dottrina della Fede mette un punto chiaro: la non speculazione. Proviamo a immaginare cosa sarebbe la Finanza senza l’azzardo e la speculazione: quindi la Fede ci indica qualcosa di totalmente diverso. O non ce ne rendiamo conto o ci fa paura metterlo in atto.

Di Francesco: Dobbiamo ragionare di giustizia e non di bontà, non si tratta di restituire una parte di quello che abbiamo guadagnato non è un to give back. Il commercio equo non è filantropia, non è bontà ma è giustizia. Bisogna riconoscere, a chi ha prodotto, il giusto compenso per il lavoro svolto, e il lavoro deve garantire condizioni di vita dignitose. In questo rapporto tra commercio ed etica il ruolo della Chiesa può fare la differenza. Il commercio equo oggi è molto accompagnato dai movimenti religiosi. Caritas in veritate e Laudato si’ contengono tantissimi punti di riferimento che ci possono aiutare a posizionare il modo in cui approcciamo questi temi.

Giornalista, Barbara Malarico ha lavorato come vicedirettore per il Corriere della Calabria, settimanale d'inchiesta e quotidiano online

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