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Quale ecumenismo

Quale ecumenismo

Newsletter n. 179 del 24 gennaio 2020



ieri 23 gennaio si sono svolti nel Duomo di Mestre i funerali di Maria Vingiani, storica promotrice del cammino e del pensiero ecumenico in Italia, pioniera dell’incontro tra cristiani di Chiese sorelle, tra cattolici ed ebrei e poi anche tra persone di religioni diverse. La ricordiamo con particolare affetto perché sicuramente Maria Vingiani con il suo Segretariato Attività Ecumeniche (SAE), con le sue sessioni estive a La Mendola, a Camaldoli, a Napoli, ad Assisi, sta nella genealogia di questa nostra comunione chiamata Chiesa di tutti Chiesa dei poveri. Noi la ricordiamo quando, all­'inizio del Concilio,  da Venezia insieme a don Germano Pattaro venne a Bologna all'Avvenire d'Italia per proporre l'iniziativa, allora rivoluzionaria, di dare avvio ed impulso all'impresa dell'ecumenismo in Italia, cosa che appunto avvenne col SAE.

Maria Vingiani è venuta a mancare dopo una vita meravigliosa anche se sofferente, all'inizio della Settimana di preghiera per l'unità dei cristiani, in un momento difficile per l'ecumenismo, che sembra aver perso nella nostra Chiesa l’impeto originario e si sta assestando in una sorta di normalizzazione in cui il vero dialogo ristagna. C'è infatti una contraddizione, perché mentre da parte di papa Francesco si moltiplicano scelte e gesti di grande forza anche simbolica sulla via della comunione ecumenica ed interreligiosa (fino alla novità di associare ai suoi viaggi apostolici i massimi esponenti di altre confessioni, come farà nel prossimo viaggio in Sud Sudan con il primate anglicano Welby), sul piano istituzionale il processo sembra in pausa e l’approdo appare lontano. Ciò dipende anche dal fatto che mentre si cerca un’unità tra le confessioni, queste si dividono al loro interno: nell’Ortodossia si è aperto un grave conflitto tra le Chiese associate al Patriarcato di Mosca e quelle legate al Patriarcato di Costantinopoli, nella confessione anglicana ci si divide sui ministeri e sull’episcopato femminile, nella stessa Chiesa cattolica si annida una sorda opposizione al luminoso magistero di papa Francesco, nell’Islam ci si divide sulle pulsioni settarie e violente, nell’ebraismo permane l’ostacolo dell’irrisolto intreccio tra il messaggio universale e salvifico del popolo della Torah e il sionismo politico dello Stato israeliano che non fa vivere i palestinesi.

Può darsi che tutto ciò sia il segnale che l’ecumenismo come è stato vissuto finora - e nella Chiesa cattolica a partire dal Concilio Vaticano II - ha dato i suoi frutti e non può andare molto più in là: il conseguimento dell’unità piena è storicamente fuori della sua portata e la stessa intercomunione, non tanto a livello di fedeli (dove già si pratica) ma a livello di Chiese, allo stato attuale della teologia e delle culture religiose sembra molto lontana se non improbabile. Ma poiché l’ecumenismo e il rapporto interreligioso sono certamente nel piano di Dio, di un Dio riconosciuto non più geloso delle scelte dei suoi figli, forse è il caso di pensare che siamo a un cambio di paradigma: continuerà senza dubbio a svolgersi un ecumenismo a vari livelli, ma quello da far proprio fin d’ora, nella storia e nella vita, non è tanto quello del mito dell’unità organica (secondo una «suicida» interpretazione fondamentalista dell’evangelico «un solo ovile e un solo pastore»), ma è quello dell’accoglienza reciproca e dell’«armonia delle differenze» proclamate nel documento di Abu Dhabi di papa Francesco e dell’Imam di Al-Azhar sulla «fratellanza umana»; forse i suoi figli Dio li vuole anche anglicani con le donne vescovo, luterani con la Santa Cena e ortodossi senza il primato giurisdizionale del vescovo di Roma.

Nel sito pubblichiamo un commosso ricordo di Maria Vingiani del presidente della CEI, cardinale Bassetti, e anche uno dell’Osservatorio interreligioso sulle violenze contro le donne, nonché un ammonitore messaggio alla giornata di mobilitazione per la pace del 25 gennaio da parte dei manifestanti di piazza Tahrir, a Bagdad.

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