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Un libro racconta l’utile menzogna dell’inferno e dell’eternità delle sue pene

Un libro racconta l’utile menzogna dell’inferno e dell’eternità delle sue pene

Tratto da: Adista Notizie n° 12 del 28/03/2020

40195 ROMA-ADISTA. La questione dell’esistenza dell’inferno, e delle sue terribili punizioni, caratterizza da secoli il dibattito all’interno e all’esterno del mondo cattolico. Per secoli la dottrina dell’inferno ha costituito un punto cardine dell’insegnamento della Chiesa, formando l’immaginario (spesso funestato da terribili angosce) di miliardi di credenti, dall’età antica ad oggi. Dal Concilio in poi, il progressivo spostamento dalla concezione religiosa di Dio, da inflessibile giudice a padre misericordioso, ha portato a rivedere la tradizionale narrazione delle pene infernali. Oggi, per diversi vescovi e teologi, l’inferno è pressoché vuoto, per altri resta una tragica possibilità. Per tutta la Chiesa istituzionale, comunque (basti come riferimento il n. 1035 del Catechismo della Chiesa Cattolica), l’inferno esiste eccome.

La menzogna dell’inferno. Contro la concezione dell’eternità delle pene infernali è il titolo di un libro (2020, edito da Efesto – singolare esperienza di un libraio editore in Roma –, pp. 332, 16€; il libro può essere richiesto anche ad Adista, tel. 06/6868692; email: abbonamenti@adista.it) a metà strada tra il pamphlet e il saggio filosofico scritto da Roberto Fantini, saggista e insegnante di Storia e Filosofia, da tempo impegnato nel campo dell’educazione ai diritti umani all’interno di Amnesty International (il suo nome è talvolta comparso anche in calce ad interventi pubblicati sulle pagine di Adista).

L’approccio di Fantini al tema è radicale. L’autore afferma infatti che sulla dottrina dell’inferno, ossia su una «morale immoralmente centrata sul binomio punizione-premio», «è stato eretto un edificio di menzogne, un accecante ginepraio di cecità intellettuali e morali. Su questa dottrina si è fondato il più potente sistema di annientamento della libertà di pensiero, della libertà di coscienza e della libertà di fede». Soprattutto, «ne paghiamo ancora (e ne pagheremo ancora molto a lungo) le conseguenze».

La ricerca condotta nel libro sembra strettamente legata all’interesse dell’autore per la giustizia ed i diritti dei più emarginati, i carcerati, i condannati, gli esclusi di ogni genere. E infatti, afferma Fantini, «il credere che un Dio, Padre Creatore, il suo stesso figlio, l’intera comunità dei santi potessero eternamente vivere, immersi nella condizione di felicità assoluta, mentre i dannati verrebbero condannati alle sofferenze eterne, ha prodotto la più radicale svalutazione della compassione, ha legittimato la società del privilegio, la società delle élites, il rifiuto dell’empatia, del sentimento della solidarietà. Ha creato una psicologia personale e collettiva indecente, un modo di pensare, di sentire, di essere impermeabilizzati alle sofferenze di chi “merita” di soffrire (del proprio prossimo, cioè, non più classificato come tale!)».

Fin qui il pamphlet. Ma nel libro c’è anche una corposa sezione – composta di brevi capitoli – che affronta, analizza, discute, sostiene o confuta la posizione sull’inferno di importanti teologi, intellettuali ed esponenti cattolici, da Origene a Giovanni Papini; da Agostino ad Alfonso Maria de’ Liguori; da Paolo Segneri a Pio XII.

In particolare, in Origene, Fantini individua il modello teologico che avrebbe potuto dare alla Chiesa uno sviluppo diverso, se egli non fosse stato condannato ed emarginato dopo la sua morte, aspramente criticato soprattutto da Agostino (definito dall’autore «spietato teorico dell’eterno supplizio»). Fu Origene, infatti, ad avversare «con lucida fermezza logica e argomentativa la concezione delle pene infernali, proponendo in alternativa, il concetto di apocatastasi, a cui continueranno a riferirsi tutti coloro che, fino ai nostri giorni, riterranno inaccettabile il credere nell’Inferno». L’apocatastasi significa “restaurazione finale”, viene teorizzata da Origene nell’opera Periarchon, più nota con il titolo latino di De Principiis in cui tratta del “ritorno di tutte le cose all’Uno”. Si parte dal pensiero tipicamente neotestamentario, secondo cui Dio è “bontà” che si manifesta in primo luogo nell’Incarnazione. L’opera redentrice di Cristo, per Origene, è compiuta a favore dell’intera umanità, senza esclusione. Origene interpreta in maniera allegorica molteplici passi del Nuovo Testamento, giungendo alla conclusione che per ogni uomo la morte è solo una forma di “penitenza”. E l’espiazione dopo la morte è transitoria. Nella “restaurazione finale” di tutte le cose, gli spiriti non potranno essere dannati eternamente, anche quelli che hanno smarrito la perfezione iniziale saranno destinati ad acquisirla nuovamente. Tutti. Nessuno escluso.

Per Fantini, solo quando le immagini di Dio e dell'aldilà saranno liberate dal pensiero atroce di pene infernali senza possibilità di perdono e di redenzione, l'umanità, finalmente rigenerata, saprà mettere al centro del proprio avvenire i valori dell'amore e della misericordia. A quest’ultimo concetto – quello di misericordia – Fantini collega una riflessione sul magistero di papa Francesco. Che, scrive, «in numerose circostanze si è prodigato nel tessere l’elogio della misericordia ponendo con sistematica insistenza tale concetto al centro delle sue meditazioni e predicazioni ». La tesi fondamentale sostenuta dall’attuale pontefice è «che la misericordia di Dio non potrà in nessun caso essere vinta dal peccato dell’uomo». Affermazioni che dovrebbero portare come necessario corollario il superamento della concezione dell’inferno. Invece no. Se la «mossa rivoluzionaria » di Bergoglio «sta nel ribaltare i rapporti di gerarchia tra giustizia e misericordia» e se Bergoglio è stato anche il primo papa totalmente e fermamente ostile alla pena di morte (che però, è bene ricordare, resta come possibilità nel Catechismo) il papa non pronuncia «un altrettanto fermissimo no alla concezione della dannazione eterna, dichiarandola scritturalmente infondata e dottrinariamente insostenibile», rinnegando Agostino e riabilitando Origene. Sarebbe la vera rivoluzione, «il punto di approdo culminante e assolutamente necessario del processo cultura avviato dal Concilio Vaticano II».

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