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Lo Yemen allo stremo: la minaccia della pandemia dopo 5 anni di bombe e colera

Lo Yemen allo stremo: la minaccia della pandemia dopo 5 anni di bombe e colera

Tratto da: Adista Notizie n° 13 del 04/04/2020

40199 ROMA-ADISTA. Nella notte tra il 25 e il 26 marzo 2015 una coalizione militare guidata dall’Arabia Saudita – e composta da Egitto, Marocco, Giordania, Sudan, Kuwait, Emirati Arabi Uniti, Qatar e Bahrein – iniziava a bombardare lo Yemen in appoggio al governo del presidente Abd Rabbuh Mansur Hadi, ribaltando le sorti di un colpo di Stato che lo vedeva deposto e in fuga dalle forze d’opposizione sciite degli Huthi, vicini all’ex presidente Ali Abdullah Saleh, che controllavano la capitale Sana’a e si apprestavano ad occupare anche Aden e a conquistare così il potere. Al di là delle questioni interne, il più povero Paese della regione diventava il teatro della secolare rivalità tra sunniti e sciiti e, più precisamente, dello scontro per il potere in Medio Oriente tra Arabia Saudita e Iran. Sulla pelle della popolazione civile yemenita.

A 5 anni dall’inizio dei bombardamenti, nonostante le speranze generate dagli accordi Onu siglati a Stoccolma il 13 dicembre 2018 (https://bit.ly/39gYLnT), ancora oggi la crisi in Yemen non sembra avviarsi a conclusione e, anzi, nel corso di febbraio, i bombardamenti sono proseguiti con maggiore intensità, soprattutto nelle zone settentrionali del Paese.

Per raccontare i 5 anni di questa guerra, “dimenticata” seppur cruciale per gli equilibri globali, basterebbe elencare i numeri del disastro umanitario che numerose organizzazioni non governative continuano a diffondere. In un appello dell’organizzazione umanitaria italiana Intersos diffuso il 24 marzo scorso, per esempio, si parla di «250mila vittime, di cui oltre 100mila morte nei combattimenti e 130mila a causa di fame e malattie acuite dal conflitto». Si parla anche di «oltre 3 milioni di sfollati interni» che «si sono spostati per raggiungere luoghi più sicuri, ma ora sono allo stremo».

Tra guerra ed epidemie

Guerra, fame, malattie, migrazioni forzate, piogge torrenziali: Oxfam, in un comunicato emanato il 24 marzo, a due giorni dal quinto anniversario dell’inizio dell’intervento saudita, agita lo spettro di una «catastrofe irreversibile». In Yemen, il conflitto ha provocato un’accelerazione fuori controllo dell’epidemia di colera, che in questi ultimi cinque anni ha registrato 50 contagi ogni ora (circa 2,3 milioni di casi totali). Oggi, poi, sul Paese si allunga l’ombra invisibile del coronavirus, che minaccia tutta la regione, ma che nello Yemen devastato dalla guerra dovrà essere affrontata da un sistema sanitario ridotto allo stremo. Sono solo la metà, infatti, gli ospedali ancora funzionanti, scampati ai bombardamenti della coalizione a guida saudita (l’Oms parla di 142 attacchi contro strutture sanitarie negli ultimi 5 anni).

«Se in Italia il coronavirus sta provocando la più grave emergenza sanitaria ed economica dalla fine della Seconda guerra mondiale – lancia l’allarme Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia – non riusciamo davvero ad immaginare le conseguenze del contagio in un Paese distrutto e poverissimo come lo Yemen». Per il Paese si tratterebbe dell’ennesima strage, che andrà ad aggiungersi a quella già provocata da guerra, fame e colera. «La crisi umanitaria in Yemen», accusa Pezzati «è stata interamente provocata dall’avidità e dalla ferocia dell’uomo sull’uomo. I responsabili non sono solo le parti in conflitto, ma anche i Paesi esportatori di armamenti come l’Italia». La crisi portata al mondo dal coronavirus non deve far abbassare la guardia, conclude Oxfam, chiedendo un immediato cessate il fuoco e un pace duratura, e «questo massacro indiscriminato non può più essere ignorato dalla comunità internazionale».

Non solo Yemen; il 23 marzo scorso, il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, si è detto molto preoccupato per le popolazioni civili nei contesti di guerra, costrette ad affrontare la minaccia del coronavirus con sistemi sanitari al collasso, personale medico già stremato e un distanziamento sociale irrealizzabile nei sovraffollati campi profughi. Il Covid-19 è un «comune nemico» che attacca tutti indistintamente, senza distinzione di fede, etnia o interessi, spiega Guterres chiedendo «un immediato cessate il fuoco globale in tutti gli angoli del mondo». E nelle zone di conflitto «sono i più vulnerabili (donne e bambini, persone con disabilità, marginalizzati, sfollati) a pagarne il prezzo».

Chi trae profitto dalla sofferenza?

5 anni fa la coalizione a guida saudita dava il via ai bombardamenti, macchiandosi di numerose e gravi violazioni del diritto internazionale. Una dichiarazione del 24 marzo, firmata congiuntamente da Centro Europeo per i Diritti Costituzionali e Umani (ECCHR, con sede in Germania), Mwatana for Human Rights (organizzazione yemenita per i diritti umani) e Rete Italiana per il Disarmo (RID), denuncia gli «attacchi indiscriminati e sproporzionati» condotti contro la popolazione civile e le infrastrutture del Paese. «La Coalizione – si legge – ha preso di mira aree civili e strutture, comprese case, scuole e ospedali, con un impatto devastante sul sistema sanitario». La dichiarazione accusa anche quei Paesi, come Germania, Francia, Regno Unito, Italia e Spagna, che «traggono profitto» dalla sofferenza di molti, vendendo armi, munizioni e supporto logistico ai Paesi che conducono attacchi nello Yemen. In particolare, è quanto meno imbarazzante la posizione del Belpaese, che ospita la RWM Italia Spa, consociata del colosso bellico tedesco Rheinmetall AG: «Nonostante numerose evidenze sulle violazioni del diritto umanitario internazionale da parte degli attacchi aerei della Coalizione militare – denunciano gli organismi firmatari –, RWM Italia ha esportato un gran numero di bombe della serie MK80 in Arabia Saudita e negli Emirati Arabi Uniti tra il 2015 e il 2018».

Gli organismi firmatari, ricostruisce il comunicato, hanno sempre invitato Parlamento e magistratura a fare luce sulle implicazioni italiane nel massacro degli yemeniti e sulla violazione della normativa nazionale e internazionale sul commercio di armi verso Paesi in guerra. La denuncia penale depositata presso la procura di Roma nel 2018 contro la RWM e contro l’autorità nazionale che controlla l’esportazione di armi (l’Unità per le Autorizzazioni sui Materiali d'Armamento) è stata archiviata un anno e mezzo dopo dal Pm. Mwatana, Rete Disarmo ed ECCHR hanno dunque presentato appello e nel febbraio 2020 è stato finalmente nominato un giudice che seguirà il caso.

Le imprese italiane ed europee che vendono sistemi d’arma aggirando le normative comunitarie, conclude la dichiarazione congiunta, traggono profitto da questa guerra e «la stanno di fatto alimentando», contribuendo irresponsabilmente «alla peggiore crisi umanitaria del mondo». Per questa ragione «la potenziale complicità delle aziende e delle autorità statali in questi crimini deve essere investigata a fondo», anche dalla Corte Penale Internazionale.

Una giornata per l’embargo di armi

Un'ampia alleanza di organismi della società civile italiana e di una decina di Paesi Ue ricorda la prima notte di bombardamenti sullo Yemen con una Giornata di azione contro le vendite di armi europee alla coalizione a guida saudita e di porre fine alle complicità degli Stati membri nella sofferenza provocata alle popolazioni vittime della guerra. Solo tra il 2015 e il 2018 – ricorda infatti una nota del 25 marzo firmata da Amnesty International Italia, Comitato Riconversione RWM, Fondazione Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam Italia, Rete Italiana per il Disarmo e Rete della Pace – «i governi europei hanno concesso licenze per 42 miliardi di euro di armi in controvalore alla Coalizione a guida saudita, che le ha utilizzate nel conflitto dello Yemen». Dopo la pressione della società civile laica e cattolica in tutta Europa, alcuni Stati «hanno introdotto limitazioni alla vendita di armi», scatenando la reazione dell’industria bellica «sui singoli governi per giungere ad una prossima eliminazione delle restrizioni nazionali esistenti, sebbene la guerra non abbia perso nulla della sua brutalità».

A causa della pandemia di Covid-19, spiegano i firmatari della Rete Disarmo, la mobilitazione attuale si è «trasformata in una serie di proteste virtuali che vengono proposte a cittadini ed attivisti». L’obiettivo resta però chiaro: «Imporre un embargo sulle armi in tutta l'Unione europea nei confronti di tutti gli Stati membri della Coalizione guidata dai sauditi e tutte le parti in causa nel conflitto. Questo embargo non dovrebbe consentire alcuna eccezione per le licenze di esportazione già concesse o le consegne di componenti nell'ambito di progetti comuni europei. 

* L'ex presidente Ali Abdullah Saleh in una foto [ritagliata del 2013] di Glenn Fawcett tratta da wikimedia commons, immagine originale e licenza

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