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DENTRO LE MURA / 13: Il buio, il coronavirus e i social

DENTRO LE MURA / 13: Il buio, il coronavirus e i social

Dentro le mura

È qui che siamo. Tutti dentro le mura, ospiti forzati delle nostre case per il più alto bene comune, la vita: la dobbiamo proteggere da noi stessi, tutti possibili vettori di un virus che troppo spesso non perdona chi non “sa” resistergli. Costretti i nostri corpi a muoversi lungo perimetri brevi e immodificabili, sono libere le nostre menti di spaziare e sondare profondità che raramente frequentiamo, per mancanza di tempo, di silenzi, di piccole solitudini. Voli di cui ci giungono tracciati sotto forma di testi, riflessioni, lettere, e ai quali Adista apre qui un luogo virtuale perché vi facciano nido, fecondino altre menti, portino pensieri, empatie, confidenze. Il nido non ha porte. Depositate qui i vostri pensieri, li metteremo in rete. Scrivete a info@adista.it mettendo in oggetto “Dentro le mura”. Vi attendiamo!

 

La paura del buio mi ha sempre accompagnato, fin dalla mia infanzia. Strano per un non vedente avere paura del buio; ma il mio "non vedere" consiste nell'avere (ben) un centesimo di vista, che mi consente di vedere la differenza fra luce e buio, fra chiaro e scuro. E così il buio mi ha sempre spaventato. Poi, alcuni anni fa, è arrivata un'esperienza che mi ha fatto valutare le cose in maniera diversa. Si tratta di una mostra chiamata "Dialogo nel buio": un percorso nel quale i visitatori sono invitati ad esplorare e comprendere la realtà che li circonda nella più completa oscurità, e quindi senza l'uso della vista e affidandosi agli altri sensi; un percorso nel quale le guide sono, ovviamente, non vedenti. È stato grande il mio stupore quando ho scoperto che, facendo la guida in quel buio, non avevo alcuna paura. Mi ci è voluto qualche giorno per capire che avevo sottovalutato la forza di uno dei due elementi che caratterizzano questa mostra: il dialogo. Parlare, ascoltare, raccontare la mia esperienza di vita, aiutare qualcuno a superare il suo timore... tutto questo faceva sì che per me il buio diventasse un dettaglio quasi insignificante. "Il buio non è silenzio, non è solitudine..."; quante volte l'ho detto. "Il buio, il non vedere, non ci toglie la cosa più importante: la possibilità di entrare in rapporto con gli altri; anzi, forse ci spinge a cercare questo rapporto ancora di più". E tanti visitatori, facendo il percorso, sperimentano proprio con forza l'esigenza di sentire la presenza dei loro compagni di avventura. 

In questo periodo, con l'emergenza coronavirus, ci viene tolta proprio la presenza delle altre persone, la loro vicinanza, i gesti con cui, ancor meglio che con le parole, ci si può dire un affetto, un sentimento. Certo, abbiamo mille mezzi per comunicare; ma ora che viene a mancare il contatto diretto, ci accorgiamo che questi mezzi sono solo un surrogato, qualcosa che ci aiuta ma ci lascia insoddisfatti. Oggi so, meglio di quanto abbia mai saputo, che il buio che mi spaventa è in realtà la solitudine, che la luce che cerco, e che in fondo tutti cerchiamo, è il rapporto con le altre persone. Si può vivere senza vedere un bel panorama o un bel volto, per quanto tante volte pesi. Non si può vivere senza comunicare, o dovendo usare strumenti vari per parlarsi, non potendosi sfiorare, non potendo sentire la presenza dell'altro accanto a sé. E non basta sapere che l'altro c'è, e che con lui c'è un legame: quel legame va vissuto, sperimentato, confermato. Forse questa emergenza ci aiuterà a ridimensionare quei social media che troppo spesso ci sono sembrati in grado di sostituire il rapporto diretto con le altre persone. Forse scopriremo che vale di più un abbraccio che un milione di followers...

*Foto tratta da Flickr, immagine originale e licenza

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