
Papa Francesco prega per i popoli dell'Amazzonia, vittime del Covid e di un'economia predatrice
«Cari fratelli e sorelle, sette mesi fa si concludeva il Sinodo Amazzonico; oggi, festa di Pentecoste, invochiamo lo Spirito Santo perché dia luce e forza alla Chiesa e alla società in Amazzonia, duramente provata dalla pandemia. Tanti sono i contagiati e i defunti, anche tra i popoli indigeni, particolarmente vulnerabili. Per intercessione di Maria, Madre dell’Amazzonia, prego per i più poveri e indifesi di quella cara Regione, ma anche per quelli di tutto il mondo, e faccio appello affinché non manchi a nessuno l’assistenza sanitaria. Curare le persone, non risparmiare per l'economia. Curare le persone che sono più importanti dell'economia. Noi persone siamo tempio dello Spirito Santo, l'economia no».
Ieri 31 maggio, dopo la preghiera del Regina Caeli, il pensiero di papa Francesco è andato ai popoli originari dell’Amazzonia, dove i casi accertati di positività al Covid-19, in base a dati diffusi dalla Repam (Rete ecclesiale panamazzonica), sono quasi 156 mila. I morti sono almeno 7449. Le punte di maggiore criticità si registrano in Brasile (solo a Manaus i casi di contagio sono più di 12 mila), in Perù, soprattutto nella regione di Iquitos, e in Bolivia, nel dipartimento di Santa Cruz. Sull’andamento della pandemia in Venezuela, Paese scosso da una grave crisi sociale ed economica, mancano dati attendibili.
Le parole del papa fanno eco all’appello che i vescovi della fascia amazzonica condivisa da 9 Paesi sudamericani hanno lanciato una decina di giorni fa alla società civile mondiale, ai governi, alla Chiesa cattolica, a tutte le confessioni religiose e agli uomini di buona volontà, per salvare i popoli indigeni da un ulteriore genocidio, per fermare la mortifera economia di predazione e avviare politiche fondate sull’ecologia integrale.
*Foto di COICA (Coordinadora de las Organizaciones Indígenas) tratta da Pressenza, immagine originale e licenza
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