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Abusi sessuali: per una responsabilità ecclesiale condivisa

Abusi sessuali: per una responsabilità ecclesiale condivisa

Tratto da: Adista Documenti n° 29 del 25/07/2020

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Durante l'incontro dedicato alla protezione dei minori convocato dal Santo Padre in Vaticano nel febbraio scorso, nonostante l'invito chiaro risuonato in aula nelle parole introduttive del Santo Padre e negli interventi dei relatori, non sono mancati presidenti di Conferenze episcopali, i quali dicevano di non avere avviato alcuna procedura, neppure per indicare a chi rivolgersi per la segnalazione di eventuali abusi sessuali, perché nel loro territorio, a loro dire, non accadevano simili brutalità. Due presidenti, in particolare, mi assicuravano di non avere casi di abuso nei loro territori. Eppure le statistiche – sempre inadeguate a motivo del silenzio di molte vittime – ci restituiscono una situazione drammatica in quei due Paesi! Era evidente che non risultassero casi di abuso a quei presuli: del resto non avevano stabilito le vie per segnalarli e, anzi, loro stessi li negavano a priori! Con quale coraggio una vittima, che si fa mille remore prima di parlare, si rivolgerà a uomini di Chiesa che negano a priori?

L'essere presenti a questa giornata, in qualità di moderatori o delegati di associazioni laicali, movimenti ecclesiali e nuove comunità, è in sé un segno di disponibilità da parte di tutti Voi. Eppure è evidente che non basta la presenza. Occorre che ci lasciamo interpellare, che non neghiamo a priori, che ci disponiamo, con la necessaria umiltà, a imparare e a confrontarci con fiducia, senza pregiudizio, consapevoli che questo Dicastero della Santa Sede, mediante l'incontro odierno, si fa interprete delle priorità individuate dal Santo Padre a servizio della Chiesa universale e intende esservi a fianco, sostenendovi e accompagnandovi.

l. Ascolto delle vittime

Nell'assemblea universale e composita del meeting di febbraio abbiamo appreso un metodo di lavoro assai fruttuoso voluto dal Santo Padre: un metodo rigoroso, che poneva al primo punto di ogni giornata un lungo momento di ascolto delle vittime, accompagnato dall'ascolto della Parola di Dio e da minuti di silenzio.

L'ascolto delle vittime anteposto ad ogni parola e attività: un metodo a cui ci ha introdotti Benedetto XVI, il quale, sbalordendo il mondo, in occasione di diversi suoi viaggi, promosse incontri con vittime di abusi. Un metodo che anche Papa Francesco coltiva e che ci invita a fare nostro (si pensi all'incontro con otto vittime presso la Nunziatura Apostolica di Rabat il 18 aprile 2010; ad altrettanti incontri con vittime in occasione dei suoi viaggi negli Stati Uniti, in Australia, nel Regno Unito, a Malta, in Germania).

Questo iniziare ogni riflessione ascoltando anzitutto le vittime, corregge la nostra attitudine talora resistente, perbenista, volta a considerare l'abuso sessuale come un problema, un fenomeno – come diceva il prefetto – ma dimenticando le persone coinvolte, le loro famiglie, le loro vite, in cui è piantato «un seme di morte», come ci scriveva una vittima.

Questa giovane donna, che chiameremo Eleonora, membro di un'associazione riconosciuta dal nostro Dicastero, ha trovato solo dopo 20 anni il coraggio di denunciare gli abusi sessuali subiti per anni nell'associazione. Grazie a lei, altre hanno osato parlare. Tuttavia ci scriveva: «Temo soprattutto le ritorsioni... ho molta paura di espormi, ma voglio uscire dal sistema omertoso che per anni mi ha ridotta al silenzio, perché ho finalmente capito che anche il mio tacere aggrava la colpa e ostacola la verità, rendendomi complice del male e del peccato. È rischioso e molto doloroso, stando dentro l'associazione, fare questa dichiarazione, tuttavia l'amore per la verità e l'obbedienza al Santo Padre, sono al di sopra di ogni rischio personale. Sono disposta a pagare di persona per questa causa. Ecco il mio racconto!».

Eleonora narra i fatti, li situa spazio-temporalmente, non mancano i dettagli dolorosi e le parole manipolatrici che l'hanno indotta, a partire dai suoi 26 anni, ad essere vittima di abusi, senza riuscire a sottrarvisi, proprio in ragione delle manipolazioni psicologico-spirituali che il sacerdote, che ricopriva un incarico di autorità, adottava. Così racconta: «Il discorso scivolò gradualmente sul piano affettivo. [Quel sacerdote] affermò che per affrontare la vocazione erano necessari equilibrio psicologico e maturità affettiva. Altrimenti, mi disse, si rischia di cadere in una sorta di ripiegamento su se stessi e la preghiera facilmente diventa una forma di masturbazione spirituale, un modo per scappare dalla realtà... Continuò asserendo che, secondo lui, io ero impenetrabile e fredda affettivamente. Tutto il discorso era orientato a dimostrarmi che avevo bisogno di sciogliere il mio corpo, che dovevo diventare più libera e affettuosa, perché altrimenti in comunità avrei corso il rischio di diventare lesbica. Mi ripeteva che faceva questo solo per il mio bene. Come padre voleva aiutarmi a raggiungere l'equilibrio necessario per affrontare la vita di preghiera». E continua: «Mi spiegò che, anche se in questa intimità non c'era niente di male, né peccato, perché entrambi eravamo puri e non avevamo secondi fini, dovevamo mantenere il "nostro segreto": a suo dire si trattava di un'esperienza molto alta di intimità fra vergini».

L'ascolto di testimonianze come questa non è un modo per assecondare qualche curiosità morbosa, e neppure un esercizio di commiserazione, ma coinvolge la nostra onestà e comporta per noi un incontro con la carne di Cristo, nella quale sono inferte ferite che, come ha sostenuto a più riprese papa Francesco, "non spariscono mai" (Lettera al Popolo di Dio, 20 agosto 2018, n. 1).

Perciò non temiamo di accostarci all'ascolto di chi, nelle nostre associazioni, ci scomoda con notizie pur dolorose, perché in esso si realizza per noi l'incontro con il corpo di Cristo che, anche da Risorto, conserva visibili i segni della passione e morte e ci consente, come esprime magistralmente il Card. Tagle, di fare la più alta professione della nostra fede, solo se in contatto con le ferite dell'umanità (cf. Luis Antonio G. Tagle, “The Smell of the Sheep: Knowing their pain and heal ing their wounds is at the core of the shepherd's task”, in: Consapevolezza e purifìcazione. Atti dell'incontro per la Tutela dei minori nella Chiesa (Città del Vaticano 21-24 febbraio 2019), Città del Vaticano 2019, 26-27; Si veda, in proposito, anche EG, 270: «A volte sentiamo la tentazione di essere cristiani mantenendo una prudente distanza dalle piaghe del Signore. Ma Gesù vuole che tocchiamo la miseria umana, che tocchiamo la carne sofferente degli altri. Aspetta che rinunciamo a cercare quei ripari personali o comunitari che ci permettono di mantenerci a distanza dal nodo del dramma umano».

2. Perché siamo chiamati in causa come movimenti ecclesiali?

Facciamo un passo avanti. Perché dobbiamo occuparci noi oggi, come movimenti ecclesiali, degli abusi sessuali? Possiamo darci una prima risposta: ce ne occupiamo perché è un fenomeno diffuso, grave socialmente, che attanaglia molte famiglie, occorre risolverlo sviluppando strategie adeguate. Questa è una risposta ispirata a valide ragioni, che ci situano socialmente e sollecitano il nostro impegno, tuttavia né più né meno rispetto all'impegno richiesto a ciascun uomo e ciascuna donna, cattolici o no, cristiani o no. Indubbiamente incombe su di noi l'impegno, come su ogni donna e uomo di buona volontà, indipendentemente dalla sua appartenenza religiosa, confessionale, politica. Ma la ragione per noi è nel nostro essere membra della Chiesa. Se siamo membra vive, le ferite di un membro sono avvertite anche da me, mi provocano dolore. Se non avverto dolore sono amputato dal corpo, magari con la presunzione di cavarmela da solo.

In quanto battezzati, impegnati nelle nostre realtà associative ecclesiali, siamo costitutivamente membra del corpo ecclesiale, nati e destinati alla comunione. La "responsabilità ecclesiale condivisa" di cui al titolo di questa relazione, pertanto, poggia su ragioni non meramente sociali, bensì è radicata nella natura propria della Chiesa come mistero di comunione in cui nasciamo e che urge di non "amputarci" o, peggio, di non amputare mem bra scomode, in quanto ferite. Unicamente poggiando su questo fondamento battesimale, urge e acquisisce senso compiuto ogni nostra azione volta a farci carico, in nome del sacerdozio comune di cui siamo rivestiti, delle sfide legate agli abusi occorsi ai nostri fratelli e sorelle più fragili, abusi che hanno spaccato questa comunione.

È benefico, come laici, tornare sempre, con gratitudine e con inquietudine, a questa nostra appatienenza alla Chiesa come a un corpo. Ci aiutano due passaggi tratti dall'esortazione apostolica Christifideles laici: «Ora solo all'interno del mistero della Chiesa come mistero di comunione si rivela l'"identità" dei fedeli laici, la loro originale dignità. E solo all'interno di questa dignità si possono definire la loro vocazione e la loro missione nella Chiesa e nel mondo» (CL, 8).

Questa nostra appartenenza, quindi, ci attribuisce il nome e, nel nome, anche la missione che ci è affidata. La Christifideles laici, nel richiamare la nostra dignità di figli, di battezzati, che ci rende partecipi, per la nostra parte, del «triplice ufficio – sacerdotale, profetico e regale – di Gesù Cristo», si sofferma sulla partecipazione all'ufficio profetico di Cristo che «abilita e impegna i fedeli laici ad accogliere nella fede il Vangelo e ad annunciarlo con la parola e con le opere non esitando a denunciare coraggiosamente il male» (CL, 14).

Ci sospinga questa rinnovata consapevolezza battesimale-ecclesiale-comunionale, a prenderci cura in modo competente, responsabile e amorevole, delle persone coinvolte, di quanto accaduto, affinché la prevenzione non si esaurisca in buone intenzioni, ma costituisca un atteggiamento pastorale ordinario.

Essendo, quella affidataci, una responsabilità nativa, non accessoria, essendo essa intimamente connessa al nostro essere Chiesa, non possiamo essere in pace con i nostri anche migliori piani pastorali associativi se non siamo innestati in questo odierno Kairòs della comunione ecclesiale.

3. La trama degli abusi di potere, di coscienza, sessuali

Eppure anche questa nativa comunionalità viene talora manipolata per secondi fini. Leggo da una recente lettera di un'altra vittima, che chiameremo Susan, anch'ella appartenente a una associazione laicale quando subiva abusi sessuali da un sacerdote investito di un ruolo di responsabilità nella associazione: «Proprio in nome della comunione trinitaria chiedeva a me e alle altre la "comunione nel nudo" – la chiamava così – e tutto il resto... insieme al silenzio omertoso. [...]. Era proprio la struttura rigidamente "comunionale" e la distorsione della comunione trinitaria che permettevano umiliazioni, plagio, manipolazione e abusi di potere, di coscienza, sessuali, e li perpetuavano nel silenzio omertoso».

Da queste torture subite per 15 anni consecutivi in nome di una così pretesa "comunione trinitaria", si comprende come occorra purificare il nostro concetto di comunione ecclesiale.

Come ci testimonia Susan, si commettono abusi sessuali in nome di una malintesa e manipolata comunione, ma si commettono altresì abusi di coscienza e di potere secondo modalità che si presentano ancor più subdole. Susan lo spiega molto bene: «Nella mia esperienza nell'associazione ho dolorosamente constatato che ciò che permette gli abusi di potere è anche una distorta interpretazione e prassi conseguente del "carisma della sintesi", che nel governo è diventato autoreferenzialità, autocompiacimento, uso funzionale della persona in base a ciò per cui serve al momento, e il ricondurre tutto, dopo un apparente discernimento comunitario, alle decisioni di un singolo responsabile… Il "carisma della sintesi" diventa inevitabilmente la "sintesi dei carismi" e si finisce per stagnare in una struttura piramidale, mentre si afferma di governare nella corresponsabilità e nel rispetto della sussidiarietà».

L'abuso fa parte di una dinamica di potere, supremazia, dominio verso una o più persone che si trovano in una situazione di vulnerabilità esistenziale e dipendenza: può essere per età, per circostanze di vita, per bisogni affettivi personali. Facciamo attenzione, pertanto, a parlare, in casi simili, di adulti consenzienti!

Chi abusa sessualmente sceglie la vittima, si mette in sicurezza attraverso un sistematico gioco di potere nel quale la manipolazione affettiva e la riorganizzazione perversa della realtà quotidiana della vittima hanno un ruolo centrale. L'abuso sessuale dunque viene da lontano, è preparato e preceduto da un insieme di atti di abuso di potere. L'abuso sessuale è la punta dell'iceberg di un sistema di abusi. Sempre. La manipolazione poi porta la vittima all'isolamento, creando una barriera tra lei e il mondo, tale per cui l'abusatore si accaparra un posto centrale nella vita della vittima, riducendola al silenzio omertoso di cui scrivevano Eleonora e Susan, citate poc'anzi.

«È difficile – così papa Francesco – comprendere il fenomeno degli abusi sessuali sui minori senza la considerazione del potere, in quanto essi sono sempre la conseguenza dell'abuso di potere, lo sfruttamento di una posizione di inferiorità dell'indifeso abusato che permette la manipolazione della sua coscienza e della sua fragilità psicologica e fisica» (Francesco, “Discorso conclusivo”, in: Consapevolezza e purificazione. Atti dell'incontro per la Tutela dei minori nella Chiesa (Città del Vaticano 21-24 febbraio 2019), Città del Vaticano 2019, pp. 159-160).

4. Effetti spirituali delle relazioni abusive

I comportamenti abusivi, a livello sessuale, di potere, di coscienza, intimamente connessi tra loro, non solo danneggiano la Chiesa e la sua immagine, causando sfidu cia, dubbi, scandalo, ma creano danni spesso irreversibili nelle vittime, producendo traumi psicologici, incapacità di assumere impegni, danni spirituali permanenti, perdita della fede. Ancora una volta è una vittima, Renate, a esprimere, con parole lucidissime, le conseguenze spirituali degli abusi patiti per anni: «In queste esperienze di abuso – che Renate ha subito da un primo sacerdote e poi da un secondo, al quale era stata indirizzata per essere aiutata a recuperarsi dagli abusi del passato! – posso dire che è stato seminato nella mia anima e nella mia persona intera qualcosa che è dell'ordine della morte. Oggi, e ciò si accentua con il passare degli anni, sento di non avere più accesso a Dio, di non poter più comunicare con lui, né da sola, né nelle celebrazioni comunitarie. Da ciò deriva il sentimento di essere scartata, esclusa da questa comunione, dalla presenza di Dio, dal suo amore. La preghiera personale è sempre più difficile e quando mi metto in silenzio in un luogo di preghiera mi assalgono quelle immagini, quei ricordi degli abusi subiti... che solo oggi so che erano abusi... Mi assale un disgusto per le cose di Dio. Una cosa, questa, ancor più intollerabile, perché ho donato tutta la mia vita a lui! Provo molto dolore anche a confessarmi, non riesco più a vivere questo sacramento per quello che so essere, perché qualcosa si è irrimediabilmente annodato nel più profondo di me... Siccome mi assalgono spesso tante tentazioni di abbandonare il mio impegno nella comunità, mi sento in colpa per non essere nella totale verità con gli altri... E come essere certa che non sia stato falsato il discernimento della mia vocazione, avvenuto durante l'accompagnamento spirituale e in confessioni in cui due uomini di Chiesa abusavano di me a partire dalla mia maggiore età? Come posso credere che un giorno potrò riconoscere qual è la volontà di Dio per me?».

E aggiunge: «Oggi, insieme a coloro che hanno denunciato, sono bersaglio di critiche feroci, di opposizione violenta da parte di alcuni, tra cui anche qualche Pastore, che continua a ripetere che uno di quei sacerdoti era tanto bravo. È un nuovo tradimento che viene dall'interno della Chiesa. Queste persone sono, ai miei occhi, lupi ululanti che penetrano nell'ovile per spaventare ulteriormente e disperdere il gregge, mentre dovrebbero essere proprio loro, i Pastori della Chiesa, a prendersi cura dei più piccoli e proteggerli». Parole, queste, che si commentano da sé.

5. L'impegno delle associazioni e dei movimenti ecclesiali

La sfida oggi, nelle Vostre aggregazioni ecclesiali, consiste nel creare ambienti sani, di vero e libero servizio al Signore e al Vangelo; occorrono informazione, procedure trasparenti; occorre investire in una formazione adeguata a livello affettivo-sessuale; è necessario ripensare anche alle strutture. Mi direte che spesso voi non avete strutture. Eppure vi sono strutture e dinamiche relazionali, nelle occasioni di incontro tra voi e con i destinatari del vostro apostolato, che influiscono fortemente sulle persone, sulla loro formazione, crescita e libertà.

Come osserva Hans Zollner in un suo studio, «diverse realtà strutturate che si vantano di essere molto sicure, quando superano un certo limite di strutturazione diventano rigide, restrittive, aumentando il rischio di abuso. Purtroppo lo vediamo tutti i giorni: istituzioni ed enti ecclesiastici che ritenevano di essere molto vicini alla dottrina della Chiesa e di portare la bandiera dell'ortodossia, oggi sono sotto processo per abuso» [...]. «L'altro estremo è rappresentato dalle istituzioni sottostrutturate in cui c'è troppa fluidità, non esistono regole precise e soprattutto non ci sono punti di riferimento chiaro. Eppure l'equilibrio e la chiarezza dei ruoli e delle responsabilità aiutano nel lavoro di prevenzione» (Hans Zollner, “La tutela dei minori e la prevenzione”, in Abusi sessuali nella Chiesa? Meglio prevenire, a cura di Luisa Bove, Milano 2017, pp. 24-25).

Uno stile manageriale autoritario e restrittivo, improntato a rigide regole, che non coinvolge realmente i membri, non li informa e non li consulta davvero, diffonde messaggi subliminali di gruppo che escludono chi esercita una critica. E anche laddove vi è mancanza di norme e i ruoli sono poco chiari, si creano relazioni in cui è più alto il rischio di abusi di ogni genere. La responsabilità ecclesiale che ci è affidata ci chiede, pertanto, di vigilare, di non essere ingenui, di prevenire, stabilendo relazioni sane, libere, non asservite a noi stessi.

Proprio Renate ci ha scritto come la mancata distinzione tra ambito della coscienza e ambito di governo sia stata causa di confusione per lei, che aveva, nel suo abusatore, sia il responsabile del luogo in cui viveva, sia il suo confessore e padre spirituale. Solo dopo che quella associazione ha modificato gli statuti per distinguere i ruoli, sono emerse le denunce e, a dire di Renate, si è venuto a creare un deterrente agli abusi di qualsiasi genere.

6. Spunti conclusivi: dal Golgota alla profezia

Eleonora, Susan, Renate: sono donne di tre diverse associazioni di fedeli. Donne che, come tutte le vittime di abuso di potere, di coscienza, sessuale, hanno vissuto il Golgota, protratto talora per anni, un Golgota non a cielo aperto, ma rinserrato in quattro mura, spesso a luce fioca, consumato nei ricatti, per comprare quel loro silenzio che le ha pervase di sensi di colpa. Gli abusi le hanno inchiodate a una croce che nessuno poteva vedere, proprio perché innalzata in un Golgota segreto. E talvolta anche i terzi che sapevano o immaginavano erano a loro volta vittime o complici, elevando in tal modo a sistema gli abusi fisici, morali, psicologici, spirituali.

Scoperchiamo questi Golgota bui. Il Dicastero è al vostro fianco nel consigliarvi e sostenervi in questa responsabilità ecclesiale condivisa. Abbiamo l'onestà e il coraggio di rompere le trame della manipolazione e dell'abuso, di vivere la nostra vocazione e missione di annunciare la liberazione dei prigionieri, di annunciare che il Signore, «ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili» (Lc 1, 51-53).

Questa è la Profezia che, in virtù del battesimo e del nostro essere membra vive della Chiesa, ci è consegnata. Agiamo come Chiesa, come madre, che non prostituisce i propri figli, non allestisce nuovi Golgota, ma previene, con consapevolezza, con prudenza, investendo in una adeguata formazione. Ce lo chiedono donne come Susan, che ha nel frattempo intrapreso un lungo percorso di guarigione. A lei cedo la parola per chiudere il mio intervento: «Se è vero che le ferite non vanno in prescrizione, è anche vero che credo, per fede, che Gesù Risorto è capace di trasfigurarle e di renderle gloriose come le sue. Più che "vittima" ora mi sento una "sopravvissuta" al potere della morte, perché nel mio orizzonte c'è una pietra rotolata e una tomba vuota. In quel giardino incontro Gesù Risorto, il mio Maestro e Signore, che ogni giorno mi chiama teneramente per nome».  

* avda-foto - Kreuzberg (Rhön) - Golgota-Kreuze - 2016, foto tratta da flickr, immagine originale e licenza 

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