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Pedro Casaldáliga, il martire che non sono riusciti a uccidere

Pedro Casaldáliga, il martire che non sono riusciti a uccidere

Tratto da: Adista Documenti n° 31 del 12/09/2020

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Chiunque abbia avuto la grazia di conoscere personalmente Pedro Casaldáliga comprenderà certamente la verità scritta dal martire Ignacio Ellacuría sull'arcivescovo martire Oscar Romero: «Con lui Dio è passato per El Salvador». Ellacuría sapeva che Dio non “passa” soltanto, ma è presente e opera in noi e attraverso di noi. Tuttavia, a Dio piace restare nascosto, anche se presente. E persone come Oscar Romero e Pedro Casaldáliga non gli consentono di nascondersi: in loro la presenza divina traspare come luce d'amore che incanta l'universo e invita l'umanità a rinnovarsi.

Fin dall'inizio del suo ministero, il vescovo Pedro ci rivelava Dio nell'allegria dei bambini che si bagnavano sulle rive dell'Araguaia. Ci mostrava il Padre d'amore prendendosi cura dei pescatori di ritorno a casa dopo una notte in mare. Riconosceva Gesù nella resistenza dei braccianti e nella pelle nera dei quilombolas e nordestini in cerca di lavoro nelle fazendas. Adorava gli Encantados (entità spirituali, ndt), come manifestazione dello Spirito Divino nella resilienza dei popoli indigeni e nel protagonismo delle donne nella lotta per la vita. Adorava Dio e ne testimoniava la presenza in qualunque luogo e tempo in cui la vita si ostini a risorgere dalle ceneri dell'egoismo e dell'ambizione.

Per chi lo ha conosciuto più da vicino, non sarà facile vedere il mondo senza di lui: da quando aveva ricevuto la missione di coordinare la nuova prelatura di São Félix do Araguaia, nessuno lo ha incontrato senza esserne in qualche modo segnato. Di fronte alla sua parola e alle sue posizioni profetiche, era impossibile restare indifferenti. Ora spetta a tutti noi che ci sentiamo suoi discepoli e discepole riscattare la sua profezia e proseguire il suo cammino. Tra i molti elementi dell'eredità che ci lascia, possiamo evidenziarne tre che ci sembrano più urgenti e indispensabili nella nostra vita e nella nostra missione.

1 - La spiritualità martiriale

La spiritualità della caminhada e, a partire da essa, le teologie della liberazione ci hanno insegnato a decostruire la teologia sacrificale e a comprendere la passione e la resurrezione di Gesù in una dimensione martiriale, come testimonianza del progetto divino nel mondo e proposta di una nuova vita nello Spirito.

Quando nell'agosto del 1999, a Recife, è scomparso dom Helder Camara, Clelia Luro ha pubblicato su di lui in Argentina il libro: El mártir que no mataron. Pedro Casaldáliga può essere proclamato il martire che non sono riusciti a uccidere. E non sono certo mancati tentativi e minacce.

Dagli anni '60, le migliaia di fratelli e sorelle che hanno dato la vita per la causa della terra, della giustizia e dei diritti dei poveri ci hanno insegnato a ripensare la spiritualità e la teologia legate al martirio. Tuttavia possiamo dire che Pedro Casaldáliga è tra quanti ci hanno più aiutato a unire la spiritualità e la teologia martiriali all'opzione sociale e politica di un nuovo mondo possibile.

Già nel 1971, minacciato di morte per aver denunciato i crimini del latifondo, Pedro Casaldáliga scriveva in una delle sue più belle poesie: «Morirò in piedi, come gli alberi / Mi uccideranno in piedi».

Pedro ha convissuto continuamente con il martirio, assumendolo non solo come ideale mistico, ma anche come stile di vita donata. Nei primi anni '80, in tutto il Brasile, si moltiplicarono gli assassinii di fratelli e sorelle. Quando, a luglio del 1986, le Comunità di base si incontrarono per il loro VI Incontro a Trindade, in Goiás, appena due mesi prima avevamo celebrato la pasqua di p. Josimo Tavares. Lì, il vescovo Pedro aiutò le comunità a riflettere sul martirio e sulla nostra responsabilità di essere una Chiesa di martiri e a capire che il martirio non è solo un modo di morire, ma anche un modo di vivere. Pedro amava ripetere: «Una Chiesa che non celebra i suoi martiri non sarebbe la Chiesa del martire Gesù». Celebrare i martiri della caminhada significa porsi come testimoni del regno divino in questo stesso processo di lotta, di resistenza, di fede e di speranza.

È stata questa spiritualità dei martiri della caminhada a indurre Pedro, nel 1971, nello stesso giorno della sua consacrazione episcopale, a pubblicare la sua prima lettera pastorale: “Uma Igreja da Amazônia em conflito com o latifúndio e marginalização social. Quel giorno, durante la celebrazione liturgica, interrogato dal vescovo officiante sulla sua priorità come pastore della prelatura, rispose: inserirsi nella vita dei più poveri ed essere presenza solidale nella lotta di liberazione degli oppressi.

Era tale spiritualità ad animare la sua proposta per tutti noi: «Essere ciò che si crede. / Dire ciò che si crede. / Credere in ciò che si predica. / Vivere ciò che si proclama, / fino alle ultime conseguenze».

2 - La dimensione macro-ecumenica della fede

Nel settembre del 1992, eravamo a Quito per la prima Assemblea del popolo di Dio, un incontro continentale di comunità nere e indigene che protestavano contro le celebrazioni trionfaliste dei 500 anni della conquista. Gli indios propugnavano una dis-evangelizzazione. Un capo indigeno ripeté le parole pronunciate da un indio di fronte a Paolo VI nel 1968 a Bogotà: «Quando voi cristiani siete arrivati qui con la Bibbia, noi avevamo la terra. Ci avete dato la Bibbia e vi siete presi la terra. Ora vogliamo restituirvi la Bibbia e chiedere indietro le nostre terre».

Con pazienza e umiltà, Pedro difese la proposta indigena, evidenziando come il suo significato fosse quello di decolonizzare la fede e la missione cristiana, e coniando il termine "macroecumenismo": non un cammino ecumenico tra le Chiese cristiane, né un dialogo interreligioso tra le diverse tradizioni, ma un processo spirituale che coinvolga chiunque accetti di porsi al servizio della liberazione dell'umanità. Un ecumenismo a partire dai poveri in direzione del regno divino della giustizia e della liberazione.

Questa spiritualità macroecumenica era in qualche modo già presente nel progetto che aveva spinto Pedro Casaldáliga e Pedro Tierra a scrivere insieme, alla fine degli anni '70, i testi della Missa da Terra sem Males, musicata da Martin Coplas e poi, nel 1980, quelli della Missa dos Quilombos, musicata da Milton Nascimento: canti per una messa che potesse essere celebrata in comunione con l'utopia indigena e con la spiritualità afrodiscendente. Il Vaticano, tuttavia, condannò l'esperienza.

Persino nella musica popolare brasiliana, Rolando Boldrim compose la canzone Novo Amanhecer riprendendo l'apertura della Missa da Terra sem Males: Nel nome del Padre di tutti i popoli, Maira di tutto, eccelso Tupà.

Nel nome del figlio che rende fratelli tutti gli esseri umani.

Nel sangue mescolato a ogni sangue, nel nome dell’alleanza della liberazione. Nel nome della luce di ogni cultura, nel nome dell’Amore che è in ogni amore. Nel nome della terra senza mali, persa nel lucro, guadagnata nel dolore.

Nel nome della morte vinta, nel nome della vita, cantiamo, Signore!

Che questa profezia trovi vie nuove per far risuonare nell'attualità l'amore e la cura della Chiesa per le popolazioni indigene e afrodiscendenti.

3 - L'ecclesialità al di là della stessa dimensione religiosa

Pedro amava la Chiesa come fosse il suo stesso corpo, ma aveva un modo proprio di essere Chiesa.

Diventato vescovo, egli si propose di organizzare una Chiesa che fosse realmente sacramento di comunione, un saggio del mondo nuovo che vogliamo: fratellanza, uguaglianza tra uomo e donna, partecipazione di tutti al servizio del regno divino.

Negli anni '70, in un incontro tra i vescovi, un rappresentante del Vaticano gli disse: «La Chiesa non è e non può essere una democrazia». Pedro rispose: «Sono d'accordo. Democrazia per la Chiesa è poco. Gesù vuole che essa sia comunione. Molto oltre la democrazia. Che sia un saggio del nuovo stile che Dio vuole per il mondo».

Nella prelatura, tutto il lavoro era organizzato e realizzato in comune. Una volta, Pedro la definì «un'ecclesialità al di fuori della stessa sfera religiosa». Era realmente una “Chiesa in uscita”. Era la Chiesa che seguiva i passi di Gesù: «Il Figlio dell'Uomo non ha dove posare il capo». Nel Centro di incontri di São Félix do Araguaia, ancora senza luce elettrica e con un dormitorio comune, Pedro chiedeva: in quale letto devo dormire?

Pedro Ribeiro de Oliveira racconta di aver incontrato Pedro pochi anni fa nella sua casa a São Félix do Araguaia, già molto indebolito dal Parkinson. «Gli dissi che il suo verso “vogliamo terra in Terra, la terra in cielo già l'abbiamo” era stato il fondamento della mia spiritualità politico-liberatrice. Mi spiegò che l'ispirazione gli era venuta una volta che, insieme ai contadini, stava resistendo a un'azione armata di intimidazione. In mancanza di carta, aveva scritto la poesia su un tronco di banano. Ne approfittai per chiedergli come definire la missione evangelizzatrice. La risposta fu immediata: “la nostra missione è trasmettere resurrezione”. (...). È questo che ha fatto durante tutta la vita e che ci chiede di fare: portare la resurrezione dove la morte sta ora vincendo. In fondo, come ha scritto, siamo “combattenti sconfitti di una causa invincibile”».  

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