
Relazioni diplomatiche con Israele: passo indietro dell’Arabia Saudita
L’accordo fra Emirati Arabi e Israele, annunciato da Donald Trump il 13 agosto e mediato dagli Usa, dovrebbe trascinare altri intrecci di relazioni diplomatiche fra Paesi arabi e Israele. Fra i primi in lista sembra ci sia l’Arabia Saudita, ma il successo di questa previsione non è scontato, nè gode di un favore indiscusso presso il mondo musulmano. Tanto che l’imam della Grande moschea della Mecca Abdulrahman al-Sudais si è attirato strali a bizzeffe, soprattutto da parte dei social media, per aver sottolineato, durante la preghiera dell’ultimo venerdì (4 settembre), l’importanza del dialogo e dei buoni rapporti con i non-musulmani, facendo uno specifico riferimento agli ebrei. Le sue parole sono state lette come una giusificazione e, non sia mai, un preludio alla normalizzazione dei rapporti fra il Pease saudita e Israele.
L’imam aveva invitato i fedeli – come riferisce AsiaNews (7/9) – a evitare «ogni idea sbagliata sulle credenze» e che è essenziale avere «rapporti sani» negli «scambi interpersonali» e nelle «relazioni internazionali». E aveva citato diverse storie personali della vita del profeta Maometto, nelle quali egli ha mostrato di coltivare buoni rapporti anche con i non-musulmani. «Quando il corso di un sano dialogo umano viene trascurato – aveva proseguito – parti della civiltà delle persone si scontreranno e il linguaggio che diventerà prevalente sarà quello della violenza, dell’esclusione e dell’odio». E dunque, aveva concluso, è fondamentale restare fedeli a leader e autorità e diffidare delle fazioni e dei gruppi che vogliono creare incomprensioni e confusione.
Sul percorso di pace fra Arabia Saudita e Israele, Trump – anche ai fini della campagna elettorale per presidenziali del 3 novembre – contava sul successo anche di questa sua mediazione, dopo quella fra lo Stato ebraico e gli Emirati Arabi, considerando i rapporti mediamente buoni fra gli Usa e il Paese saudita. Ma qualcosa non sta andando per il meglio. Il principe ereditario Mohammed bin Salman ha annullato la sua visita a Washington prevista per il 31 agosto, durante la quale avrebbe visto il primo ministro israeliano Netanyahu, come ha rivelato il portale d’informazione sul Meri Oriente Middle East Eye.
Il motivo il principe lo ha comunicato in una telefonata a Trump, non facendo altro però che ribadire quella classica posizione di Ryadh che, di per sé, avrebbe reso improponibile l’appuntamento del 31 agosto: punto di partenza di una “iniziativa di pace araba” sarà la soluzione permanente alla questione palestinese, ha sostenuto bin Salman. E da questa dunque dipenderà anche il riconoscimento di Israele (con cui peraltro negli ultimi anni, osserva AsiaNews, pur se non vi sono relazioni diplomatiche, si è registrata «una rinnovata unità di intenti – diplomatica e commerciale – fra le due nazioni, soprattutto in chiave anti-iraniana»; e va ricordato che il 31 agosto, per la prima volta, un aereo civile israeliano ha sorvolato l’Arabia Saudita atterrando ad Abu Dhabi).
Probabile che Salman si sia consultato con altri governi del mondo arabo. Probabile anche che la mancata visita sia una riposta allo “sgarbo” bipartisan del Senato Usa: «I membri del Senato statunitense, sia repubblicani sia democratici – leggiamo sul quotidiano online dell’omonimo Osservatorio dell’università Luiss, Sicurezza Intenrazionale, https://sicurezzainternazionale.luiss.it/del 7 agosto scorso – hanno introdotto una legislazione, il 6 agosto, che bloccherebbe le vendite internazionali di droni armati sofisticati, fabbricati negli Stati Uniti, a Paesi che non sono alleati “stretti” di Washington, tra cui l’Arabia Saudita». I senatori sono «preoccupati per la vendita di armi all’Arabia Saudita e agli Emirati Arabi Uniti (UAE), consapevoli che gran parte dell’arsenale fabbricato negli USA è stato impiegato per portare avanti una guerra “devastante” in Yemen».
«L’obiettivo della legislazione – aggiunge Sicurezza Intenrazionale – è far sì che il capo della Casa Bianca, Donald Trump, non aggiri un accordo siglato nel 1987 tra 35 Paesi, il cosiddetto Missile Technology Control Regime, consentendo ad imprenditori statunitensi di vendere un maggior numero di droni a diverse nazioni. Tale patto, sebbene non vincolante, è stato finora rispettato dai diversi firmatari, ma, nel mese di giugno scorso, il presidente Trump e il Dipartimento di Stato USA hanno annunciato che avrebbero ignorato le restrizioni stabilite dall’accordo e avrebbero iniziato a distribuire le licenze». Già «nel 2018, l’amministrazione statunitense aveva riferito di voler ampliare il raggio degli acquirenti di droni, e nel corso degli ultimi due anni sono state avviate discussioni volte a comprendere come aggirare il suddetto accordo».
*Riad, panoramica. Foto di apriltan18 da Pixabay, immagine originale e licenza
Adista rende disponibile per tutti i suoi lettori l'articolo del sito che hai appena letto.
Adista è una piccola coop. di giornalisti che dal 1967 vive solo del sostegno di chi la legge e ne apprezza la libertà da ogni potere - ecclesiastico, politico o economico-finanziario - e l'autonomia informativa.
Un contributo, anche solo di un euro, può aiutare a mantenere viva questa originale e pressoché unica finestra di informazione, dialogo, democrazia, partecipazione.
Puoi pagare con paypal o carta di credito, in modo rapido e facilissimo. Basta cliccare qui!